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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


GIORNATA MARIANA SACERDOTALE
Ferrara: 7 ottobre 1999
E’ una celebrazione di particolare, profonda intensità questa che stiamo vivendo, venerati fratelli. E’ l’offerta del divino sacrificio compiuta nella consapevolezza di una singolare relazione che unisce la nostra persona alla persona della Madre di Dio. Di ciascuno di noi è vero quanto è detto di Giovanni: "e dal quel momento il discepolo la prese in casa sua" (Gv 19,27b). Ciascuno di noi ha preso nella propria casa, nella casa della propria esistenza e dell’esercizio della propria libertà, Maria, acconsentendo al dono che di Lei ci ha fatto il Cristo morente sulla Croce: "ecco la tua madre".

Noi desideriamo capire, nella luce della Parola di Dio appena proclamata, che cosa significa "prendere nella propria casa" Maria. In primo luogo perché, resi più consapevoli della preziosità del dono fattoci, ringraziamo con gioia il Padre; in secondo luogo, per verificare se e in che misura questo avvenimento, prendere Maria nella propria casa, è già accaduto dentro alla nostra esistenza sacerdotale.

1. "L’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazareth, ad una vergine." Queste parole segnano in un certo senso l’inizio dentro al tempo di cose pensate dall’eternità. Dio ha inviato il suo angelo, Gabriele l’angelo dei segreti, poiché era arrivata la pienezza del tempo in cui il Verbo doveva essere fatto da una Donna.

Le parole evangeliche indicano come l’inizio è costituito da una decisone del Padre. E’ una decisione di pura grazia; una decisione che non ha in sé nessuna costrizione, ma che implica solamente la totale gratuità dell’amore: "fu mandato da Dio". E’ una decisione che ha per "oggetto principale" il Verbo: Egli era inviato nella nostra carne; Egli era donato al mondo. Ma la predestinazione di Gesù, Verbo incarnato, comprende in sé anche ed avvolge pure la "vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe". Nello stesso momento in cui il Padre progettava la pienezza di grazia del Figlio incarnato, di questa pienezza destinava in primo luogo sua madre ad essere partecipe: "Ti saluto, o piena di grazia". Collo stesso atto con cui decideva l’Incarnazione del Verbo, il Padre decideva l’esistenza di Maria, predestinata ad essere Madre dell’Unigenito.

Adoriamo profondamente venerati fratelli, il Padre "dal quale viene l’esistenza di tutto ciò che esiste. E’ Lui che in Cristo e per mezzo di Cristo è origine di ogni cosa. Egli non deriva da nessuno ciò che è … Ecco la verità del mistero di Dio, ecco l’imperscrutabile realtà alla quale, quando diciamo Padre, noi diamo un nome" [S. Ilario, De Trinitate II, 6; SCh 443, pag. 284-286].

Ma perché la decisione del Padre potesse realizzarsi dentro alla nostra storia, potesse divenire parte della nostra storia, era necessario il consenso di Maria. Avere una profonda intelligenza teologica del "consenso mariano" (Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto: Lc 1,38) è uno dei doni più preziosi che lo Spirito Santo può farci: senza questa intelligenza non possiamo capire il mistero della Chiesa e della nostra vita sacerdotale.

La difficoltà viene dall’affermazione, certissima nella S. Scrittura [nonostante ciò che possono pensare i nostri fratelli protestanti!], che esiste una vera e propria cooperazione tra Dio e la sua creatura. E’ necessario qui evitare due scogli. Il primo è di pensare che Dio e creatura operino l’uno accanto all’altro e quindi con l’altro: mai Dio e la creatura cooperano sullo stesso piano. Il secondo è di pensare che di fronte a Dio non si può parlare in senso vero e proprio di libertà dell’uomo: questi è veramente libero di fronte a Dio.

La chiave di ingresso nel mistero del consenso mariano è costituita precisamente dalla parola con cui Maria pensa se stessa di fronte a Dio: "sono la SERVA". E’ parola dai significati immensi.

Con essa Maria svela il mistero della sua femminilità, in forza della quale Ella attende, più di quanto non sia capace di fare la mascolinità, di essere "fecondata" e quindi "formata" dal suo Sposo–Signore: "Eccomi", Ella dice.

Con essa Maria svela il mistero della sua sponsalità-verginale maternità, in forza della quale non si pone nell’attitudine di chi dice semplicemente "faccia ciò che vuole", poichè la donna, a differenza dell’uomo, è capace di concepire. Ella dice: "avvenga IN ME". Accolto il "seme divino", Maria diviene veramente e realmente la madre del Verbo incarnato: argilla umida nella quale viene in-presso il Verbo, e quindi da essa viene es-presso nella nostra natura umana.

La più grande "passività" coincide colla più forte "attività": il consenso mariano è la forma più alta di questa "coincidenza degli opposti", unico modo vero e giusto di stare alla presenza del Signore. Questa coincidenza nel vocabolario cristiano è indicata da tre nomi, ciascuno dei quali ne svela una dimensione: verginità, povertà, obbedienza.

L’incontro della decisione del Padre colla libertà di Maria nel consenso mariano genera l’evento cristiano nella sua concretezza universale: la divinizzazione dell’uomo per l’unione ipostatica del Verbo alla nostra natura umana. E’ l’evento sul quale non dovremo stancarci mai di meditare nel prossimo anno giubilare. E’ accaduto nel consenso mariano, il quale pertanto diviene la forma o modello archetipo attraverso il quale continua anche oggi ad accadere. Come ci dice la prima lettura.

2. "Tutti erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù". Esistono profondi richiami fra la pagina del Vangelo e la pagina degli Atti. E non per caso. Il Vangelo descrive l’incarnazione del Verbo. Gli Atti descrivono in Luca la nascita della Chiesa, continuata presenza del Verbo incarnato dentro alla nostra storia. Sono "due inizi": il secondo è consequenziale al primo e ne nostra interamente la stessa logica. Come avevano visto i Padri: "Dio, nell’Incarnazione, uscì come uno sposo dal talamo perché venne dal grembo incorrotto della Vergine per unire a Sè la Chiesa" [S. Gregorio M., Omelie sui Vangeli XXXVIII, 3; CN ed., pag. 521].

"Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta, ma avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni". Erano state le ultime parole di Gesù, prima di lasciare visibilmente questo mondo. Non è chiesto agli apostoli di stabilite essi "i tempi e i momenti": tutto questo è riservato alla scelta del Padre. L’idea di Giovanni secondo la quale la Chiesa nasce dal costato di Cristo che effonde sangue ed acqua e l’immagine di Paolo secondo la quale la Chiesa è la Nuova Eva che nasce dal corpo del Nuovo Adamo (cfr. 1 Cor 11,8 e Ef 5,25-33), vanno nella stessa direzione. Quale? La Chiesa non si può attribuire alcune autonomia di forma propria, anche se essa si distingue da Cristo analogamente alla sposa che si distingue dallo sposo. "Tutto ciò che la Chiesa ha in "personalità" e in "natura", lo ha dal Cristo, di cui è "pienezza" proprio perché egli ha effuso in essa (e in quanto essa) la sua pienezza (Ef. 1,23)" [H.U. von Balthasar, Gloria I, pag. 523].

"Lo Spirito Santo scenderà su di te", aveva detto Gabriele a Maria, "colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio". E Gesù dice ai suoi apostoli: "avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni". E’ la forza dello Spirito Santo che rende capace Maria di generare il corpo fisico del Verbo incarnato; è la forza dello Spirito Santo che rende capace l’apostolo di generare il corpo mistico di Cristo (cfr. 2Cor 3,5-6). Più concretamente: di reintegrare tutto l’umano di ogni uomo nella persona di Cristo Verbo incarnato, come Maria ha concepito il Verbo nella nostra perfetta natura umana (perfectus homo!).

Ma tutto questo è possibile ad una condizione, scoperta la quale capiremo con grande gioia perché "erano assidui e concordi nella preghiera … con Maria, la madre di Gesù". Quale condizione? che nella Chiesa, in particolare in noi apostoli, sia presente il consenso mariano. Anzi, che la Chiesa sia interamente, profondamente mariana. In che senso?

Nel consenso mariano, coincidenza di passività-attività, come abbiamo meditato poc’anzi alla luce della pagina evangelica, ci viene mostrata sia ciò che ha reso possibile l’incarnazione del Verbo sia lo modalità in cui l’incarnazione è avvenuta. Sono concordi con Maria: "concordes" (omothumadòn). Vivono nella comunione profonda con Maria. La vita della Chiesa è vita femminile, nel senso che la Chiesa non può concepire nulla da sola, non può generare nessun frutto se non è continuamente fecondata dal Cristo mediante il suo Santo Spirito. La vita della Chiesa è vita sponsale-materna, nel senso che la Chiesa partecipa realmente alla generazione dell’uomo in Cristo e vive veramente nei dolori del parto. In questo senso, è vita verginale-povera-obbediente, dal momento chela Chiesa non conosce altra norma di vita se non il suo Sposo-Cristo e nessun frutto vero che rimanga, se non quello che Egli le dona da concepire, generare, educare.

Venerati fratelli, non permettiamo che la tristezza del cuore ci faccia pensare che stiamo descrivendo una Chiesa che non esiste: una Chiesa ideale. Non permettiamo che pensando alle nostre parrocchie, alle difficoltà della nostra cura pastorale, si formi in noi la convinzione che ritornando a casa possiamo dimenticare tutto ciò che abbiamo ascoltato, poiché si pensa: "la vita pastorale è ben altro!".

Essendo la Chiesa mariana, anche la vita della Chiesa, come la vita di Maria, è posta sempre nel chiaroscuro della fede. L’assunzione al cielo avviene terminato il suo corso della vita terrena; Gesù non ascolta la domanda di Pietro di fermarsi sul monte della Trasfigurazione. Ma non possiamo dimenticare ciò che Egli ha detto agli apostoli: "La donna, quando partorisce, è afflitta, perché è giunta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell’afflizione per la gioia che è venuto al mondo un uomo" (Gv 16,21). La nostra afflizione non è quella del morente. Dentro alle vostre sofferenze quotidiane si sta generando la nuova umanità, se voi dimorate nel consenso mariano.

3. E siamo così giunti, finalmente, al rapporto profondo tra il nostro ministero pastorale ed il consenso mariano. Ciò che il Vangelo di Giovanni descrive come accaduto ai piedi ella croce, Luca lo vede realizzato nel Cenacolo: gli apostoli hanno preso in casa loro Maria. Ora possiamo capire il significato di questo "prendere Maria in casa propria". Significa lasciare che il consenso mariano diventi sempre più la forma del nostro ministero. E’ questa la sua unica forma vera e giusta: l’unica sua giustificazione. La certezza di fede secondo la quale l’efficacia salvifica del ministero apostolico è indipendente dalla santità soggettiva del ministero, non deve condurci a pensare che sia normale e sopportabile nella Chiesa questa separazione. Quando Gesù conferisce definitivamente a Pietro il suo ufficio pastorale, esige che lo segua fino alla Croce e che non vada più dove vuole, espropriato ormai di se stesso. Esige, in una parola, che si "lasci condurre": prendere Maria in casa propria.

Venerati fratelli, siamo entrati, credo, nel nucleo essenziale dell’esercizio quotidiano del nostro ministero pastorale: appunto il suo "nucleo mariano".

Se noi leggiamo attentamente il Nuovo Testamento, san Paolo in primo luogo, noi vediamo che la "potenza" del ministero della Nuova Alleanza si esercita nella "impotenza" del ministro, la "gloria" del ministero nell’"umiliazione" del ministro. E’ la nostra debolezza, di noi che sappiamo di non poter nulla da noi stessi, ma di poter solo ricevere forza dallo Spirito, che ci rende ministri adatti della Nuova Alleanza. E’ la coincidenza di passività-attività che ci rende fecondi, nel chiaroscuro della fede.

Esiste una sorta di "pericoresi" (mutua inabitazione) fra la nostra povertà, verginità ed obbedienza, le tre pietre che costituiscono l’intero arco della nostra libertà. Se così non fosse, avrebbe ragione Ivan Karamazov quando descrive col grande Inquisitore la più terribile contraffazione del ministero apostolico.

Venerati fratelli: offriamo questo divino sacrifico gli uni per gli altri. Lo offriamo perché oggi ai piedi del Calvario-Altare avvenga per ciascuno di noi quanto descritto da Giovanni. Che Cristo dica a sua Madre, guardando a ciascuno di noi: "donna, ecco tuo figlio"; dica a ciascuno di noi, guardando sua Madre: "figlio, ecco tua Madre". E che dopo questa celebrazione ciascuno di noi prenda sempre più Maria in casa propria. Così sia.