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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


OMELIA 31.MA DOMENICA
Cattedrale e S. Carlo
3 novembre 1996

Abbiamo ascoltato una parola del Signore rivolta piuttosto a noi pastori, in primo luogo a me vescovo, piuttosto che a voi fedeli. Si conclude il primo anno del mio ministero pastorale a vostro favore; queste parole, terribili oggi, del Signore trafiggono il cuore. Se abbiamo deciso di discorrere un poco con voi, è perché comprendiate quanto grave sia la nostra responsabilità e così più intensa salga al Signore la vostra preghiera per noi. Infatti “noi che il Signore, per bontà sua e non per nostro merito, ha posto in questo ufficio - di cui dobbiamo rendere conto, e che conto! - dobbiamo distinguere molto bene due cose: la prima cioè che siamo cristiani, la seconda che siamo posti a capo. Il fatto di essere cristiani riguarda noi stessi; l’essere posti a capo invece riguarda voi. Per il fatto di essere cristiani dobbiamo badare alla nostra utilità, in quanto siamo messi a capo dobbiamo preoccuparci della vostra salvezza”.

1. “Legano ...” ecco il primo rimprovero che viene fatto a noi che siamo seduti in cattedra. E’ il rimprovero e quindi la messa in guardia dall’annunciare, dal trasmettere a voi parole e comandi che non siano dal e del Signore. Il secondo rimprovero o messa in guardia non è meno terribile: “fanno tutte le loro azioni ...”. E’ il rimprovero di fare della posizione che abbiamo nella Chiesa, un piedistallo della nostra vanità e della nostra ambizione.
 A ben guardare, i due rimproveri alla fine stigmatizzano una sola mancanza di noi pastori: quella di porre se stessi sopra i fedeli che ci sono stati affidati. Come, quando ci poniamo al di sopra? Precisamente in primo luogo quando leghiamo pesanti fardelli e li mettiamo sulle vostre spalle. Quando cioè non leghiamo sulle vostre spalle “il giogo di Cristo” che è leggero e soave, che è fonte per voi di libertà. Quando cioè non vi annunciamo più il Santo Vangelo di Cristo, ma parole o dottrine semplicemente umane. Allora noi leghiamo pesanti fardelli e li mettiamo sulle vostre spalle. Al contrario noi rafforziamo la vostra fede, confortiamo e rallegriamo i vostri cuori con la vera consolazione dello Spirito Santo, quando vi comunichiamo solo  la dottrina di Cristo, ed allora, fratelli e sorelle, pregate perché mi abbeveri continuamente alla fonte vivificante della Parola del Signore, così assieme ai sacerdoti potrò continuamente nutrirvi del vero cibo della nostra santa fede.
 Ma noi pastori possiamo porci al di sopra di voi in un altro modo: facendo del nostro ministero, un motivo di vanità e di ambizione. Sentite anche voi le parole di Gesù rivolte a noi: “amiamo occupare i primi posti...” Fratelli e sorelle, l’affetto spirituale che vi lega al vostro pastore vi porta spontaneamente a tributargli anche segni di onore, di venerazione profonda, la cosa non era condannata da S. Paolo. Sentite che cosa scrive ai suoi cristiani: “Mi avete accolto come un angelo di Dio. Vi rendo testimonianza che, se fosse stato possibile, vi sareste cavati anche gli occhi per darmeli” (Gal. 4,14-15). Certo: questi vostri segni di onore possono indurre il pastore alla vanità. Ma non è da questa ridicola, puerile vanità che il Signore mette in guardia il pastore. E’ una inammissibile pretesa di superiorità all’interno della Chiesa, che il Signore condanna senza mezze misure. Questa pretesa colpisce nel cuore la nostra comunità, la Chiesa santa. Essa infatti “si costruisce sulla base del riconoscimento di fede del Padre comune e del medesimo Signore Gesù Cristo, con l’esclusione di ogni egemonia umana concorrenziale che disdica la fondamentale uguaglianza di tutti i credenti”.
 Ecco fratelli e sorelle, avete sentito il richiamo, la messa in guardia fatta ai pastori, a me vostro vescovo in primo luogo: niente e nessuno prenda il posto di Cristo.

2. Con tutto questo non viene tolto a noi il peso di una autorità vera e propria. Del resto, il Signore stesso mi ha costituito vostro pastore, contro la mia stessa volontà e desiderio e mi ha inviato a voi. Ma di che natura è questa autorità? Ascoltate: “il più grande fra voi deve essere vostro servo”. La “grandezza” nella Chiesa consiste nel dovere di servire i fedeli di Cristo. Servirvi in che modo? In primo luogo annunciandovi il Vangelo dell’amore del Padre, il Vangelo di Cristo. L’atto più grande del servizio che vi devo è dunque indicare inequivoco chi è il maestro della verità, chi è il conoscitore del Padre al quale andare per essere condotti alla pienezza della luce divina, qual è il trono dal quale discende l’acqua che pacifica e disseta le anime, qual è la fonte dalla quale zampilla l’acqua ch+e conduce alla vita eterna” (S. Corsi, Sussidio biblico-pastorale per la liturgia domenicale, 1, pag. 77). In una parola: portarvi a Cristo, pastore delle vostre anime. “Non fatevi chiamare maestri ...” . Certamente, come voi vedete, il Vescovo ha la sua cattedra e su di essa siede. Ma proprio a causa di questo, Egli deve farsi discepolo più attento dell’unico Maestro che è Cristo, per poter essere dispensatore dei divini Misteri. Vi darò la parola di verità, solo se non vi dirò parole mie. “Se dicessimo infatti cose nostre, saremmo pastori che pascono se stessi, non il gregge; se invece diciamo cose che vengono da Lui, Egli stesso vi pascerà servendosi di chiunque” (S. Agostino). Così sia veramente, fratelli: sia Cristo a pascervi attraverso il mio ministero pastorale.