LIBERTA’ NELLA MODERNITA’:UNA PROMESSA MANCATA
Lectio Doctoralis tenuta alla Real Academia de Doctores
Madrid 29 aprile 1998
Ecc.mo Sig. Presidente della Accademia reale dei Dottori,
Ecc.mi e illustrissimi Dottori accademici
Signore e Signori,
Il fatto che io sia stato nominato Membro corrispondente di questa dotta
Accademia mi obbliga ad esprimere subito tutta la mia profonda gratitudine
a voi, Signori accademici. Considero questo onore fatto non solo alla mia
persona, ma a tutta la comunità cristiana di Ferrara-Comacchio che
il Signore mi ha affidato.
La conclusione di un secolo, anzi di un millennio, ci obbliga a riflettere
seriamente su tutta l’esperienza, su tutta la vicenda umana vissuta in
esso. Anche allo sguardo più superficiale appare subito che due
sono stati i grandi momenti spirituali di questo secondo millennio, come
due tempi in cui si è scandita la vicenda umana: il medioevo e la
modernità. Sono le nostre due radici delle quali ci nutriamo ancora
oggi.
Ma questa sera vorrei meditare brevemente sulla modernità. E’
di essa infatti che ciascuno di noi si sente figlio ed erede. Ed inoltre,
e questa sarà l’idea centrale della mia riflessione, credo che sia
giunto il momento di congedarci da essa.
Non è possibile tuttavia congedarci dalla modernità,
se prima non ne abbiamo tentato una interpretazione, se prima non abbiamo
almeno cercato di coglierne il significato unitario e più profondo.
So bene che mi sto addentrando in un dibattito difficile e che è
ben lontano dall’ aver raggiunto risultati unanimi. In ogni caso, il titolo
della mia riflessione enuncia già i “pilastri” della mia interpretazione
della modernità. Sono due: la chiave di lettura della modernità
stessa è il concetto e l’esperienza da essa elaborato e vissuta
di libertà; la modernità non è stata capace di mantenere
quella promessa di libertà su cui si è costruita. In un parola,
illustrissimi signori Dottori, la mia tesi centrale è la seguente:
la modernità è stata una promessa mancata di libertà.
Ho già così anche indicato come si svolgerà la
mia riflessione. Si svolgerà in due punti, corrispondenti alle due
tesi sopra enunciate. Ovviamente il tempo a mia disposizione mi costringe
a fare un discorso molto schematico: ma scientibus loquor.
1. Libertà e modernità. Vorrei che partissimo dalla considerazione
di ciò che “proviamo” dentro di noi, quando compiamo un atto libero.
L’atto libero è un inizio assoluto, così che ciascuno di
noi “si sente” causa dell’atto con una causalità piena: è
il mio atto (di cui io rispondo); sono io che agisco. Proviamo a soffermarci
un momento su questa duplice dimensione dell’atto libero.
Parlare di “inizio assoluto” ha qui un significato assai preciso: l’atto
in questione non trova nessuna spiegazione sufficiente del suo porsi né
in ciò che lo precede né in ciò che lo segue. Ho detto
“sufficiente”, poiché ogni nostro atto libero è sempre preceduto
dall’attività deliberativa della nostra ragione. Ma, come già
annotava il poeta Ovidio, “vedo il bene o lo approvo [ecco l’attività
della ragione] e faccio il male”: la scelta non trova spiegazione in ciò
che la precede. Questa proprietà dell’atto libero ci fa “sentire”
causa di ciò che operiamo in un modo unico.
La grandezza suprema della persona, la dimensione che la rende più
simile a Dio, è precisamente l’esercizio della sua libertà.
Ma è precisamente in esso (esercizio) che dimora la domanda ultima
sull’uomo: che senso ha l’essere liberi? perché sono libero? quale
è il significato ultimo del nostro essere liberi? A questa domanda
si possono dare due risposte contrarie (e quindi se è vera l’una,
è falsa l’altra). Prima risposta possibile: il significato ultimo
della libertà consiste nell’essere la persona umana chiamata a rispondere
ad un Tu che la chiama ad una comunione di Amore. Dunque: l’atto libero
ha la struttura intima di “risposta”. Ed in questo senso, la libertà
umana non è un primum: essa è preceduta (non cronologicamente)
da un Altro che la pone. Seconda risposta possibile: il significato ultimo
della libertà consiste nella libertà stessa. L’atto libero
non ha pre-supposti: è un primum. La modernità nasce quando
alla domanda sulla libertà e sul suo significato si risponde nel
secondo modo. In questo senso, la modernità trova nel progetto di
una liberazione totale della persona umana il suo fondamentale codice interpretativo,
come chiarirò subito.
Ora vorrei offrirvi alcuni spunti per la vostra riflessione al fine
di vedere alcune vie percorse da questo progetto. Così si capisce
meglio in che senso la libertà sia la categoria fondamentale della
modernità. Mi devo però limitare ad un aspetto della questione
che espongo subito.
Il progetto sopra enunciato, per realizzarsi, deve fare immediatamente
i conti con una serie di fatti che testardamente lo contestano. Come si
può dire che la libertà è un qualcosa che non ha pre-supposti,
un primum, quando tu già ti trovi di fronte ad una realtà
che non sei tu a porre, ma nella quale sei stato posto? Questa realtà
è la natura fuori di te; questa realtà è la natura
che è dentro di te; questa realtà sono gli altri che tu ti
trovi di fronte. Il problema della modernità come problema della
libertà diventa il problema di poter disporre di ciò che
si presenta come pre-supposto alla libertà. In questo senso preciso,
il problema moderno della libertà si pone sempre come problema di
liberazione della libertà (se così posso dire) da tutto ciò
che ne sembra negare il primato e l’originarietà. La libertà
cioè è sentita come “potere di ...”, essendo prevalentemente
esperita come “libertà da ...”.
- Il rapporto uomo / natura è pensato come progressiva conquista
da parte dell’uomo della natura medesima, al fine di poterne fare ogni
uso possibile. La scienza moderna così intrinsecamente connessa
colla tecnologia esprime questo primo e fondamentale percorso della modernità.
Ad un rapporto tendenzialmente contemplativo subentra un rapporto dominativo.
- Il rapporto uomo / corpo (o la natura che è dentro di te)
si configura in modo analogo. Non possiamo percorrere tutta la vicenda
vissuta dalla modernità nei confronti del corpo umano. E’ sufficiente
dire che il corpo è sempre più pensato come estraneo alla
costituzione della persona: la persona non è il suo corpo. Di conseguenza
viene negato una intrinseca significatività umana del corpo: è
la libertà che crea ed inventa il significato del corpo. Detto in
altri termini. Il “naturale” che è nell’uomo è a completa
disposizione della libertà: si pensi agli attuali progetti di ingegneria
genetica.
- Il rapporto uomo / uomo è pensato come la contrapposizione
di due libertà in linea di principio assolute, cioè senza
reciproci legami. (Al riguardo è assai significativo la “sorte”
della donna nella modernità: non abbiamo il tempo di fermarci).
L’unica “forma” di incontro possibile diventa il contratto, reso necessario
dal proprio interesse individuale. Il contrattualismo e l’utilitarismo
sono i due codici morali della modernità, quando affronta il tema
della socialità umana.
Forse il manifesto più suggestivo della modernità è
pronunciato da Faust morente:
Aprirò spazi dove milioni di uomini/ vivranno non sicuri, ma
liberi e attivi. /Verdi, fertili i campi; uomini e greggi/ subito a loro
agio sulla terra nuovissima,/ al riparo dell’argine possente/ innalzato
da un popolo ardito e laborioso./ Qui all’interno un paradiso in terra,/
laggiù infurino pure i flutti fino all’orlo;/ se fanno breccia a
irrompere violenti,/ corre a chiuderla un impeto comune./ Sì,
mi sono votato a questa idea,/ la conclusione della saggezza è questa:
merita libertà e la vita solo/ chi ogni giorno le deve conquistare./
Così vivranno, avvolti dal pericolo,/ magnanimi il fanciullo, l’uomo
e il vecchio./Vorrei vedere un simile fervore,/ stare su suolo libero con
un libero popolo./ All’attimo direi: Sei così bello, fermati!/ Gli
evi non potranno cancellare la traccia dei miei giorni terreni. -/ Presentendo
una gioia così alta/ io godo adesso l’attimo supremo. (J.W.
Goethe, Faust Urfaust, vol. secondo, ed. Garzanti, Milano 1994, pag. 1041)
2. Una promessa mancata. Il testo di Goethe è assai fine: esso
è già percorso dal dubbio (usa il condizionale “direi”).
La modernità è stata una promessa mancata? La mia risposta
è affermativa. Prima tuttavia di esporla, vorrei fare una precisazione
assai importante.
Dicendo che la modernità è una promessa mancata, non
intendo dire rozzamente che essa non ha aiutato l’uomo a raggiungere dei
“guadagni spirituali” che devono ritenersi definitivamente acquisiti: basti
pensare alla medicina e alla democrazia politica. Non sto facendo cioè
un bilancio nel senso di distribuire sui due piatti “pro” e contra” la
modernità, per verificare poi da quale parte si fissi la lancetta.
La mia domanda è più semplice e quindi più profonda:
una promessa di libertà, quale è stata fatta all’uomo dalla
modernità, è sensata oppure è una promessa che non
poteva essere mantenuta? E’ a questa domanda che rispondo, dicendo che
la modernità è una promessa mancata.
La modernità vive fino a quando, nonostante tutti gli scacchi
subiti, si continua a ritenere sensata quella promessa. La modernità
finisce quando si attribuiscono gli scacchi non alla difficoltà
insita nella realizzazione, ma alla insensatezza della promessa come tale.
Cerchiamo di vedere il “vicolo chiuso” in cui sono finiti i tre percorsi
di cui ho parlato nel punto precedente.
Il problema ecologico sta ad indicare che il rapporto uomo-natura è
arrivato a configurarsi in modo tale che esige di essere ripensato integralmente.
Certo: la soluzione non è il passaggio da una libertà senza
natura ad una natura senza libertà, come sembra proporre una certa
ideologia ecologica. Tuttavia l’aver tolto, in linea di principio, ogni
confine fra cultura e natura, ha finito per evacuare completamente la soggettività
umana.
Il vicolo chiuso in cui si è cacciato il rapporto della persona
col proprio corpo, quale si è andato configurando nella modernità,
è dimostrato e dalle difficoltà insormontabili in cui si
dibatte la bioetica dal punto di vista della meta-etica cui ispirarsi e
dalla dottrina etica della sessualità. Vorrei fermarmi un momento
a considerare questo secondo aspetto. L’etica contemporanea della sessualità
è caratterizzata da un sistema di sconnessioni, tutte generate dalla
separazione del corpo dalla persona o della spersonalizzazione del corpo
e correlativa scorporazione (disincarnazione) della persona. Esse (sconnessioni)
sono: la sessualità dall’amore (e reciprocamente); la sessualità
dalla fecondità (e reciprocamente). In una parola: esercizio della
sessualità e matrimonio non sono (non devono essere) correlati.
La prima sconnessione ha finito col ridurre la sessualità ad un
gioco o comunque ad un’attività che non implica per sé alcuna
serietà. Il rapporto della reciprocità originaria, quello
fra l’uomo e la donna, è pensato come una contrattazione nella quale
ci si scambia liberamente un bene di cui fruire per un certo tempo: il
proprio corpo. La seconda sconnessione ha condotto ad una effettiva de-responsabilizzazione
della persona nei confronti della propria sessualità, poiché
ha rinchiuso il soggetto sempre più ermeticamente dentro di sé.
Il rapporto uomo-uomo dominato dal codice morale del contrattualismo
e dell’utilitarismo, ha cacciato la società civile in una via lungo
la quale non può trovare che l’anomia profonda.
La convivenza civile oggi infatti si è veramente cacciata in
un vicolo chiuso. Diviene sempre più profondamente incapace di costruire
una vera comunità umana, di dare origine ad un popolo nel senso
forte del termine. Per quale ragione? per essersi costruita su una visione
della persona umana ridotta ad un individuo mosso ad agire solo dalla ricerca
del proprio utile. E’ questa riduzione che attiene sia all’essere dell’uomo
(la persona umana è considerata originariamente un individuo) sia
all’agire dell’uomo (l’individuo è mosso ad agire solo dalla ricerca
del proprio utile), a rendere impossibile una vera comunità umana.
Consideriamo in primo luogo la riduzione attinente all’essere umano.
Essa consiste nel passaggio, compiuto all’interno del percorso della modernità,
dalla definizione dell’essere umano come persona alla definizione dello
stesso come individuo. E’ una svolta davvero “epocale”, della quale non
ci rendiamo conto pienamente, tanto è vero che il dire “individuo”
o “persona” è per noi sinonimo. Ma c’è una diversità
sostanziale: anche le piante, anche gli animali sono individui, ma non
sono persone.
L’idea e l’esperienza di persona denota la realtà di un soggetto
che sussiste in se stesso (non come parte di un tutto) e per se stesso
(non finalizzato al bene di un tutto di cui egli sarebbe una parte). Ma
un soggetto che si trova originariamente, cioè per sua stessa costituzione
o natura, in relazione con le altre persone. A causa di questa sua
condizione ontologica, la persona, ogni persona è irripetibile,
non entra a far parte di nessuna serie. E’ la realtà più
perfetta, più preziosa che esista: il mondo intero vale meno di
una sola persona. Quando si riduce la persona a mero individuo? Quando
si nega che ogni uomo sia costituzionalmente o naturalmente in relazione
con l’altro; quando si nega che l’uomo sia capace di autotrascendersi,
cioè di cercare il bene dell’altro in quanto altro. Di conseguenza
la società non esiste e non è pensabile indipendentemente
dagli interessi degli individui: si sta assieme se, nella misura in cui
e fino a quando ho un interesse per farlo. La società umana nasce
dal compromesso di interessi opposti e la giustizia non è altro
che una ragionevole composizione di egoismi contrastanti.
Ci siamo già addentrati nella riduzione antropologica attinente
all’agire della persona. Essa consiste nel ritenere che o comunque
nel vivere come se, ciascuno sia mosso ad agire solo dal proprio interesse
individuale. Ad un esercizio della propria razionalità teso alla
conoscenza di un bene che è tale non solo per me, ma in sé
e per sé e quindi per ogni persona ragionevole, subentra un esercizio
della propria razionalità semplicemente auto-interessata. In tale
esercizio della propria razionalità può radicarsi solo un
esercizio della propria libertà governato non più dalla c.d.
regola d’oro: “fai all’altro ciò che vuoi che l’altro faccia a te”,
ma da quella che venne chiamata la regola di rame: “fai all’altro quello
che l’altro fa a te”.
Perché una tale visione è incapace di dare origine ad
un vera società umana, ad un popolo nel senso più forte del
termine? Perché il fatto umano originario che fa sì che una
moltitudine di persone diventi ciò che chiamiamo comunità
o società umana è che ciascuno sia capace di intravedere
e di volere un bene che sia veramente bene comune. Cioè: il bene
della persona umana come tale e quindi di ogni persona singolarmente presa.
Se questo “auto-superamento cognitivo (= non conosco solo i miei interessi)
e morale (= non voglio solo il mio bene proprio)” non fosse possibile,
saremmo inevitabilmente condannati ad una mera distribuzione di vantaggi.
Come non ricordare a questo punto il poeta Eliot? “Siamo gli uomini vuoti/
siamo gli uomini impagliati/ che appoggiamo l’un l’altro/ la testa di paglia”.
E siamo così arrivati al punto centrale che spiega il mancato
mantenimento della promessa della modernità: l’aver elevato la persona,
meglio il singolo a misura della realtà. Il punto a cui siamo arrivati
è veramente decisivo per tutta l’interpretazione che sto dando della
modernità.
S. Tommaso afferma in continuità che il primo atto dello spirito
umano consiste nello stupore di chi apprende che c’è qualcosa/qualcuno
(primum quod cadit in apprehensione mentis est ens, continua a ripetere
il santo dottore). Cartesio, uno dei padri della modernità, afferma
che il primo atto dello spirito umano deve essere la messa in dubbio di
tutto ciò che esiste, anche di se stessi. In questa prospettiva
all’uomo viene imposto un carico immane: giustificare il reale. Alla fine,
a mio giudizio, coerente, di questa “opzione” (poiché di opzione
si tratta), trova la sua origine ultima, quella perdita di ogni punto di
riferimento, che caratterizza oggi il nostro modo di vivere la nostra
esistenza “eticamente neutra”.
Per esistenza eticamente neutra intendo una esistenza che riduce ogni
scelta a questioni tecniche, ossia che è indifferente al problema
di ciò che è bene/male. E’ una esistenza che si realizza
dentro ad una società nella quale non si fanno più scelte
etiche, non si indicano più scelte etiche. ci si limita a dire a
ciascuno: ogni scelta d’azione è individuale, tu fai la tua, dal
momento che non esiste più una regola comune e le scelte non sono
più confrontabili fra loro, dal momento che non esiste più
differenza l’una dall’altra. Z. Bauman parla di una esistenza “adiaforica”.
Conclusione: L’esperienza della modernità è terminata
e quindi stiamo congedandoci da essa. Come dobbiamo farlo? Se non vado
errato, mi sembra che ci siano oggi tre proposte di congedo dalla modernità.
La proposta neo-pagana. Parte da due presupposti: la modernità
è lo sviluppo coerente della visione cristiana dell’uomo e di questa
stessa visione è il punto finale; la modernità ha fallito
perché ha tentato di realizzare un cristianesimo senza grazia, perché
ha addossato solo all’uomo il peso di una salvezza completa. E’ necessario
congedarsi da questo progetto, estinguendo in noi stessi quel desiderio
di eternità personale che il cristianesimo hainoculato nell'’uomo.
Vitae summa brevis spem nos vetat inchoare longam (Orazio): ritorniamo
alla nostra finitudine, che non è una finitudine creaturale, ma
semplicemente naturale. In Italia il grande maestro di questa proposta
è S. Natoli.
La proposta nichilista. La perdita del centro, “di un punto archimedeo
facendo leva sul quale potremmo di nuovo dare un nome all’intero” (F. Volpi)
è da ritenersi definitiva. Si deve tessere l’esistenza al modo di
Penelope, cioè fare e disfare nella certezza che non arriverà
più nessuno a porre fine ad un tessuto che non esprime più
nessun disegno, nella totale perdita della speranza di un Incontro. E il
tutto non tragicamente, ma ormai allegramente. E’ questa proposta soprattutto
che sta devastando il cuore di tanti giovani.
La proposta di una nuova evangelizzazione. E’ la proposta che Giovanni
Paolo II sta facendo con la Chiesa Cattolica: percorrere nuovamente tutti
i cammini dell’uomo (l’uomo è la via della Chiesa) perché
ogni cammino umano sia luogo di incontro con Cristo (Cristo è la
via della Chiesa). Questa proposta si congeda dalla modernità accogliendone
pienamente la grande sfida.
Illustri signori Dottori,
ho finito. Fuit necessarium humano generi ut Deus homo fieret, ad demostrandum
naturae humanae dignitatem (S. Tommaso, Compendium Teologiae 381). Questo
è il congedo dalla modernità: assumere pienamente la fatica
di affermare la dignità della persona umana, il primato esistenziale
della libertà, mostrando dove questa affermazione si è interamente
realizzata, dove questo primato è stato pienamente svelato: nella
persona del Verbo incarnato.
Dixi.
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