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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Scuola della Fede
[2]
Dio viene incontro all’uomo
19 febbraio 2013


1. L’apostolo Paolo nel discorso fatto ad Atene, parlando della ricerca di Dio da parte dell’uomo, usa un’immagine stupenda. Egli dice che gli uomini cercano Dio "andando come a tentoni" [At 17,27].

L’espressione paolina richiama sicuramente alla nostra memoria un’esperienza che abbiamo vissuto: trovarci all’improvviso al buio, e dover cercare di fare luce. E’ questa la grande metafora che usa spesso Paolo per cercare di descrivere l’uomo alla ricerca di Dio: una stanza buia; un grande bisogno di luce; la ricerca della luce per illuminare la stanza dove viviamo.

Perché una stanza buia? Perché siamo costretti a farci delle domande che superano la nostra capacità di rispondere [perché la sofferenza dell’innocente? Perché tanta ingiustizia nella storia? Alla fine: che senso ha il tutto?].

Perché un grande bisogno di luce? Perché possiamo ignorare tante cose [se c’è o non c’è vita su Marte; che cosa è la materia oscura], ma non possiamo ignorare, per esempio, se colla morte finiamo interamente; se la nostra sofferenza ha un senso o no.

Ora, Dio ci ha dato dei segnali in questa stanza buia in cui andiamo a tentoni; non ci muoviamo a caso. L’apostolo Paolo, sempre nello stesso contesto, ci dice che Dio non è lontano da ciascuno di noi.

Questa sera, in questa seconda lezione della nostra Scuola della fede, vorrei aiutarvi a notare i segni della vicinanza di Dio a ciascuno di noi; i segni che Dio viene incontro all’uomo che lo cerca a tentoni.

Vi prego di prestare molta attenzione, perché la riflessione esige un impegno vero della vostra persona.

2.[Primo segno di Dio che ci viene incontro]. Inizio richiamando la vostra attenzione su un fatto che è talmente abituale, da poterci sembrare perfino banale. Il fatto è il seguente: noi diamo un giudizio secondo un "più" o un "meno". La cosa vi risulterà chiara subito. Prima però devo fare una precisazione assai importante.

Esistono delle perfezioni, delle doti umane, che è sempre bene possedere: sempre e comunque. Per esempio: essere intelligenti; essere santi; essere giusti. Non sarà mai vero che è meglio essere stupidi ed ignoranti piuttosto che intelligenti ed istruiti; essere moralmente perversi piuttosto che santi; essere ladri piuttosto che onesti.

Esistono invece delle perfezioni, delle doti umane che è bene possedere, ma che in senso assoluto sarebbe meglio non esserne in possesso. Faccio un esempio. Fare l’elemosina ai poveri è una vera perfezione morale, degna di lode e di ammirazione. Tuttavia, il fatto che io faccia l’elemosina implica che ci siano persone che non hanno di che vivere.

Chiamiamo le prime perfezioni pure. Esse sono qualità della persona che, in senso assoluto ed eminente, e in qualsiasi condizione è sempre e comunque meglio possedere che non possedere. Nella riflessione che faremo, parlerò esclusivamente di esse. E ritorno al fatto da cui sono partito.

Noi diciamo che A è più bello(a) di B, e che C è più bello(a) di A. Indicate colle lettere persone, opere d’arte, brani musicali.

Ciascuno di noi istituisce, o meglio vede una gradazione nella misura in cui A, B, e C sono belli(e). Come è possibile questo? E’ possibile solo perché abbiamo come la percezione di una bellezza assoluta che non entra più nella scala del più e del meno. Avendo in mente questa Bellezza assoluta posso dire A si avvicina di più, è più simile ad essa di B; cioè: A è più bello(a) di B.

Esiste dunque nella nostra mente come il riflesso di una Bellezza assoluta, illimitata, pura, non mista cioè a niente di brutto e di turpe.

E’ Dio che mostra il suo volto all’uomo che lo cerca come a tentoni.

3.[Secondo segno che Dio ci viene incontro]. Questo segno è ancora più chiaro e coinvolgente. Inizio sempre richiamando la vostra attenzione su un fatto che accade non raramente dentro di noi: l’esperienza morale. Cerco di farvela ora percepire, mediante quel fenomeno spirituale che è l’esperienza del dovere.

Immaginate di potervi trovare nella situazione di chi può arricchirsi compiendo un grande furto, nella certezza che nessun tribunale mai vi condannerà, che nessuno mai lo verrà a sapere.

In una situazione come questa voi sentite come una voce che vi dice: "puoi rubare, ma non devi". Fate bene attenzione a voi stessi. Non è il discorso tipo: "il furto è un’ingiustizia", cioè l’intimazione di un obbligo morale universalmente valido. E’ a te che il "devi" è rivolto: tu non devi rubare. E’ un discorso rivolto alla tua persona.

Non solo, ma questo "devi" è carico di una forza straordinaria, incondizionata. Non dice: "se non vuoi andare in prigione, non rubare"; non dice: "se non vuoi perdere il tuo buon nome, non rubare"; "potrebbero venirlo a sapere altri". Ma semplicemente: "tu non devi".

E’ tuttavia una forza molto…fragile, perché è una voce che interloquisce con la libertà. Non è la forza delle leggi fisiche, biologiche, o chimiche: non ammettono scelte. Non è la forza delle leggi logiche che governano l’esercizio della nostra ragione: essa non può sottrarsi. A quell’intimazione invece la libertà può dire: "devo, ma non voglio".

Dunque, risuona dentro di noi un comando che si rivolge alla nostra persona nel suo intimo più profondo, la sua libertà; è un comando incondizionato che non ammette scappatoie. E’, in sintesi, il comando di una Persona ad una persona.

La forza che possiede questo comando è tale che non può avere origine dalla persona stessa: chi ha l’autorità e la forza di legare, ha anche l’autorità e la forza di slegare. Non può aver origine dal costume sociale. Esso risuona anche per scelte che riguardano esclusivamente l’interiorità della persona; o per scelte che non diventeranno mai note alla pubblica opinione. Ascoltiamo ora una profonda spiegazione di questo fenomeno spirituale.

"Nell’intimo della coscienza l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire e la cui voce che lo chiama sempre ad amare e a fare il bene e a fuggire il male, quando occorre, chiaramente dice alle orecchie del cuore: fa’ questo, fuggi quest’altro…La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità propria" [Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et Spes 16, EV 1, 1369].

Alla persona che lo cerca a tentoni, Dio viene incontro mediante la voce della coscienza, che fa risuonare nel nostro intimo la voce stessa di Dio.

Concludiamo questa riflessione. Dio non ha lasciato brancolare l’uomo nel buio della stanza della vita. Gli viene incontro su due strade.

Mediante l’esercizio retto della sua ragione, la persona umana riflette una Verità, una Bellezza che la trascendono ma che nello stesso tempo le sono immanenti.

Mediante l’esercizio della sua libertà, la persona umana sente risuonare in se stessa una voce di una tale potenza e delicatezza che non può provenire che dalla stessa Bontà che è Dio.