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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


"NIENTE SIA ANTEPOSTO A CRISTO"

Lettera Pastorale dell’Arcivescovo Carlo Caffarra
per il Grande Giubileo 2000


Carissimi fratelli e sorelle,

quando con timore e tremore venni in mezzo a voi vi dissi: "guardiamo unicamente a Lui, il Cristo che dona se stesso sulla Croce, il Cristo che effonde il suo sangue per la remissione dei peccati: donazione ed effusione eucaristicamente sempre presenti nella Chiesa. Quell’evento è il centro di tutto, ciò in vista di cui tutto è stato creato: niente potrà, dovrà sostituirlo o surrogarlo" (Omelia di ingresso 04-11-95).

Questa lettera che vi invio, e colla quale in un certo senso viene indetto anche per la nostra Chiesa di Ferrara-Comacchio il Grande Giubileo 2000, è un aiuto che vi offro perché viviate l’Anno Santo completamente rapiti nella visione di Cristo crocefisso-risorto. Perché si realizzi in ciascuno di noi la profezia: "volgeranno lo sguardo a Colui che hanno trafitto" (Zac 12,10).

La pongo nelle vostre mani perché leggendola, il vostro cuore arda al pensiero dell’infinita misericordia del Padre.

 

CAPITOLO I

 

LA CONVERSIONE A CRISTO

"… al fine di essere trovato in Lui" (Fil. 3,9)

 

1. " Al momento favorevole ti ho esaudito e nel giorno della salvezza ti ho soccorso. Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza" (2Cor. 6,2).

Dopo anni di preparazione, solennemente iniziata nella nostra Basilica Cattedrale il 23 novembre 1996, siamo ormai all’inizio del Grande Giubileo 2000. Dentro alla nostra Chiesa, a ciascuno di noi lo Spirito Santo dice: "ecco ora il momento favorevole; ecco ora il giorno della salvezza". Ed ancora: "oggi, se udite la sua voce, non indurite i vostri cuori come nel giorno della ribellione" (Sal 95,8 e Eb 3,7-4,10).

Questo è l’evento giubilare nella sua intima essenza: l’occasione propizia per la nostra conversione; l’ "oggi" offerto dal Padre alla nostra Chiesa e a ciascuno di noi per la nostra intera redenzione in Cristo. La liturgia ci introduce ogni anno alla celebrazione natalizia del mistero dell’Incarnazione con le seguenti parole: "Oggi saprete che il Signore viene, e domani vedrete la sua gloria" (Invitatorio alla Liturgia delle Ore della Vigilia di Natale). Il Grande Giubileo 2000 ci è donato perché possa avere attuazione quanto dice la Liturgia.

Ci è dato perché "sappiamo" [saprete], percepiamo nel profondo della nostra persona che "il Verbo si è fatto carne e venne ad abitare in mezzo a noi" (Gv 1,14). E perché lo sappiamo "oggi", nel nostro presente, consapevoli che questo "oggi" è l’essenza e la dimensione di tutta la nostra vita sulla terra. E poi "domani vedrete la sua gloria": saremo introdotti nella piena partecipazione della Vita divina.

"Questo giorno è quello che viviamo in questo mondo. Tutta la nostra vita presente è rappresentata con un sola giornata. Perciò, mediante questo mistero ci si insegna a non rimandare domani i nostri atti e le nostre opere di giustizia, ma affrettarci oggi (cfr. Eb 3,13) … a compiere tutto ciò che riguarda la perfezione e così finalmente potremo … entrare nella terra della promessa cioè nella beatitudine della perfezione" (Origene, Omelie su Giosuè, CN, Roma 1993, pag. 90-91).

Certamente la celebrazione del Giubileo sarà anche caratterizzata da iniziative esteriori. Ma esse hanno senso se esprimono l’anima della celebrazione giubilare: la nostra conversione. Solo se le iniziative esteriori significano questo avvenimento che accade nel cuore della persona, hanno valore.

2. Vorrei allora aiutarvi ad avere un’intelligenza vera e profonda della conversione. Aiutarvi a pensarla cristianamente.

Parlando di conversione, siamo subito portati forse a pensare ad un cambiamento della nostra vita nella sua dimensione morale: passaggio da una condotta sregolata ad una condotta ordinata secondo valori e leggi morali.

Benché questo modo di pensare la conversione non sia falso, esso tuttavia non ne coglie il centro e, pertanto, se ci limitiamo ad una concezione etica della conversione, alla fine si cade in una visione errata della medesima.

Convertirsi non significa principalmente allontanarsi dal male e volgersi al bene. Significa volgersi a Cristo. La conversione consiste nel volgersi a Cristo per essere posti da Lui, in Lui e come Lui nella relazione figliale col Padre. Il Grande Giubileo 2000 è "il momento favorevole", è "il giorno della salvezza" perché esso è celebrato al fine che ogni uomo si converta a Cristo, dal momento che esso è il bimillesimo anniversario della sua Incarnazione. "Con lo sguardo fisso al mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio, la Chiesa si appresta a varcare la soglia del terzo millennio" (Giovanni Paolo II, Incarnationis mysterium , n. 1).

In questo il Giubileo cristiano si differenzia nella sua propria identità dal Giubileo ebraico. Mentre questo si caratterizza principalmente per una conversione etica di carattere sociale (cfr. Lev 25,10.27.28.40-41), la preoccupazione di una più grande giustizia sociale, benché presente, non occupa il centro del Giubileo cristiano. Il centro è la ricostruzione del nostro rapporto con Cristo. E’ la nostra conversione a Lui, come a Colui che condiziona primariamente e assolutamente, e determina tutta la nostra vita, esigendo un ri-dimensionamento e una ri-sistemazione completamente nuova del proprio modo di essere liberi. (cfr. Gal. 5,1.13).

3. La pagina della Lettera ai Filippesi (3,4-11), nella quale precisamente S. Paolo descrive la sua conversione, è particolarmente utile per introdurci nel cuore del Giubileo. Essa ci dona la verità rivelata sulla conversione cristiana.

L’avvenimento della conversione implica due momenti sempre congiunti, come il dritto e l’inverso – se così posso dire – o il concavo e il convesso della stessa figura: sempre correlativi l’uno all’altro, cioè interdipendenti.

Il primo momento è costituito da un cambiamento radicale che avviene nel proprio spirito. Nel modo di pensare, "di considerare" la realtà: "quello che poteva essere per me un guadagno, l’ho considerato una perdita …come una spazzatura"(v.7). E’ un capovolgimento totale nel giudizio, nell’interpretazione, nella valorizzazione della realtà.

Nel modo di agire, di essere liberi: "ho lasciato perdere tutte queste cose"(v.8). E’ un capovolgimento totale nella volontà, nelle intenzioni, nella ricerca della propria beatitudine: nell’asse attorno cui ruota l’esistenza.

Il secondo momento è costituito da un incontro con una Persona, dall’instaurarsi di una relazione del tutto singolare con la persona di Cristo.

Se ci chiediamo: "a causa di che cosa, nel convertito accade questo radicale capovolgimento nel modo di pensare e di agire?", la risposta non è: "poiché ragionando meglio ha capito che esistevano valori più importanti". La risposta è: "quel radicale capovolgimento è accaduto a causa di Cristo" (13b). Cioè: ha incontrato uno che gli ha fatto vedere nello splendore della verità e gustare nella forza del bene, l’intero significato della vita. La conversione non è il risultato di un ragionamento o di una indefinita ed intensa emozione spirituale: è l’imbattersi nella persona vivente di Cristo e restarne totalmente affascinato.

E’ assai importante notare accuratamente come Paolo cerca di descrivere questa relazione con Cristo. Egli parla di "conoscenza di Cristo": è una relazione di conoscenza. Come è noto, nella S. Scrittura conoscere non connota solo un’attività dell’intelligenza: è un rapporto in cui la persona è coinvolta totalmente. Paolo parla di "guadagnare Cristo": espressione significativa! La persona di Cristo, l’essere in un rapporto unico con Lui ("mio" Signore: 8a) è come una ricchezza, un tesoro di una tale preziosità che lo si vuole possedere costi quel che costi (cfr. Mt 13,44). S. Paolo parla di "essere trovato in Lui (= Cristo)". E questa è forse la suggestione più forte per descrivere la relazione con Cristo: essere in Lui. Incontrarlo fino al punto che non sei più in te stesso, ma cominci ad essere in Lui. Scrivendo ai Galati, S. Paolo dirà: "non sono più io che vivo, ma solo Cristo vive in me" (2,20b). "Cioè: nel mio affetto esiste solo Cristo e Lui stesso è la mia vita" (S. Tommaso d’A., Lezioni sulla Lett. ai Galati, VI, 107).

La conversione, anima del Giubileo, è la totale consegna di se stessi a Gesù Cristo, che comporta un totale rinnovamento nella propria soggettività ed una ricostruzione di essa: crea un cuore nuovo.

4. Ma non si comprenderebbe appieno la pagina paolina che stiamo meditando come chiave che ci apre l’accesso alle profondità del Giubileo, se non ci fermassimo a considerare di che cosa parla l’apostolo, quando parla di ciò che ha considerato una perdita e come spazzatura.

Stupisce sicuramente il fatto che Paolo non giudica così negativamente condotte moralmente riprovevoli. In un certo senso, questo non avrebbe in sé nulla di strano. Il fatto è che viene giudicata una perdita e come spazzatura un modo di vivere di cui l’apostolo poteva gloriarsi e non vergognarsi (cfr. Fil 3,4-6): un modo di vivere "irreprensibile quanto alla giustizia che deriva dall’osservanza della legge" (6b). la legge donata da Dio al suo popolo eletto. E qui tocchiamo veramente il cuore della conversione cristiana e dunque di tutta la celebrazione del Giubileo.

Nella pagina che stiamo meditando, S. Paolo contrappone una "giustizia derivante dalla Legge" ad una "giustizia … che deriva dalla fede in Cristo" (cfr. 9). Non diamo al termine giustizia il significato ristretto che ha nel nostro linguaggio comune. Qui significa quella condizione che modifica l’essere della nostra persona in modo tale che Dio, l’unico giudice della persona stessa, non ha più nulla da condannare in essa. E’ la condizione che assicura all’uomo la sua definitiva salvezza.

Due sono le scelte fondamentali che privano l’uomo di queste condizioni. La prima è quella di vivere contrariamente alla santa legge di Dio. Le opere che sono frutto di questa scelta sono così indicate dall’apostolo: fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere. E "chi li compie" conclude l’apostolo "non erediterà il Regno" (Gal. 5,20-21). Ma esiste anche un’altra scelta di vita che ci rende ingiusti agli occhi di Dio. E’ quella di chi attraverso un comportamento moralmente ineccepibile, attribuisce alla sua moralità la capacità di salvarlo. E’ quella di chi pensa ed agisce sulla base della convinzione che è l’impegno dell’uomo a salvare l’uomo: non altro, alla fine.

Se riflettiamo attentamente vediamo che alla radice di queste due modalità dell’esistenza sta la decisione di non dipendere dalla grazia e dalla misericordia di Dio, rivelataci in Cristo: di non vivere nell’esperienza del dono. E’ il rifiuto di questa fonte di grazia, pretendendo di trovare il proprio bene fuori della santa Legge del Signore oppure di trovare in se stesso, nelle proprie opere, la ragione ultima della propria salvezza.

Il punto essenziale della conversione e quindi il cuore di tutta la celebrazione del Giubileo è pertanto il seguente: fare dell’adesione a Cristo il fondamento di tutta la propria vita e desiderare di appartenerGli definitivamente, sempre più profondamente: di "essere trovato in Lui".

Ci aiuterà molto il confronto fra la descrizione della propria conversione fatta da Paolo nella lettera ai Filippesi e l’episodio del giovane ricco e la sua mancata conversione (cfr. Mt 19, 16-22). Egli, come Paolo, ha sempre osservato tutta la santa Legge del Signore. Tuttavia, egli sente che gli manca ancora "qualcosa" per ottenere una vita eterna. Egli possiede certo una giustizia che gli proveniva dall’osservanza di tutti i comandamenti: ma non basta. Che cosa gli manca? Gesù glielo dice: "vieni e seguimi". Non è l’invito soltanto a mettersi in ascolto di un insegnamento di un nuovo e più grande Rabbi, di cui il giovane aveva subito il fascino. "Si tratta, più radicalmente di aderire alla persona stessa di Gesù, di condividere la sua vita e il suo destino, di partecipare alla sua obbedienza libera e amorosa alla volontà del Padre". (Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Veritatis splendor 19,2; EE8, 1552). Questa totale uscita da sé, dal proprio avere ["aveva molte ricchezze": Mt 19,22b] e dal proprio essere appoggiato su se stesso, è rifiutato dal giovane: e "se ne andò triste". Al contrario di Paolo che vuole essere trovato non nel proprio io ma in Cristo, partecipando al suo mistero di morte e risurrezione (vv. 10-11). Il Giubileo pone ciascuno di noi di fronte a queste due possibilità: o quella del giovane ricco o quella di Paolo.

"L’uomo che vuol comprendere se stesso fino in fondo non soltanto secondo immediati, parziali, spesso superficiali, e perfino apparenti criteri e misure del proprio essere deve, con la sua inquietudine e incertezza e anche con la sua debolezza e peccaminosità, con la sua vita e morte, avvicinarsi a Cristo. Egli deve, per così dire, entrare in Lui con tutto se stesso, deve appropriarsi e assimilare tutta la realtà dell’Incarnazione e della Redenzione per ritrovare se stesso" (Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Redemptor hominis 10; EE8,28).

 

CAPITOLO SECONDO

 

IL MISTERO DELL’INCARNAZIONE

"il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi" (Gv 1,14)

 

5. Quando S. Paolo descrive la sua conversione a Cristo, non descrive un processo interiore accaduto esclusivamente nell’intimo della propria soggettività. Egli narra ciò che è accaduto in Lui nel momento in cui ha incontrato una persona viva: anzi, nel momento in cui una persona, Gesù di Nazareth crocefisso-risorto, è entrata nella sua vita. Si faccia bene attenzione. Nella pagina appena meditata l’apostolo non descrive un cambiamento che è accaduto nella sua vita per aver egli appreso una nuova dottrina che mette in discussione opinioni precedentemente seguite. Ha conosciuto una persona che prima non conosceva: e questa persona ha cambiato la sua vita.

La conversione cristiana è sempre la conseguenza del nostro incontro con la persona di Gesù. E pertanto la celebrazione del Giubileo o è un vero, nuovo e più profondo incontro colla persona di Gesù o sarà passato invano, anche se esteriormente celebrato con solennità.

Ma che cosa significa "incontrare la persona di Gesù"? come è possibile oggi incontrare e dove è possibile oggi incontrare la persona di Gesù? Sono queste le domande centrali che ci dobbiamo porre, se non vogliamo celebrare invano il Giubileo.

6. Molteplici fattori, fuori e (purtroppo!) anche dentro la Chiesa, possono aver oscurato la gioiosa certezza che sta al centro della nostra fede: Gesù Cristo è vivo oggi fra noi, come persona unica ed irripetibile, assolutamente singolare. E’ vivo nella pienezza della vita dovuta all’azione risuscitante del Padre.

Vorrei, carissimi fratelli e sorelle, che riflettessimo profondamente e pacatamente su questo fatto. Gesù non è risuscitato nel senso che la sua "dottrina", il suo "messaggio", la sua "causa" continua ad essere portata avanti dai suoi discepoli. Gesù non è risuscitato nel senso che alcuni uomini hanno attribuito alla sua morte un significato esemplare eternamente valido. Egli è risuscitato come un "Tu" che possiamo incontrare come si incontra una persona, colla quale entriamo in una misteriosa e reale comunione che ci porta al Padre. Gesù crocefisso-risorto è oggi in contatto vivo con chi a Lui si converte, attraverso tutto il Suo essere spirituale-corporeo, per renderci partecipi della Sua stessa vita divina. Tutto il cristianesimo è semplicemente questo: è la divinizzazione della persona umana in Cristo.

Dovete quindi tenere contemporaneamente vere, senza alcun dubbio, le due seguenti affermazioni. La prima riguarda la diversità fra il corpo risuscitato del Signore ed il suo corpo crocefisso: esso non può più essere circoscritto, ma reso partecipe come è della stesa vita incorruttibile divina, viene incontro alla fede di ogni uomo di ogni tempo che a Lui si rivolge con cuore convertito. La seconda riguarda la continuità fra il corpo resuscitato del Signore ed il suo corpo crocefisso. La sua carne non è stata definitivamente distrutta dalla corruzione del sepolcro (cfr. At. 2,24-27), ma introdotta nel possesso della gloria divina.

A causa poi del mistero dell’Ascensione, che è il "passaggio" dell’umanità del Verbo dalla condizione temporale e circoscritta nello spazio alla condizione di reale partecipazione alla eternità e onnipresenza di Dio, il Signore risorto è con noi tutti i giorni fino alla fine del mondo (cfr. Mt. 28,20b).

Le pagine evangeliche narrano di "incontri" che alcune persone fecero con Gesù: gli apostoli, la samaritana, Nicodemo, Zaccheo e tanti altri. Non è un’esperienza che a noi è preclusa: è una possibilità reale, concreta. Anzi, è LA possibilità di ogni esistenza umana, poiché, se la metti in atto, sei salvo. L’Anno Santo è un tempo in cui questa possibilità ti è di nuovo offerta in modo straordinario.

7. Ciò che ho appena detto viene compreso pienamente, carissimi fratelli e sorelle, solo nella luce del mistero dell’Incarnazione del Verbo, di cui soprattutto il Giubileo è celebrazione.

"Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi" (Gv 1,14). Vorrei che durante l’Anno Santo non ci stancassimo mai di meditare sul significato di questo Evento: non ne avremo mai una comprensione adeguata, in tutte le sue conseguenze.

E’ carnalmente che il Verbo si dona a vedere; è attraverso il suo corpo umano, concepito nel ventre di una donna, che la Gloria, lo splendore possente dell’Essere divino e la sua luminosa realtà di Vita, si lascia incontrare (cfr. Gv 1,14c e 1Gv 1,1-2).

Il Verbo di è fatto carne, e non semplicemente parola. Egli non si rivela a noi, non ci viene incontro attraverso un’illuminazione puramente interiore occasionata dalla predicazione di un messaggio: si rivela a noi, ci viene incontro attraverso mediazioni assai "materiali", molto "carnali".

La bontà racchiusa in questa umiliazione del Verbo non finisce mai di commuoverci e di stupirci, a causa della tenera condiscendenza che Egli ha dimostrato nei nostri confronti, tenendo presente la nostra costituzione corporeo-spirituale.

Scrive S. Ilario: "Egli non aveva bisogno di farsi uomo, lui per mezzo del quale l’uomo è stato creato, ma noi avevamo bisogno, noi, che Dio si facesse carne ed abitasse in mezzo a noi; che cioè attraverso l’assunzione di un corpo individuale, venisse a dimorare dentro ad ogni corpo umano. La sua umiliazione è la nostra grandezza, il suo disonore è la nostra gloria. Ciò che Egli è, Dio abitante in un corpo, noi lo saremo a nostra volta, passando rinnovati dalla carne in Dio" (La Trinità, II,25; SCh. 443, pag. 316)

"La vita stessa si è resa visibile alla carne" scrive S. Agostino "e si è posta nella condizione di essere veduta, affinché quelle cose che possono essere vedute solamente dal cuore venissero vedute anche dagli occhi per poter guarire i cuori. Infatti, il Verbo si vede soltanto col cuore, invece la carne si vede anche con gli occhi del corpo. Pertanto, ci era possibile vedere la carne, ma non ci era possibile vedere il Verbo; per questo "il Verbo si è fato carne", perché noi potessimo vedere, affinché venisse risanato in noi ciò con cui possiamo vedere il "Verbo"" (Commento alla prima lettera di Giovanni, Discorso I, 1; [trad. G. Reale], Rusconi Libri, Milano 1994, pag, 81).

"Le cose che possono essere vedute solamente dal cuore, venissero vedute anche dagli occhi": questa è precisamente la logica dell’Incarnazione, che, come potete constatare, dà all’incontro col Signore vivo in mezzo a noi un significato per niente evanescente, ma assai materiale ed assai concreto. Solo se salvaguardiamo quella logica dentro alla nostra esistenza personale e nelle nostre comunità, saremo capaci di saldare la nostra fede al mistero del Verbo incarnato. Saremo allora immunizzati contro l’insidia di cadere in una concezione di Gesù Cristo come "personaggio del passato", di cui resta viva la dottrina o esemplare la vita. Insidia tutt’altro che assente dalle nostre comunità.

8. E’ nella "logica dell’Incarnazione" che si ha un’intelligenza profonda del mistero della Chiesa, senza della quale la presenza del Signore risorto finisce sempre per ridursi ad un essere ideale e non reale, incapace di salvarci.

In che senso, esiste una profonda correlazione fra il mistero dell’Incarnazione e il mistero della Chiesa?

Il Concilio Vaticano II risponde: "come la natura assunta serve al Verbo divino da vivo organo di salvezza, a Lui indissolubilmente unito, così in modo non dissimile l’organismo sociale della Chiesa serve allo Spirito di Cristo che la vivifica, per la crescita del Corpo" (Cost. dogm. Lumen gentium 8,1).

Questa profonda visione ci difende da un duplice errore e ci mostra la verità della Chiesa.

La Chiesa non deve essere né identificata con né separata dal Signore risorto (ecco i due errori), ma unita a Lui che in essa è presente, ed attraverso essa porta ogni uomo alla salvezza: né identica, né separata, ma unita nella distinzione. Come lo sono due sposi (cfr. Ef 5,25-31).

Dobbiamo ora vedere in che modo il Risorto è presente nella sua Chiesa e quindi come attraverso essa incontra ogni uomo che a Lui si converte.

Prima però, ad evitare ogni equivoco, è necessaria una precisazione. Quando parliamo del mistero della Chiesa, sposa di Cristo, non pensiamo a chissà quale realtà. Stiamo parlando della Chiesa che è in Ferrara-Comacchio, unita nella persona del suo Vescovo che è membro del Collegio episcopale presieduto dall’autorità del Vescovo di Roma: stiamo parlando di questa Chiesa di cui voi fate parte, incontrandone il mistero ordinariamente nelle vostre parrocchie oppure in movimenti ecclesiali riconosciuti. Stiamo dunque parlando di una realtà di cui noi facciamo quotidianamente esperienza.

In che modo il Risorto è presente in questa che è la sua Chiesa?

Carissimi fratelli e sorelle, non intendo dare una risposta completa a questa domanda. Recentemente ho tenuto una lunga conferenza al riguardo. Vi rimando ad essa (cfr. Mensile La Voce di Ferrara-Comacchio maggio 1999, pag. 25-28). La catechesi che poi verrà fatta nelle vostre comunità potrà aiutarvi meglio di quanto non lo possa fare uno scritto, che deve rispettare ragionevoli limiti di lunghezza. Mi limito pertanto a quella modalità di presenza nella quale la struttura sacramentale della Chiesa raggiunge la sua sintesi, e la logica dell’Incarnazione il suo vertice: la presenza eucaristica. "La meraviglia di tutte le meraviglie" la chiama Tommaso d’Aquino (in Sent. IV, q.1,a.3,ad3); ed un poeta moderno: "il compendio del cattolicesimo, il punto infinitamente sottile e pesante, nel quale esso si riassume" (P. Claudel). Non a caso quindi il S. Padre scrive: "Il duemila sarà un anno intensamente eucaristico: nel sacramento dell’Eucarestia il Salvatore, incarnatosi nel grembo di Maria venti secoli fa, continua ad offrirsi come sorgente di vita divina" (Giovanni Paolo II, Lett. ap. Tertio millennio adveniente, 55).

9. E’ bene dunque richiamare a questo punto gli elementi fondamentali della dottrina cristiana sull’Eucarestia. Questa dottrina però - per essere compresa nella sua profondità - deve essere pensata in rapporto al progetto di grazia che il Padre ha pensato fin dall’eternità a riguardo dell’uomo (cfr. Ef 1,3-10). Questo divino progetto si regge come su due colonne: Gesù Cristo, il Verbo incarnato crocefisso e risorto, è il vero uomo; la persona umana realizza interamente se stessa quando vive in Cristo. Cristo è il vero uomo; l’uomo è il vivente in Cristo: la congiunzione fra le due affermazioni è data dalla Eucarestia, che pertanto è il centro di tutta la religione cristiana.

In Cristo il Padre "ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi ed immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci ad essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo" (Ef 1,4-5). Siamo condotti da queste divine parole all’origine del nostro esserci: alla sua radice eterna. "Ci ha scelti": ciascuno di noi è stato pensato e voluto fra tante possibili persone umane. Lo sguardo del Padre si è posato su di te, a preferenza di tanti altri: sei stato scelto [e-lectus]. Quando è accaduto questo? "prima della creazione del mondo": il mondo, questo universo immenso entro cui ti senti come un nulla, non esisteva ancora e il Padre ha pensato e voluto, ha scelto te. Se dunque esisti, non è per caso.

Ma ci ha scelti, pensati e voluti in Cristo. Cioè: quando il Padre ha pensato e voluto il Cristo, ha pensato e voluto l’incarnazione del Verbo e la sua morte e risurrezione, ha pensato e voluto anche ciascuno di noi. Collo stesso atto di pensiero e colla stessa decisione di volontà con cui ha pensato e voluto Cristo, ha pensato e voluto ciascuno di noi, singolarmente presi: "predestinandoci ad essere suoi figli adottivi".

Nella sua bontà impensabile il Padre ha voluto che l’Unigenito generato nell’identica natura divina fosse il Primogenito di molti fratelli nella natura umana. Il primo dunque che è stato scelto prima della creazione del mondo è il Verbo incarnato crocefisso-risorto ed in Lui ciascuno di noi è stato poi pensato ed a sua immagine creato: "ha assunto una forma uguale alla tua" scrive un padre della Chiesa "e ti ha adattato di nuovo alla bellezza originaria" (S. Gregorio di Nissa, La perfezione cristiana, CN, Roma 1979, pag. 98 [trad. S. Lilla]). E’ quanto scrive l’apostolo Paolo: "egli ci ha salvato e ci ha chiamati con una vocazione santa, non già in base alle nostre opere, ma secondo il suo proposito e la sua grazia; grazia che ci è stata data in Cristo Gesù fin dall’eternità" (2Tim 1,9). Paolo ha compreso che quel Gesù, crocefisso-risorto, che egli ha incontrato sulla via di Damasco, è colui nel quale e conformemente al quale la sua persona è stata "graziata": pensata e voluta fin dall’eternità (cfr. anche Gal 1,15-16a).

Agostino riassume in sintesi il progetto del Padre nel modo seguente: "Ci sia manifesta dunque nel nostro Capo la fonte stessa della grazia, da cui secondo la misura assegnata a ciascuno essa si diffonde per tutte le membra. Fin dall’inizio della sua fede ogni uomo diviene cristiano per la medesima grazia, per la quale quell’uomo fin dall’inizio del suo esistere divenne Cristo" (La predestinazione dei santi, 15,31; NBAXX, pag. 275 [Trad. M. Palmieri]).

Ora possiamo comprendere meglio il significato della seconda affermazione: la persona umana realizza se stessa solamente in Cristo. Se siamo stati pensati e voluti nel Verbo incarnato, Questi è la nostra intima intelligibilità, la nostra verità, il significato ultimo del nostro esserci. Cercare una spiegazione ed una comprensione del (significato del) nostro esserci fuori da questa nostra intrinseca ed originaria destinazione a Cristo crocefisso e risorto, equivale a porci fuori dalla verità, a negare se stessi. Quindi l’incontro con Cristo non è un "optional" nei confronti del quale la nostra persona può essere neutrale: una specie di "dopolavoro" che inizia quando il "lavoro dell’esistere" si interrompe. Ma, come scrive un grande teologo della Chiesa orientale, "mente e desiderio sono stati forgiati in funzione di Lui; per conoscere il Cristo abbiamo ricevuto il pensiero; per correre verso di Lui il desiderio, e la memoria per portarlo in noi" (N. Cabasilas, La vita in Cristo, CN, Roma 1994, pag. 309 [trad. Neri]).

Ora possiamo finalmente dare alla parola "incontro", tante volte usata, il suo intero significato, quale appare dalla pagina paolina commentata nel primo capitolo di questa lettera.

Incontro qui significa un ingresso di Cristo nella propria persona (cfr. Ef 3,17a) tale per cui essa è trasformata in Lui, vive in Lui e di Lui: l’Archetipo configura a Sé totalmente la persona. La S. Scrittura usa, come sappiamo, tante immagini: la vite e i tralci, la comunione coniugale, la mutua inabitazione ed altre ancora. Simeone il Nuovo Teologo chiama perciò Cristo "principio, misura, compimento" dell’uomo (Capitoli teologici e pratici III, 1,80).

Perché un incontro del genere possa accadere, Cristo infonde nell’uomo ciò che ha di suo più intimo, più proprio: il suo stesso Spirito. E’ Lui, lo Spirito, che realizza l’incontro dell’uomo col Crocefisso-risorto, Verbo incarnato. E il Giubileo è una nuova effusione dello Spirito Santo. Scrive infatti il S. Padre: "Il "generato prima di ogni creatura" (Col 1,15), incarnandosi nell’umanità individuale di Cristo, si unisce in qualche modo con l’intera realtà all’uomo, il quale è anche "carne"… tutto ciò si compie per opera dello Spirito Santo e, dunque, appartiene al contenuto del futuro grande Giubileo" (Lett. Enc. Dominum et vivificantem 50,3-51,1).

10. La dottrina eucaristica della Chiesa va compresa nel contesto di questo strettissimo rapporto che esiste fra la dottrina di fede riguardante Cristo e la dottrina di fede riguardante l’uomo: ne è, in un certo senso, l’intima congiunzione.

S. Tommaso d’Aquino sintetizza stupendamente, carissimi fratelli e sorelle, la fede della Chiesa circa l’Eucarestia nel modo seguente: "Questo sacramento ha un triplice significato, uno rispetto al passato, in quanto è memoria della passione del Signore, che fu un vero sacrificio. E per questo è chiamato sacrificio. Un secondo significato riguarda il presente, cioè l’unità ecclesiale, in cui gli uomini sono inseriti in virtù di questo sacramento. E per questo è chiamato comunione o sinassi. Un terzo significato riguarda il futuro: questo sacramento è infatti prefigurativo della fruizione di Dio, che avverrà in patria. E per questo è chiamato viatico, dal momento che ci offre la via per arrivarci" (3,73,4c).

Poiché l’uomo vero è Gesù, Verbo incarnato crocefisso-risorto; poiché ciascuno di noi è stato "modellato" sul Cristo, la nostra pienezza di essere consiste nel comunicare a quell’evento nel quale Gesù raggiunge la sua perfezione: la sua morte e risurrezione (cfr. Eb 9,12-14). L’Eucarestia è stata inventata ed istituita dal Signore precisamente per rendere possibile questa comunione alla sua Pasqua: perché Cristo possa congiungere a Sé ogni uomo e fargli rivivere il suo mistero. Partecipando all’Eucarestia, abbiamo tutto ciò che ci è necessario per vivere interamente la nostra verità di persone create in Cristo: non ci manca più nulla per la nostra beatitudine. Il sacrificio di Cristo, sempre eucaristicamente presente, è il fine e la fine del mondo e della storia: non è possibile andare oltre (2Gv 9a) né aggiungere altro. Nella partecipazione all’Eucarestia la nostra misura è piena.

Perché questo discorso sull’Eucarestia non perda il suo significato vero, è necessario però che abbiamo una fede inconcussa nella presenza reale di Cristo nell’Eucarestia. In virtù dell’azione trasformante dello Spirito Santo, per le parole consecratorie del sacerdote, il pane ed il vino diventano "veramente, realmente e sostanzialmente" il Corpo e Sangue del Signore. Pertanto, "il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione al sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione al corpo di Cristo?" (1Cor 10,16). Per cui S. Ambrogio ardisce dire. "Bevi Cristo, che è la vita. Bevi Cristo, per bere il sangue da cui sei stato redento" (Comm. ai Salmi 1,33; BA 7, pag. 81, [trad L. Pizzolato]).

Carissimi sacerdoti, consentitemi prima di procedere oltre una breve considerazione. L’Eucarestia è affidata in primo luogo a noi: come la custodiamo? come la celebriamo? come la riceviamo? come la veneriamo? La dimensione intensamente eucaristica con cui il S. Padre vuole che celebriamo il Giubileo, deve in primo luogo radicarsi nella nostra coscienza: di noi che siamo i ministri di quel Sacramento.

Poiché il pane è realmente il Corpo offerto, ed il vino è realmente il Sangue effuso, ricevendoli, "il Cristo si rivela in noi e con noi si fonde, ma mutandoci e trasformandoci in sé come una goccia d’acqua versata in un infinito oceano di unguento profumato" (N. Cabasilas, op. cit. pag. 199).

Voi vedete, carissimi fratelli e sorelle, che se l’Eucarestia non fosse il sacrificio di Cristo, ma solo la celebrazione del suo ricordo come di un avvenimento passato, tutto quanto abbiamo detto in questo capitolo non avrebbe più senso.

11. Carissimi fratelli e sorelle: potete rendervi conto dell’intima armonia che governa l’insieme dei misteri della nostra fede: "ovunque vedi che i misteri concordano fra loro, vedi che si armonizzano le figure del Nuovo e Vecchio testamento" (Origine, Omelie sulla Genesi, X,5; CN, Roma 1978, pag. 175 [Trad. M.I. Danieli]). E’ un’armonia che, per la sua bellezza, deve riempirci sempre di stupore e di commozione.

Il Verbo, il Figlio del Padre si fa carne per potere essere "incontrato" dall’uomo. Nella sua morte, risurrezione ad ascensione al cielo, il Verbo incarnato introduce la sua umanità nella stessa Gloria del Padre: ed in essa ciascuno di noi (cfr. Ef 2,6).

La persona umana è stata pensata e voluta in Cristo, che è "l’arte del Padre … l’esemplare della creazione e della giustificazione" (S. Tommaso d’Aquino, Com. al Vangelo sec. Giovanni n. 1781). Essa è chiamata a rivivere in sé i misteri di Cristo.

L’Eucarestia è il sacramento che rende possibile questo "incontro" del Verbo incarnato con l’uomo e dell’uomo col Verbo incarnato.

E’ il grande mistero della salvezza e della divinizzazione dell’uomo: è questo mistero che noi celebriamo nel Giubileo. E’ mistero che ha una sola origine e spiegazione: la "filantropia" divina, come dicevano i Padri orientali. Sola misericordia tua: è questo mistero, il mistero della misericordia del Padre, che noi celebriamo nel Giubileo.

E’ con questo significato profondo che abbiamo detto, all’inizio di questo capitolo, che celebrare il Giubileo significa incontrare Cristo.

 

CAPITOLO TERZO

 

L’UOMO RITROVATO

"…avranno parte all’albero della vita" (Ap 22,14)

 

12. Il Concilio Vaticano II insegna:"In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo .. Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo a se stesso" (Cost. past. Gaudium et spes 22,1).

Nell’incontro con Cristo, che implica una profonda conversione del cuore, la persona umana ritrova se stessa e scioglie l’enigma della sua esistenza. Quando la persona ritrova se stessa? Il Concilio vaticano II ha dato una risposta molto profonda, affermando che "l’uomo, il quale è la sola creatura che Iddio abbia voluto per se stessa, non possa ritrovarsi se non attraverso un dono sincero di sé" (ib. 24,4). Poiché, dunque, l’uomo perde se stesso quando non si dona, e ritrova se stesso attraverso il dono sincero di sé, Cristo svela pienamente l’uomo a se stesso, rivelando il mistero del Padre e del suo amore.

Come potete constatare, carissimi fratelli e sorelle, la celebrazione del Giubileo penetra fino in fondo dentro alla condizione umana di oggi: dentro alla tragedia devastante che l’uomo oggi sta vivendo. E’ nello splendore del mistero eucaristico che vediamo tutto questo.

13. In che cosa consiste precisamente la tragedia dell’uomo di oggi, dell’uomo nella sua concreta vita di ogni giorno? Nell’aver perduto se stesso. Possiede tante cose, ma ha perduto se stesso. E Gesù ci dice: "che cosa vale per l’uomo guadagnare il mondo intero se poi perde se stesso?".

In che cosa consiste questa "perdita di se stesso"? come è potuta accadere? Sono domande che non possiamo non porci, se vogliamo non ridurre il Giubileo a celebrazioni esteriori. Può essere che leggendo ora questa pagina, la riteniate lontana dalla vita e non pertinente ai vostri problemi quotidiani: e forse anche troppo difficile. Non è così: rimaniamo sempre nel "cuore" della celebrazione giubilare e quindi della nostra quotidiana esperienza umana.

Un grande "esperto di umanità", S. Agostino, racconta nella sua autobiografia che egli divenne consapevole pienamente di se stesso quando gli morì uno dei suoi più cari amici. La morte della persona amata gli fece capire che l’uomo, che ciascuno di noi è a se stesso "un grande enigma" ("Ero diventato un grande enigma a me stesso e chiedevo alla mia anima perché fosse così triste e perché mi turbasse tanto, e non sapeva cosa rispondermi": Confessioni IV,9, ed. Fond. Valle, Verona 1993, pag. 17-19 [trad. G. Chiarini]). E’ questa un’esperienza paradigmatica, esemplare, che ciascuno di noi ha vissuto o vive in un modo o nell’altro: i nostri desideri più profondi sono sconfessati dalla realtà in cui viviamo.

Chi ama, che cosa desidera di più dell’esserci della persona umana? "come è bene, come è bello che tu ci sia!" dice chi ama al "Tu" amato. Ma la morte fa morire anche le persone care. Ho conosciuto tante persone che parlando vogliono ingannare gli altri; non ho mai conosciuto uno che desideri essere ingannato: che cosa desidera più intensamente la nostra persona che conoscere la verità? Ho conosciuto tante persone che hanno trattato altre persone ingiustamente, cioè non come persone ma come cose; non ho conosciuto nessuno che desidera essere trattato ingiustamente: che cosa desidera di più l’uomo che vivere in società con gli altri, non in un modo qualsiasi, ma in una convivenza giusta?

Siamo costitutivamente orientati alla Verità, alla Bontà, alla Bellezza: siamo costruiti per il Vero, il Bene, il Bello. E’ questa la nostra dignità incomparabile! E’ questo che significa essere persona! Perché?

In forza di questo orientamento, ciascuno di noi emerge, sporge per così dire su ogni realtà che incontra. E’ capace di prendere le distanze, di giudicarla. Pone cioè se stesso come soggetto libero, capace non solo di re-agire alle varie situazione in cui viene a trovarsi (anche gli animali e perfino le piante re-agiscono!), ma è capace di agire. E’ questa la libertà: questa capacità di compiere azioni di cui ciascuno di noi è causa e quindi responsabile; questa capacità che dà il diritto di dire "io" con tutta la forza possibile. La persona è passata all’atto: è persona in atto.

Ma se noi, per così dire, accorciamo la misura del nostro desiderio di Verità, di Bontà, di Bellezza costringendolo dentro all’orizzonte delle varie realtà che incontriamo, noi restiamo come rinchiusi dentro alla loro finitezza. E’ come se uno prendesse una barca, scendesse in mare e cominciasse a navigare senza avere nessuna meta prevista e voluta: appena si stancherà di remare, non gli resterà che lasciarsi trascinare dalle onde, dal momento che "siamo imbarcati" (B. Pascal, Pensieri 451; Rusconi libri, Milano 1993, pag. 248). La nostra persona, occupata dalla dittatura degli stimoli, perderà la sua libertà: e con la libertà perderà se stessa. Quando una persona ha rinunciato al suo legame con Vero, col Bene, col Bello, ha rinunciato all’unica difesa valida contro la sostituzione della Verità coll’opinione della maggioranza, contro la riduzione della Bontà all’utilità dei potenti, contro la confusione della Bellezza col piacere.

Un grande credente, che visse quando questa tragica perdita di se stesso da parte dell’uomo era ancora agli inizi, descrive così la condizione umana: "Noi vaghiamo in uno spazio ampio, sempre incerti e sballottati, sospinti da un’estremità all’altra. Qualunque termine a cui pensiamo di legarci e di fermarci, oscilla e ci lascia andare; e se lo seguiamo, sfugge alla nostra presa e fugge in una eterna fuga. Nulla si ferma per noi. E’ la nostra condizione naturale, e tuttavia la cosa più contraria alla nostra inclinazione; noi bruciamo dal desiderio di trovare un assetto stabile … ma ogni nostro fondamento scricchiola e la terra si apre sino agli abissi" (B. Pascal, op. cit. pag. 69 [trad. A. Bausola]).

Certamente, il possesso di tante cose può dare l’illusione di esistere ancora: in realtà la persona è morta! Gesù non ci ha forse detto che dobbiamo temere non tanto la morte del corpo, ma quella dell’anima? (cfr. Mt 10,28).

E’ questa la tragedia che oggi è capitata a tante persone: la perdita di se stessi. E’ avvenuto nel cuore di tanti come una sorta di "collasso spirituale": la tensione della ragione e della volontà è caduta a picco.

La ragione ha subito un collasso di tensione, perché ha rinunciato a cercare una risposta ultima e definitiva alle domande sul significato della vita. La volontà ha subito un collasso di tensione, perché si è tolta ogni capacità di tendere ad un Bene che valga in sé e per sé.

Lo scacco che il giovane Agostino ha subito nel suo desiderio di vivere la bontà e la bellezza di una vera amicizia, a causa della morte dell’amico, non lo ha chiuso in se stesso. Egli ha capito quale era la vera domanda circa l’uomo (magna quaestio!): da chi/da che cosa dipendo? a chi/a che cosa appartengo? il mio esserci è dovuto al fortuito incrociarsi di un gioco di probabilità, di cui non so chi ha stabilito le regole?

Il desiderio illimitato di Verità, di Bontà, di Bellezza, in una parola di Vita, che abita nel cuore di ciascuno di noi, è il "segnale stradale" che ci indica la direzione della ricerca del Mistero da cui dipendo ed a cui appartengo. E’ come il monte Nebo dal quale Mosè ha potuto vedere la terra promessa (cfr. Eb 11,13-16).

14. "Cristo … proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore, svela anche pienamente l’uomo a se stesso". Ecco: questo è il fatto cristiano di cui il Giubileo celebra la memoria.

Ciò da cui dipendo e a cui appartengo, mi è venuto incontro: col volto preciso di un uomo nato da una donna. Quel Mistero così indecifrabile, per avere un qualche contatto col quale l’uomo aveva creato le religioni, si è mostrato nella carne umane e chi lo vedeva, vedeva il volto del Mistero: il volto del Padre. Filippo, come Mosè (cfr. Es. 33,18), chiedeva di vedere il volto del Padre; questa visione sazia l’uomo: "mostraci il Padre, e ci basta". Ha la risposta più sconvolgente e sorprendente: "chi ha visto me, ha visto il Padre" (cfr. Gv 14,8-9).

Perché questa rivelazione svela pienamente l’uomo a se stesso? Perché impedisce all’uomo di perdere se stesso (cfr. Mt 10,39b)? perché si pone come la risposta vera al suo desiderio di felicità, come la realizzazione completa della sua umanità.

Ciò che in noi è desiderio naturale – di Verità, di Bontà, di Bellezza, di Amore, di Vita – in Cristo è pienamente realizzato (Io sono la Verità, io sono la Vita …). Quando lo incontriamo "sentiamo" una perfetta corrispondenza fra la domanda che è ciascuno di noi e la risposta che è Cristo. Ed allora diciamo con Pietro: "Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna" (Gv 6,68). E’ nato un attaccamento, un’affezione alla Persona di Cristo tale che farà dire, in piena sincerità, a Pietro pentito: "Signore, tu sai tutto; tu sai che ti voglio bene". (Gv 22,17). Quando l’apostolo dice che desidera solo di essere trovato in Cristo (cfr. Fil 3,9), esprime la certezza che non incontrando Cristo l'uomo perde se stesso.

Carissimi fratelli e sorelle: quando parliamo in questi termini del cristianesimo (e non se ne può parlare diversamente), è una grande sfida che lanciamo a tutta la nostra città. Quella secondo la quale fuori di Cristo non c’è piena realizzazione della propria umanità. Quando dico "umanità" intendo cose semplici e grandi come il nostro lavoro quotidiano, amare un uomo/una donna e sposarsi, avere bambini con nel cuore una grande passione di educarli, ammalarsi, e così via: le cose che fanno la nostra vita di ogni giorno.

E’ questa sfida che noi vogliamo assumere, se intendiamo celebrare veramente il Giubileo.

15. Concretamente che cosa comporta questa sfida, questa certezza di aver trovato se stessi in Cristo, di aver in Lui parte all’albero della vita? L’uomo è l’unica creatura che trova se stessa nel dono di sé: l’uomo ritrova se stesso in Cristo perché in Lui è reso capace di donare se stesso, di amare. L’enigma dell’uomo si scioglie nello splendore dell’Eucarestia.

Carissimi fratelli e sorelle, questo è il frutto della celebrazione giubilare: diventare capaci di costruire una vera comunità fra le persone nella nostra città. Una capacità che però può nascere solo da una nuova visione della realtà, nel cui centro viene a porsi la presenza del Verbo fattosi carne: solo se diventiamo capaci di creare una vera cultura cristiana nella nostra città.

Vorrei quindi terminare questa mia lettera riflettendo sulle due dimensioni essenziali dell’uomo ritrovato in Cristo: la cultura e la carità. Sono questi i due segni più espressivi del fatto che l’incontro (eucaristico) con Cristo ha determinato nell’uomo un cambiamento tale per cui è veramente uomo, per cui ha raggiunto quella pienezza di umanità che da sempre desiderava.

16. Forse la parola "cultura" può trarre erroneamente qualcuno a pensare che si tratta di un "affare" che riguarda solo una élite di cristiani. In realtà non è così: la fede in Cristo non può non generare cultura.

Per cultura intendo la capacità di interpretare tutto l’umano, tutto il vissuto quotidiano alla luce dell’incontro con Cristo, della sua Presenza dentro la vita. La cultura significa visione della realtà alla luce di Cristo. Essa ha le seguenti caratteristiche.

E’ una visione totalizzante: nessun frammento umano, nessuna regione del reale è lasciata fuori. Ognuno ed ogni cosa è guardato con occhi pieni di venerazione, di rispetto e di stupore. Se la nostra visione non avesse quest’ampiezza, vorrebbe dire che la presenza di Cristo incontrato nella fede e nell’Eucarestia, non è più risposta vera al nostro bisogno di beatitudine:; al bisogno che la nostra umanità sia interamente realizzata. L’esperienza della fede diventerebbe un "dopolavoro".

E’ una visione unitaria: ogni frammento umano, ogni regione del reale è interpretata alla luce della presenza di Cristo. La chiave di lettura è unica. L’intero universo dell’essere è un grande disegno, dotato di una sua intrinseca intelligibilità pensata dal Padre stesso. Questo disegno è un Volto umano preciso: è il Verbo concepito da Maria nella nostra natura umana. Quando l’uomo vede questo disegno, resta come abbagliato dallo splendore che brilla sul volto di Cristo (cfr. 2Cor 4,6).

La cultura quindi dà l’assetto alla propria esistenza; connota il modo proprio con cui ciascuno si pone dentro all’esistenza. Certamente, la cultura cristiana produce anche opere straordinariamente grandi in cui si esprime: pensiamo alla nostra Cattedrale, al nostro arcispedale S. Anna, alle grandi opere del pensiero e dell'arte cristiana. Ma essa non si identifica puramente e semplicemente con esse, come la pianta non è i suoi frutti.

La cultura genera sempre un popolo, cioè una vera comunità umana costituita non dalla convergenza degli interessi, ma dalla comunione nella verità (= scoperta del significato della realtà) e nella libertà (= amore appassionato alla realtà). Attraverso la cultura generata dalla fede, la nostra esperienza di fede diventa un avvenimento storico, perché prende carne dentro alla vita quotidiana dell’uomo, dandole uno spessore ed un senso compiuto.

"Figli miei" scrive un grande profeta del nostro tempo "lì dove sono gli uomini vostri fratelli, lì dove sono le vostre aspirazioni, il vostro lavoro, lì dove si riversa il vostro amore, quello è il posto del vostro quotidiano incontro con Cristo. E’ in mezzo alle cose più materiali della terra che ci dobbiamo santificare servendo Dio e tutti gli uomini" (Beato J.M. Escrivá de Balaguer, Colloqui, Ed. Ares, Milano 1985, n. 113).

Vorrei ora fare due esemplificazioni desumendole da due dimensioni essenziali della nostra vita: il lavoro ed il rapporto uomo-donna.

Il lavoro. E’ parte costitutiva della vita di una persona: è un suo diritto fondamentale, oggi si dice. Non è accaduto per caso che sia stato proprio il cristianesimo, meglio la religione biblica, a dare all’uomo la consapevolezza della dignità del proprio lavoro. Non nel senso che l’uomo riceva dignità dal suo lavoro. Ma viceversa: è il lavoro che riceve dignità dall’uomo. Una comunità umana che non riconosca questa dignità del lavoro, che non metta al primo posto la sua tutela, non è stata generata dal cristianesimo e quindi non è pienamente umana.

Ancora una volta, chiedo in nome di Dio a chiunque ha responsabilità nella nostra città, di porre il problema del lavoro in cima alle loro preoccupazioni amministrative. Si favorisca in tutti i modi la libera imprenditorialità; si dia ampio spazio a chi intende creare nuovi posti di lavoro senza intralci burocratici. Si prenda l’impegno di entrare nel nuovo millennio facendo uscire la nostra città da questa "palude occupazionale".

Il rapporto uomo-donna. E’ costitutivo della persona e quindi di ogni cultura. L'affermazione della reciprocità dell’essere-uomo e dell’essere-donna nella stessa dignità di persona, ha dato all’uomo e alla donna la consapevolezza dell’incomparabile ricchezza e della femminilità e della mascolinità: l’una e l’altra ornamento dell’universo. La possibile conflittualità fra il "maschile" ed il "femminile" ha consigliato l’uomo o ad eliminare le differenze o al dominio dell’uno sull’altra o alla riduzione della differenza sessuale ad un fatto privo di senso. In Cristo, il nuovo Adamo che unisce a sé la nuova Eva, la Chiesa, ogni uomo ed ogni donna ricevono la capacità di realizzare la propria reciprocità nella comunione del dono (cfr. Ef 5,29-32). Nessuno afferma il valore della corporeità più del cristiano.

Dobbiamo chiederci: dove si costruisce, si genera la cultura cristiana? Mi limito a parlarvi di uno di questi luoghi, in un certo senso il principale: la famiglia. Dentro al grande impegno culturale della Chiesa, la famiglia ha un ruolo specifico suo proprio e quindi insostituibile. Esso consiste nell’introdurre la persona umana nella realtà, che desume il suo significato dal fatto che dimora in essa il Verbo fatto carne (sempre eucaristicamente presente). La famiglia cioè genera la persona nel senso pieno del termine: si colloca alla sorgente della cultura cristiana.

So, da tanti incontri avuti, che molti sposi cristiani ne sono pienamente consapevoli. E sono consapevoli delle difficoltà che oggi incontrano nella loro grande impresa culturale. Ancora una volta dico a loro: non abbiate paura! Cristo è presente in voi: siete il luogo in cui si semina la cultura della verità e dell’amore!

Mi piace terminare questa breve riflessione sulla cultura con un’immagine. Passando per le vie più antiche della nostra città, vedo spesso che gli antichi loro nomi si riferivano al grande fiume che l’attraversava senza nessuna regolamentazione o quasi. E mi viene da pensare: forse quante inondazioni, quanta povertà e miseria, quante malattie, quale lotta per vivere! Eppure dentro a questa miseria hanno elevato la Cattedrale ed il Palazzo della Ragione. Perché? Perché erano uomini e donne analfabeti ma di grande cultura. La Cattedrale era il segno della presenza di Cristo in mezzo alla loro miseria che veniva così vissuta nella consapevolezza di una dignità incomparabile. La dignità che prendeva corpo nelle libertà comunali proprie di persone chiamate a convivere nella giustizia. Mi sono ricordato: "Senza tempio non ci sono dimore" (Th. Eliot). Questa è la cultura cristiana: costruzione di una vera dimora umana attorno al Tempio.

17. E’ facile capire, carissimi fratelli e sorelle, che allora l’altra fondamentale dimensione dell’uomo che ha incontrato Cristo è la carità. Cultura e carità sono come il concavo ed il convesso della stessa figura. La cultura è sempre generatrice di libertà, ed essere liberi cristianamente significa capacità di amare.

L’amore è la forma propria della socialità umana: connota il modo cristiano di con-vivere fra persone.

Non è quel sentimento semplicemente umano che possiamo sentire verso un nostro simile: è il dono di sé all’altro. E "dono"dice gratuità, assenza di tornaconto; dice definitività senza possibilità di ricevere ciò che si dona; dice riconoscimento puro e semplice dell’altro. Gesù che dona (eucaristicamente) Se stesso non ne è semplicemente il modello: ne è il principio e la sorgente. Per cui, se Lui non dimora in noi, noi non siamo capaci di amare in questo modo: saremo forse capaci di fare un’elemosina anche consistente, di fare volontariato. Cioè: di donare un po’ o molto di ciò che abbiamo. Ma amare è donare se stessi. E’ questo un avvenimento che quando accade, cambia il mondo, perché è in questo modo che il cristianesimo diventa un fatto che entra direttamente nella vita dell’uomo, rispondendo direttamente a ciò che ogni uomo aspetta. "L’uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l’amore, se non si incontra con l’amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente" (Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Redemptor hominis, 10; EE 8,28). Non c’è un altro metodo per far accadere il cristianesimo dentro la vita: "da questo vi riconosceranno…" (Gv 13,35). Il Verbo si è fatto carne perché accadesse questo miracolo: l’uomo amasse collo stesso amore di Dio.

L’apostolo Paolo ci insegna (cfr. Ef 3,18) che la carità ha quattro dimensioni. La larghezza: essa non esclude nessuno; la lunghezza: essa è perseverante e nessuna difficoltà la vince; l’altezza: essa si propone un fine altissimo, riportare ogni uomo in Cristo; la profondità: essa condivide fino in fondo le miserie di ogni uomo.

Questa carità, che è, come dicevo, il fine per cui il Verbo si è fatto carne e venne ad abitare fra noi, è presente nella nostra comunità.

Penso in questo momento al dono di sé fatto da tanti sposi cristiani nella santità del loro amore coniugale; penso al dono di sé fatto dai nostri sacerdoti nella spesso monotona quotidianità del loro servizio pastorale; penso al dono di sé fatto dalle nostre vergini consacrate, sia nella pura oblazione della preghiera nel monastero sia nella tenera maternità spirituale delle religiose di vita attiva.

Ma voglio in questo momento ringraziare pubblicamente la Charitas diocesana che dona a tutta la comunità una stupenda testimonianza di carità: con sapienza, con costanza, con attenzione ad ogni bisogno. Come pure quei sacerdoti che si distinguono per la loro testimonianza di carità verso i più abbandonati.

E’ in questo contesto che la nostra Chiesa, a ricordo del Giubileo celebrato nella conversione a Cristo, farà un’opera di carità. La Casa Betania verrà completamente ristrutturata perché sia Centro di Accoglienza della Vita (CAV) già concepita; perché sia luogo di riposo per chi assiste i propri famigliari ammalati presso l’Arcispedale o le altre Case di cura; perché sia luogo dove possano dormire donne senza casa. Sono sicuro che tutta la comunità diocesana contribuirà generosamente, al momento opportuno.

"Rallegriamoci dunque ed esultiamo in spirito: noi possiamo con un santo ardire … intraprendere l’opera grande, anzi sovrumana di votarci a quella carità, che è di tanto superiore all’umanità stessa, quanto Iddio all’uomo. Perché vive in noi Cristo e il suo Spirito ama in noi … il medesimo Cristo è il grande amante in tutti noi ed insieme con noi è la nostra potenza d’amore" (A. Rosmini, Operette spirituali, CN ed. vol. 48, pag. 55).

 

CAPITOLO QUARTO

 

LA CELEBRAZIONE DIOCESANA DEL GIUBILEO

"benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo" (Ef 1,3)

 

18. La nostra celebrazione del Giubileo si svolgerà secondo il Calendario, approvato dal Consiglio pastorale diocesano e dal Consiglio Presbiterale, annesso alla presente Lettera pastorale.

I momenti fondamentali di questa celebrazione saranno tre: la solenne apertura nella Basilica Cattedrale di Ferrara e Basilica Concattedrale di Comacchio il pomeriggio del 25 dicembre 1999; la solenne veglia-adorazione eucaristica durante tutta la notte di passaggio dal 31 dicembre 1999 al 1 gennaio 2000, da celebrarsi nella Basilica Cattedrale di Ferrara e nella basilica Concattedrale di Comacchio; la solenne chiusura del Giubileo il 6 gennaio 2001.

Sarà celebrato con grande solennità il giorno 25 marzo 2000, giorno in cui il Verbo si è fatto carne nel grembo di Maria.

La nostra celebrazione del Giubileo deve avere una forte attenzione mariana. E’ per questo che la nostra diocesi si è preparata immediatamente al Giubileo col pellegrinaggio a Lourdes.

Momento straordinario in cui questa forte attenzione mariana si espliciterà maggiormente sarà il solenne atto di affidamento della nostra arcidiocesi a Maria nella domenica 15 ottobre. Pur lasciando la decisione ultima al Parroco, sarebbe bene che ogni parrocchia si preparasse a questo Atto solenne, attraverso una proprio atto di affidamento a Maria, preceduto da una opportuna catechesi.

Ogni sabato del mese di maggio 2000 mi recherò, in orario da precisare, nei seguenti santuari mariani per la recita solenne del S. Rosario: S. Maria in Aula Regia (6 maggio); Beata Vergine di Fatima a Villanova (13 maggio), B.V. dell’Annunciazione nel Poggetto (20 maggio); Santuario Madonna della Pioppa (27 maggio); Madonna della Galvana (28 maggio); Santuario della B. Vergine delle Grazie a Denore (29 maggio).

19. "L’istituto del Giubileo nella sua storia si è arricchito di segni che attestano la fede ed aiutano la devozione del popolo cristiano" (Giovanni Paolo II, Incarnationis mysterium 7).

Tra questi ne ricordo due in particolare: il pellegrinaggio e l’indulgenza giubilare.

Il nostro pellegrinaggio a Roma si svolgerà dal 19 al 21 ottobre 2000: sarà cura di ogni sacerdote preparare con un’opportuna catechesi la propria comunità a questo momento forte della nostra celebrazione giubilare.

Sono consigliati anche pellegrinaggi alle chiese giubilari del nostra Chiesa.

L’indulgenza è uno degli elementi costitutivi dell’avvenimento giubilare: è oggi particolarmente necessaria una prolungata e seria catechesi su questo aspetto della celebrazione giubilare (cfr. Incarnationis mysterium 9-10 e Il dono dell’indulgenza, a cura del Comitato nazionale per il Grande Giubileo del 2000, EDB 1999).

L’indulgenza giubilare può essere acquisita solo una volta al giorno e può essere applicata per modo di suffragio alle anime dei defunti. E’ l’incontro con Cristo nel sacramento della Penitenza e in quello dell’Eucarestia che ci apre al dono dell’indulgenza per sé e per gli altri.

Pertanto, dopo aver celebrato degnamente la confessione sacramentale, ogni fedele può ricevere o applicare ai defunti il dono dell’indulgenza giubilare senza bisogno di ripetere ogni volta la confessione. Durante tutto l’Anno Santo raccomando tuttavia una grande frequenza a questo sacramento.

La partecipazione all’Eucarestia, necessaria per ricevere l’indulgenza, è opportuno che avvenga nel giorno in cui si compiono le opere prescritte.

Le opere prescritte sono le seguenti. Una preghiera per le intenzioni del S. Padre, per manifestare in questo modo la nostra piena comunione ecclesiale. Compiere un pellegrinaggio, o in gruppo o singolarmente, alle seguenti Chiese: Basilica Cattedrale di Ferrara, Basilica Concattedrale di Comacchio, Chiesa Abbaziale di Pomposa, Santuario del Crocefisso di Ferrara, Santuario eucaristico di S. Maria in Vado in Ferrara, S. Maria in Aula Regia in Comacchio. Durante la visita si deve devotamente partecipare ad una celebrazione liturgica o ad altro pio esercizio, oppure se soli attendere per un certo tempo a pie meditazioni, concludendo colla recita del Padre nostro, del Credo, e una preghiera mariana.

Si può sostituire il pellegrinaggio a queste Chiese con una visita dalla congrua durata a persone che si trovano in particolare difficoltà, per es. ammalati o anziani che vivono in solitudine: si visita Cristo presente in essi.

Ovviamente si acquista la santa indulgenza giubilare ogni visita, non più di una volta al giorno, sempre ottemperando alle dovute condizioni spirituali, sacramentali e di preghiera (= preghiera secondo l’intenzione del S. Padre, recita del Padre nostro, recita del Credo e preghiera mariana).

Si può, sempre alle stesse condizioni spirituali, sacramentali e di preghiera, ricevere l’indulgenza anche mediante iniziative che esprimono in modo chiaro la nostra conversione a Cristo, anima del Giubileo. Per es. astenersi per almeno un’intera giornata dal fumo, o dal cibo; devolvere una proporzionata offerta di denaro ai poveri alla Chiesa per la sua missione pastorale e di carità.

Al fine di facilitate in ogni modo l’accesso alla santa indulgenza, concedo a tutti i sacerdoti che riceveranno le confessioni dei fedeli nelle sopraddette chiese durante tutto l’Anno Santo, la facoltà di assolvere da ogni scomunica riservata al Vescovo, osservando in ogni caso quanto stabilito dalla disciplina della Chiesa.

20. Chiedo ad ogni parrocchia, ad ogni comunità religiosa, ad ogni movimento ed associazione ecclesiale di fare un opportuno cammino catechetico, prendendo come testo base i primi tre capitoli della presente lettera. Ed inoltre di ordinare il loro cammino spirituale tenendo conto del calendario diocesano delle celebrazioni.

Lasciando alla sapienza pastorale dei responsabili programmare il cammino catechetico, esso dovrà rispettare le seguenti esigenze.

Esigenza liturgica: si adegui la catechesi al tempo liturgico chela Chiesa vive, convergendo sempre verso la celebrazione eucaristica.

Esigenza biblica: la nostra catechesi sia sempre esplicitamente radicata più che mai nella S. Scrittura, secondo le indicazioni presenti in tutti i passaggi fondamentali della presente lettera.

Esigenza cristocentrica: la nostra catechesi conduca sempre i nostri fedeli a concentrare intelligenza e cuore nella persona ed opera redentiva del Verbo fattosi carne "per noi uomini e per la nostra salvezza".

Esigenza missionaria: l’incontro con Cristo sia sempre presentato come avvenimento che accade dentro alla vita quotidiana dell’uomo e la trasforma. L’uomo è la via della Chiesa, perché la via della Chiesa è Cristo.

 

Conclusione

 

"Conoscere la carità di Cristo è conoscere tutti i misteri dell’incarnazione di Cristo e della nostra redenzione, che provengono dall’immenso amore di Dio, il quale supera certamente ogni intelletto creato e la scienza di tutte le altre cose" (S. Tommaso d.A., Commento alla Lett. agli Efesini, Lezione V, n° 178).

La celebrazione della bimillenaria memoria del mistero dell’incarnazione del Verbo e della nostra redenzione è la celebrazione della misericordia del Padre. La persona umana vedendosi così preziosa agli occhi della Ss. Trinità, si riempie di stupore di fronte alla sua dignità: la sua vita è cambiata da questo stupore.

Di questa pienezza di gaudio ha bisogno la nostra città, perché il dono in senso pieno della vita ricominci a fiorire in essa: è questa pienezza che il Padre vuole donare nel Giubileo. Così accada: Amen.

Ferrara, dal Palazzo Arcivescovile

15 luglio 1999

Memoria di S. Bonaventura, vescovo e dottore della Chiesa

 


 

APPENDICE

 

CALENDARIO DIOCESANO

DELLE CELEBRAZIONI GIUBILARI

 

25 Dicembre, Natività di Nostro Signore Gesù Cristo. Inaugurazione in Cattedrale e Concattedrale dell’anno giubilare.

  • Apertura solenne nel pomeriggio del Santo Natale: durante la celebrazione sono proibite altre celebrazioni

31 Dicembre, Veglia di preghiera nella Cattedrale e Concattedrale

9 Gennaio, festa del Battesimo del Signore. Celebrazione solenne del battesimo dei bambini nati negli ultimi tre mesi 1999.

30 Gennaio, Giubileo degli educatori

2 Febbraio, Presentazione di Gesù al tempio. Celebrazione del giubileo della vita consacrata.

11 Febbraio, Memoria delle apparizioni di Lourdes. Celebrazione del giubileo nel mondo della sanità.

4 Marzo, Anniversario fondazione Università. Giubileo del mondo universitario.

8 Marzo, Mercoledì delle ceneri. Inizio solenne S. Quaresima con processione durante la quale il Crocifisso del Santuario di San Luca viene portato in Cattedrale dove rimarrà per alcuni giorni.

20 Marzo, Solennità di S. Giuseppe. Celebrazione del giubileo degli artigiani.

25 Marzo, Annunciazione del Signore. Giubileo della donna.

10-14 Aprile Peregrinatio Crucis dei giovani.

15 aprile Domenica delle Palme. Giubileo dei giovani.

24 Aprile, Lunedì dell’Angelo. Celebrazione del giubileo del volontariato.

1 Maggio, memoria di S. Giuseppe lavoratore

  • Celebrazione del giubileo dei lavoratori
  • Celebrazione del giubileo dei chierichetti e di tutti i ragazzi della scuola d’obbligo.
  • Ogni sabato di maggio celebrazione mariana presieduta dall’Arcivescovo presso i santuari diocesani.

Vigilia di Pentecoste (pomeriggio), Celebrazione solenne in Cattedrale della Cresima, per i ragazzi dei tre Vicariati Urbani.

Sera della Vigilia di Pentecoste, Celebrazione in Cattedrale del giubileo dei movimenti ed associazioni. Terminata la celebrazione, inizio veglia missionaria durante tutta la notte, interrotta a mezzanotte dalla celebrazione solenne dell’Ufficio delle Letture.

18 Giugno, Celebrazione del giubileo degli sposi e della famiglia

30 Giugno - Solennità del S. Cuore di Gesù. Giubileo dei sacerdoti

24 Luglio, Beato Giovanni Tavelli da Tossignano. Celebrazione del giubileo della Caritas diocesana.

4 Ottobre, Festa di S. Francesco d’Assisi. Giubileo dei commercianti.

8 Ottobre, Inizio settimana mariana. Giubileo dei catechisti

11 Ottobre, Settimana mariana. Giubileo dei carcerati

14 Ottobre, Settimana mariana. Giubileo delle persone anziane.

15 Ottobre, Giornata di affidamento a Maria di tutta la diocesi.

19 – 20 – 21 Ottobre: Pellegrinaggio diocesano a Roma

29 ottobre, Giubileo degli imprenditori

4 novembre, San Carlo Borromeo patrono dei Seminari. Giubileo del Seminario.

12 novembre, Festa del Ringraziamento. Giubileo degli agricoltori