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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Lettera alle famiglie
8 dicembre 1997


Carissime famiglie,

fin dai primi giorni della mia venuta fra voi ho pensato di scrivervi. La Grande Missione cittadina mi offre l’occasione assai gradita di chiedervi di entrare nelle vostre case, per qualche momento, per parlare brevemente con voi attraverso questa lettera. Essa vi giungerà al termine delle feste natalizie, momento unico di grazia per ogni famiglia: il Figlio di Dio, facendosi uomo, ha voluto vivere in una famiglia. E’ stato membro di una famiglia. La preoccupazione per la famiglia dimora nel cuore della Chiesa, più di ogni altra preoccupazione: il destino dell’uomo passa inevitabilmente per la famiglia.

1. L’origine della famiglia: il matrimonio

Ogni famiglia nasce dall’amore fra un uomo e una donna: nasce dal matrimonio. E’ necessario allora, carissimi fratelli e sorelle, che iniziamo la nostra conversazione parlando del matrimonio.

1,1. Il matrimonio alla luce della ragione e della fede

Il matrimonio non è un’invenzione umana; è stato inventato da Dio stesso, nel momento in cui Egli ha creato l’uomo e la donna. Quando Egli decide di creare la persona umana, dice alcune parole piene di mistero e cariche di significati inesauribili: "Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza..." E’ come se il Creatore si fosse fermato in una pausa di riflessione prima di produrre il capolavoro della sua creazione, quasi a cercarne in se stesso il modello. E poi passa all’opera: "Dio creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse: siate fecondi e moltiplicative" (Gen 1,26 e 27-28a).
Nell’altro racconto della creazione invece non viene riferita nessuna parola detta dal Creatore al momento della creazione dell’uomo. Dio parla immediatamente prima della creazione della donna dicendo: "Non è bene che l’uomo sia solo; gli voglio fare un aiuto che gli sia simile" (Gen 2,18). Una pagina aiuta a capire l’altra. Prima di creare la donna, il Signore Iddio ci svela il significato ultimo dell’esistenza di questa creatura, la ragione per cui ella esiste. La donna è colei che rende possibile la comunione delle persone, colei che fa accadere nell’universo creato l’avvenimento dell’amore. Senza di lei l’uomo vivrebbe nella solitudine, nella quale non potrebbe raggiungere la pienezza del suo essere.
Dal confronto fra i due racconti della creazione risplende in piena luce il grande mistero del matrimonio. Esso è la comunione inter-personale fra l’uomo e la donna, riflesso (immagine) nel creato della stessa comunione divina. Vorrei che riflettessimo un poco assieme su questo grande mistero che voi, carissimi sposi, vivete ogni giorno e che costituisce la vostra incomparabile dignità.
Quando vi siete sposati avete detto: "Io prendo te come mia sposa... come mio sposo". Si è cioè costituito un rapporto, un vincolo da persona (io) a persona (te). Non avete detto: "Io prendo le tue cose" oppure "io prendo il tuo corpo". "Prendo te": la comunione è possibile solo fra le persone; riguarda la relazione personale fra l’ "io" e il "tu". Il testo biblico ci rivela che l’uomo e la donna sono come "costruiti" nel loro essere in vista di questa profonda, reciproca comunione: l’uomo esiste perché c’è la donna, la donna esiste perché c’è l’uomo. Avete detto: "Io prendo te". Ma non si "prendono" forse le cose? una persona può essere presa? In realtà, c’è un solo modo giusto di appartenere ad una persona: il dono di sé. La persona infatti appartiene solo a se stessa e nessuno, salvo Dio, può avere su di lei diritto di proprietà. E’ la persona che decidendo di fare di se stessa dono all’altra, decide di non appartenersi, ma di essere dell’altra. Voi avete detto in realtà: "tu ti doni a me come si dona una sposa allo sposo ed io accolgo il tuo dono che è la tua persona" (e reciprocamente). Se non avviene questa donazione di se stessi, non si costituisce la comunione coniugale. La logica intima che spiega il vostro vivere quotidiano e la legge suprema che governa la vostra esistenza, è la logica e la legge del dono. Ma esso può avere solo una radice, può sgorgare solo da una sorgente: l’amore. Ecco, abbiamo toccato il mistero più profondo del vostro matrimonio e nello stesso tempo della vostra persona.
L’uomo e la donna, vi dicevo, sono costruiti in modo tale che tutto il loro essere è orientato alla comunione reciproca, cioè al dono di se stessi nell’amore. Creati dall’amore di Dio, esistono per amare, e raggiungono nel dono si sé la piena realizzazione della propria persona.
E’ in questo contesto, nella luce che risplende dalle due pagine bibliche, che possiamo capire l’intima verità del corpo umano e della sessualità: in una parola della mascolinità-femminilità. Non si tratta di una determinazione puramente biologica e neppure di una qualificazione puramente psicologica. E’ in quanto uomo, in quanto donna che le persone sono chiamate alla comunione reciproca mediante il dono di se stesse. Questa vocazione al dono è inscritta dalla mano di Dio creatore anche nel corpo dell’uomo e della donna, anche nella loro sessualità. E’ anche nel loro corpo e nella loro sessualità che l’uomo e la donna sono predisposti a formare una comunione di persone.
La persona umana è pienamente se stessa nella relazione di amore con l’altro. Sia l’essere-se-stessi sia l’essere-per-l’altro entrano nella costituzione della persona. Dal momento che il corpo è la stessa persona - ciascuno è il suo proprio corpo - nel suo farsi visibile, esso pure deve possedere in se stesso questo orientamento all’essere-per-l’altro. Certamente questo rapporto fra le persone non passa necessariamente né esclusivamente attraverso la sessualità. Ma poiché ogni persona umana è uomo o donna, appartiene al dono reciproco che le persone fanno di se stesse anche l’unione sessuale.
E’ per questo che il momento della vostra unione coniugale, carissimi sposi, costituisce il momento in cui la verità della vostra comunione coniugale si manifesta nella sua forma più alta. E’ allora che nella verità piena della vostra mascolinità e femminilità, diventate reciproco dono. Certamente tutta la vostra vita matrimoniale è dono reciproco. Ma questa intima costituzione del matrimonio diventa particolarmente evidente quando offrendovi reciprocamente nell’abbraccio amoroso, realizzate quell’unità che fa di voi due "una sola carne" (Gen 2,24).
Poiché il matrimonio è tutto questo, esso è ordinato per l’intima natura dell’amore coniugale alla procreazione ed educazione dei figli. L’amore coniugale è il tempio santo nel quale Dio celebra il suo amore creatore. Egli benedisse l’uomo e la donna (cfr. Gen 2,28), volle cioè comunicare all’uomo e alla donna una speciale partecipazione al suo Amore creatore: "crescete e moltiplicatevi". E’ per questo che quando i due si uniscono in modo da diventare "una sola carne", essi assumono una particolare responsabilità davanti a Dio creatore a motivo della capacità procreativa inscritta nel loro atto sessuale. In quel momento i coniugi possono diventare padre e madre: cooperare cioè con il loro atto generativo con l’atto creativo di Dio. All’origine infatti di ogni persona umana sta un atto creativo di Dio. Certamente: l’unione sessuale dei coniugi non è da considerarsi un mero mezzo in vista della procreazione. Essa ha in sé e per sé un suo proprio significato, in quanto è mutua comunione di persone nel dono. Ma l’intera verità del dono deve sempre essere custodita nel rapporto coniugale. Quando la sposa è fertile, cioè ha in sé la capacità di concepire una nuova persona, il dono reciproco non sarebbe interamente vero se in previsione dell’atto sessuale, o durante il suo svolgimento, o nelle sue immediate conseguenze, si sopprimesse quella capacità, ricorrendo alla contraccezione o, peggio ancora, alla sterilizzazione. La persona esige sempre di essere rispettata nella sua oggettiva verità: mai può essere considerata semplicemente un mezzo, mai soprattutto un mezzo di godimento.
Cristo, in vista del quale tutto è stato creato, ha portato a pieno compimento tutta la realtà matrimoniale, facendo del matrimonio uno dei sette sacramenti della Nuova Alleanza. In questo compimento l’amore coniugale acquisisce una verità ed un significato soprannaturali. Esso è la partecipazione reale allo stesso amore con cui Cristo ha donato se stesso alla Chiesa. Carissimi sposi, Cristo vi rende capaci di amarvi con lo stesso amore con cui Egli stesso ha amato. Siete radicati in modo unico nel mistero eucaristico che di quell’amore e dono è memoria perpetua.

1,2. La verità del matrimonio oscurata

Vorrei fermarmi a questo punto e lodare con voi, carissimi sposi, il Signore per la bellezza della sua opera, per la dignità conferita al vostro matrimonio. Ma verrei meno al mio grave dovere di vostro pastore, e soprattutto al profondo affetto che nutro verso di voi se non vi mettessi anche in guardia dagli errori che oscurano la bontà e la bellezza del vostro amore coniugale: Cristo non mi perdonerebbe mai una tale mancanza di carità nei vostri confronti.
Il matrimonio oggi è in primo luogo insidiato dall’errore, non solo pensato ma vissuto, di ritenere che esso è invenzione umana e che quindi è lasciato completamente alla libera determinazione di uomini e istituzioni. Esso non avrebbe una sua propria verità, quale è stata pensata da Dio creatore stesso e della quale chi si sposa non è padrone, ma responsabile. Carissimi sposi, vorrei che non vi spaventaste dell’apparente difficoltà che incontrate, ne sono certo, nel leggere queste righe, passando oltre. Sto toccando la radice più profonda e più inquinante della vita matrimoniale oggi: l’oscuramento o perfino la negazione esplicita della verità circa l’amore coniugale, che la mano di Dio creatore ha inscritto nel cuore di ogni uomo e di ogni donna. A questo oscuramento o negazione segue nella volontà della persona la disobbedienza cioè l’opposizione della volontà umana alla volontà di Dio. E’ un errore ed un’opposizione che finisce con l’attribuire all’uomo la facoltà di decidere ciò che è bene e ciò che è male, coll’attribuire cioè alla propria ragione e alla propria coscienza un’autonomia che è la fonte di ogni male. Questa attribuzione sradica gli sposi dall’intima verità e bontà del loro amore e li consegna alla noia ed alla tristezza del cuore.
Vorrei richiamare l’attenzione sui frutti di questa radice inquinata, così che sia più facile per voi guardarvene.
Il primo è la deformazione, l’impoverimento, la falsificazione dell’amore coniugale il quale "si compiace della verità". Questa deformazione consiste
nell’introdurre nella relazione coniugale uomo-donna una logica contraria alla logica e della comunione reciproca del dono: la logica dell’individualismo. Esso consiste in un uso della propria libertà teso ad affermare se stesso non nel dono di sé, ma tendenzialmente nell’uso dell’altro. La persona non vuole donare, non vuole diventare un dono. Questa deformazione produce un grande impoverimento nell’amore coniugale dal punto di vista spirituale, psicologico e fisico, poiché conduce ad un grande impoverimento nell’esperienza che la persona ha di se stessa. Essa si nega in ciò che ha di più grande: la sua capacità di superarsi, di comunicare. In una parola: di amare. Deformazione ed impoverimento che alla fine conducono ad una vera e propria falsificazione dell‘amore. Tutto rimane, se rimane, come se fossero sposi; in realtà sono rimasti due individui che cercano ogni giorno il fragile miracolo della convergenza sempre provvisoria di interessi opposti: non amore, ma maschera di amore.
In tutto questo si spreca l’incomparabile preziosità della sessualità coniugale. E’ una preziosità dovuta ad una sua duplice capacità. Essa è capace di esprimere e realizzare il dono della persona: è il linguaggio del dono. Essa inoltre è capace di donare la vita ad una nuova persona umana. Gli sposi si donano e si ricevono nell’unità di una "sola carne"; trasmettendo la vita, un nuovo dono si inserisce nel "noi coniugale", una nuova persona umana alla quale potranno dire: "nostro figlio, nostra figlia". Che cosa succede nella sessualità coniugale quando l’amore coniugale è deformato, impoverito, falsificato? Tutto il grande e stupendo contenuto espressivo della sessualità viene ridotto a godimento: egoistico anche se sentito in tutti e due i corpi. Il figlio da frutto e segno supremo della comunione dei due si trasforma in una "fastidiosa aggiunta".
Vorrei fermarmi un poco su questo punto. E’ ben noto a tutti come la nostra provincia sia fra quelle che hanno il più basso tasso di natalità. E’ un tragico primato questo che forse ha già consegnato questa nostra città a un destino di annoiato tramonto e di morte. Non ci sono più nascite. La vita non è più donata. Si chiedono con insistenza alle donne incinte analisi prenatali al solo scopo poi di indurle all’aborto, nel caso fossero positive. Si continua ad eseguire aborti. In nome di Dio, vi prego, vi scongiuro: spezzate questa alleanza con la morte. La morte non può essere amica dell’uomo. Il bambino è sempre un dono. Il suo stesso e semplice esserci è un dono: un dono fatto ai suoi genitori, ai suoi fratelli e sorelle, alla nostra città. Il bene comune di questa infatti consiste nella persona umana; la sua principale risorsa è la persona umana. Una legge umana non trasforma un omicidio quale è l’aborto, in una scelta di civiltà. La contraccezione, rendere cioè volontariamente infecondo un atto coniugale unitivo, è sempre un male; è sempre un falsificazione del vero amore coniugale. E nessuna circostanza potrà rendere giusto ciò che è obiettivamente ingiusto. La nostra Arcidiocesi sta già impegnandosi per creare centri di vera educazione ad una paternità-maternità generosa e responsabile, consapevole che il servizio alla verità intera dell’amore coniugale è il primo ed originario suo servizio al bene dell’uomo.
Infine vorrei attirare la vostra attenzione su un altro frutto della radice perversa di cui stiamo parlando. Il dono della persona esige per sua natura la totalità e quindi l’irrevocabilità. Noi possiamo misurare, quantificare secondo un "più" ed un "meno" il dono del nostro avere: ma non esiste un "più" ed un "meno" del nostro essere. Ora l’amore coniugale non consiste nel donare al coniuge solo il proprio avere: esso consiste nel dono di se stesso, del proprio essere. L’indissolubilità scaturisce dall’intima verità del dono. Quando questa si oscura, tutto alla fine diventa provvisorio, poiché tutto è contrattabile sulla base di un "dare-avere" che deve essere almeno in parità per i due. Chi risultasse perdente, chi cioè riceve meno di ciò che dà, è autorizzato a respingere il contratto. L’individualismo è sempre utilitarista, e l’utilitarismo genera sempre una società contrattualista: una società dove tutto è negoziabile.
Carissime famiglie, non vorrei che questa versione realista vi portasse ad una sorta di amaro pessimismo. Il pessimismo come l’ottimismo sono menzogne, dal momento che ne l’uno né l’altro sono realisti. La realtà è la forza dello Spirito Santo che abita nel cuore del credente e che vi rende capaci di portare frutti di amore coniugale vero, vincendo questo spaventoso inquinamento della coscienza morale dei coniugi.
Non abbiate paura di queste potenze di morte! La potenza della Vita e dell’Amore donataci dal Risorto, cioè il suo Santo Spirito, è molto più forte.

2. Dal matrimonio nasce la famiglia

Come ho già detto varie volte, dalla comunione di dono e di amore che si attua nel matrimonio nasce la famiglia. Ed il "punto" di passaggio dell’uno all’altra, la mirabile trasformazione da sposi in genitori, accade nel concepimento di una nuova persona umana. Concepimento che si continua in un certo senso nell’opera educativa, per compiere la quale gli sposi hanno bisogno di essere aiutati. Insomma, la famiglia è una comunità di persone assai ricca e complessa, in rapporto con ogni altra istituzione sociale. In questa lettera non posso intrattenermi su ogni aspetto. Mi limito ad alcuni che reputo oggi di particolare urgenza.

2,1. Il concepimento della persona

La S. Scrittura ci ha conservato la memoria di uno dei momenti più grandi della storia dell’umanità: il momento in cui la prima donna di accorse per la prima volta di aver concepito. Come visse quel momento? Che cosa provò? Ecco che cosa disse: "Ho acquistato un uomo dal Signore" (Gen 4,1). E’ come l’eco, ma più profondo, di ciò che Eva si sentì dire quando per la prima volta fu vista, lei la prima donna, dall’uomo: "Questa volta essa è carne della mia carne e osso dalle mie ossa" (Gen 2,23). In ambedue i casi una persona rimane stupita di fronte alla grandezza, alla bellezza di un’altra persona: può essere solo amata, non dominata. E nello stesso tempo è un dono fatto dal Creatore: la persona è in sé e per sé dono e un dono va accolto nella riconoscenza e nella lode. Carissime famiglie: lasciatevi commuovere dal mistero grande che è ciascuna di voi! Lasciate che il vostro cuore sia ripieno di lode al Signore che vi ha fatto un dono così grande!
La stessa, profonda logica della coniugalità diventa la logica della paternità-maternità. La sposa è donata allo sposo e lo sposo è donato alla sposa. Consapevole di questo dono, ciascuno dice: "Io prendo te ...". cioè: "accolgo il dono che il Signore mi fa e che tu acconsenti di essere ; ho acquistato uno sposo/una sposa dal Signore". E quindi, con assoluta coerenza, la Chiesa chiede: "Siete disposti ad accogliere responsabilmente e con amore i figli che Dio vorrà donarvi?" E’ lo stesso evento di dono (che Dio vorrà donarvi) e di accoglienza del dono (ad accogliere), che può essere fatto solo per amore (con amore) nella consapevolezza di ricevere un tesoro di incalcolabile valore (responsabilmente).
La consapevolezza che ogni figlio è un dono è ancora presente nelle nostre famiglie ferraresi? Certamente ve ne sono non poche per le quali è così. ma non posso nascondere che per molte l’arrivo di un figlio non è più visto come un dono, ma piuttosto un peso o un inconveniente. E così la nostra città, la nostra provincia sta paurosamente invecchiando: sta ormai incamminata sul viale del tramonto. E’ la povertà più grande di cui soffre la nostra comunità poiché la prima e principale risorsa di ogni comunità, come già vi ho detto, è la persona umana: è essa il suo vero bene comune. E’ la persona del bambino, più di ogni altra. E’ la presenza del bambino che indica il grado di speranza che dimora nel cuore di una società. Non a caso, il Vangelo diede come segno dell’evento della salvezza il seguente: "troverete un bambino avvolto in fasce" (Lc 2,12).
Ma non posso d’altra parte tacere la grande testimonianza che ci stanno donando quelle famiglie che si aprono all’accoglienza di quei bambini che, per varie ragioni, si trovano ad essere senza famiglia vera.
Può accadere che un minore possa trovarsi in stato temporaneo di abbandono, morale e materiale, a causa della inadeguatezza della propria famiglia (carcere, tossicodipendenza, problemi psichiatrici, abusi sessuali e violenze o comunque scarsa responsabilità genitoriale): accade spesso che i genitori non possano riuscire a convivere con i propri figli, pur amandoli ed essendone riamati. Occorre allora una famiglia alternativa, che offra "calore familiare" e che si prenda cura con affetto del bambino, sostenendo il cammino dei genitori senza porsi in competizione e favorendo il successivo rientro del bimbo nei casi in cui la famiglia possa essere recuperata.
Intimorisce, a volte, il dover condividere con un bambino estraneo non solo le cose, gli oggetti, ma soprattutto lo spazio e l’amore che fino a quel momento erano riserva esclusiva dei propri figli naturali. Ma l’affetto non si misura in ore, e l’arricchimento spirituale che deriva ai propri figli dall’esempio concreto di aiuto al prossimo, è superiore a quello di qualsiasi sermone teorico.
Un altro aspetto che spaventa le famiglie nell’avvicinarsi all’affido è la gratuità del gesto: è quasi inaccettabile nel nostro tempo offrire amore e poi rinunciare all’"oggetto" del nostro amore. E’ la cultura dell’individualismo utilitarista su cui ho già attirato la vostra attenzione. Tutte le famiglie che hanno accolto un figlio non proprio sono come una sfida lanciata a questa cultura.
La consapevolezza che il figlio è un dono che viene fatto dal Signore agli sposi, ci fa penetrare più profondamente nell’intima verità dell’amore coniugale, nell’intima verità della loro unione sessuale in forza della quale i due diventano "una sola carne". Il fatto che nella loro sessualità sia inscritta la possibilità di generare una nuova vita non è uno "spiacevole particolare biologico" di cui spesso si farebbe volentieri senza, e che quindi si cerca di eliminare anche permanentemente con la sterilizzazione. Essa, questa capacità, entra nella costituzione dell’amore coniugale come dono della persona. E’ questa dimensione personalista della sessualità umana in genere, e coniugale in particolare, che deve essere pienamente recuperata dalla coscienza dei coniugi. Che cosa significa "dimensione personalista della sessualità (coniugale)"? Significa che la sessualità non è qualcosa di cui disporre: non appartiene all’avere della persona. Essa entra nella costituzione della stessa persona umana in quanto chiamata ad essere dono di se stessa: appartiene all’essere della persona chiamata "a ritrovarsi pienamente ... attraverso il dono sincero di sé" (Conc. Vaticano II, Cost. Past., Gaudium et Spes 24). E’ per questo che secondo la dottrina cristiana, solo l’unione che fa dei due sposi una sola carne porta a perfezionare il matrimonio anche in quanto sacramento.
Attraverso il consenso matrimoniale davanti al sacerdote, gli posi si sono già reciprocamente vincolati nel dono. ma è nell’unione coniugale che questo reciproco dono trova la sua piena conferma e realizzazione. Orbene la logica del dono che permea così intimamente questo momento della vita coniugale, il fatto che l’uno e l’altro siano semplicemente dono reciproco e totale, comporta che non si escluda la possibilità della paternità-maternità quando essa è presente nel loro donarsi l’uno all’altro, sessualmente espresso. Quest’esclusione non sarebbe l’obiettiva negazione della totalità del dono espressa pur tuttavia nel linguaggio sessuale? Non sarebbe una contraddizione fra ciò che in questo linguaggio si sta dicendo e ciò che di fatto si sta facendo? Non sarebbe quindi un’obiettiva menzogna? In questo sta l’intrinseca malizia di ogni atto contraccettivo.
Ci possono essere ragioni gravi che consigliano o perfino obbligano gli sposi a non donare o a non donare più la vita ad altre persone: a non avere o non avere più figli. In queste situazioni, i coniugi devono ricorrere alla continenza periodica, unica via che promuove veramente il loro amore coniugale: a dispetto di tutte le chiacchiere che si fanno sulla impossibilità o sulla dannosità di una tale impostazione di vita. La continenza infatti di cui sto parlandovi è una virtù, non una tecnica. Essa ha a vedere con la tecnica tanto quanto ne ha a vedere la soddisfazione sessuale umana, cioè nulla. Entrambi, continenza e soddisfazione sessuale, dimorano nella logica del dono reciproco, non altrove. Una grande mistica del Medioevo ha espresso stupendamente tutto questo: "la forza dell’Eterno che fa uscire il bimbo dal grembo materno fa di un uomo e una donna un solo ed unico corpo" (Ildegarda di Bingen).
Nel concludere questa riflessione su un argomento così grande, non posso non rivolgere un richiamo particolare a chi è in esso particolarmente coinvolto.
In primo luogo penso a voi, carissimi sposi. Non credete a chi vi presenta la visione della Chiesa, presentazione per altro assai spesso distorta, come una visione inumana. E’ vero esattamente il contrario: è una profonda stima della persona umana, della sessualità e dell’amore umano che ispira la Chiesa. E’ una difesa che fa della dignità della persona, soprattutto della donna, che non può mai essere degradata al rango di oggetto di cui disporre.
Ma penso anche a voi, carissimi sacerdoti. Siate vicini, profondamente vicini agli sposi: amateli di un amore speciale. La vostra vicinanza deve nutrirsi, sostanziarsi di due fondamentali attitudini. La prima è una grande stima dell’amore coniugale che dovete nutrire nel vostro cuore: amate l’amore coniugale! Questa stima vi difenderà dall’insidia di venire a compromessi con gli errori circa l’amore coniugale ed in particolare sulla procreazione responsabile. Il primo atto di amore verso gli sposi è di esporre senza ambiguità l’insegnamento della Chiesa sul matrimonio (cfr. Paolo VI, Lett. Enc. Humanae Vitae 28). E’ un insegnamento che vi chiedo di approfondire seriamente nei suoi fondamenti antropologici e teologici. Solo se sarete veramente, interamente convinti voi della sua verità, potrete esserne i testimoni. La seconda attitudine è la straordinaria comprensione, misericordia con cui dovete accompagnare gli sposi nel loro cammino cristiano: siate sempre ed in ogni caso il segno tangibile della misericordia di Cristo.
Mi rivolgo anche a voi, carissimi giovani. Ed ancora una volta vi dico: guardate a Cristo, ascoltate Cristo che vi parla nella sua Chiesa. Egli vuole mostrarvi la meravigliosa ricchezza dell’amore coniugale. Non rovinate questa ricchezza: i rapporti prematrimoniali non solo non vi fanno crescere nell’amore, ma vi introducono gradualmente in una visione degradata della vostra persona e della vostra sessualità.
Vi ho presenti tutti, sposi, sacerdoti, giovani fidanzati e non, mentre sto scrivendo questa Lettera: è una stupenda sfida che vi è proposta. Costruire la civiltà dell’amore. Cosa possibile solo se la verità riguardante la dignità della persona, la dignità del loro donarsi, la dignità del bambino dono preziosissimo fatto a tutti, riacquisterà il suo intenso splendore. Vi potrebbe essere un compito più grande di questo? Prego tanto per voi, perché ne siate all’altezza.

2,2. La missione di educare

La consapevolezza che il bambino è un dono genera nei genitori il senso di un tesoro che deve essere custodito con somma venerazione. Ciò che il bambino chiede con tutta la sua persona è di essere educato: una richiesta che ci fanno con sempre maggior forza anche gli adolescenti e i giovani.
Ma che cosa significa educare? Per rispondere a questa domanda dobbiamo rifarci alla nostra esperienza più originaria, la prima esperienza in assoluto che abbiamo vissuto. Parlo dell’ingresso in questo mondo, della nostra entrata nell’universo dell’essere. Non è un fatto puramente fisico; è un avvenimento intensamente spirituale: il nuovo arrivato vede la realtà in cui è giunto. Il più grande maestro del pensiero cristiano, S. Tommaso d’Aquino, insegna che questo primo incontro con la realtà che ci circonda è una intuizione della realtà, è un’intuizione dell’essere di ciò che è (apprehensio entis). Questo incontro suscita nella persona un profondo stupore che genera la domanda radicale (che poi dimorerà sempre nel nostro cuore): quale è il "senso" di tutto questo? Questa domanda è la richiesta di sapere "che cosa è" tutto questo (domanda sulla verità); è richiesta se tutto questo "meriti di essere voluto o debba essere rifiutato" (domanda sul bene). Il bambino è colui che pone per la prima volta la domanda metafisica: che cosa è tutto questo?; è colui che pone per la prima volta la domanda etica: come devo agire nei confronti di tutto questo? Ogni genitore fa esperienza spesso anche conturbante dei continui "perché" del bambino.
La risposta che riceverà alle sue due grandi domande segnerà per sempre tutta la sua vicenda esistenziale, sia che egli la custodisca sia che egli poi la rifiuti. L’educazione consiste precisamente nell’introdurre la nuova persona umana dentro al mistero dell’essere, dentro alla realtà, offrendole l’interpretazione di quel mistero stesso. Mediante quindi l’educazione, la persona cresce come persona: è come una continua generazione. L’educazione è "il prodigio sempre nuovo che è ogni divenire uomo".
Ovviamente il rapporto educativo varia col crescere della persona da educare. Mi limito solo a qualche osservazione di carattere generale, ripromettendomi di ritornare ancora in altre occasioni su questo problema centrale per la vita della Chiesa e della società civile.
Lo spazio esige limitazioni. Vorrei riferirmi solo ai bambini. L’approccio del bambino al mistero dell’essere è assolutamente originale. Egli infatti chiede di essere educato non con le parole, ma col suo stesso esserci. Egli chiede di avere una interpretazione sensata della realtà in cui vive, non ponendo delle domande ma ponendo semplicemente se stesso. Sto descrivendo uno degli avvenimenti più suggestivi che accadono nella nostra povera storia quotidiana. In fondo, ponendo se stessi di fronte agli altri, in primo luogo di fronte ai genitori, il bambino attende che gli si dica (non a parole) come è visto (problema della verità) e come è accolto (problema del bene): attende semplicemente di sapere e sentire se è il ben-venuto oppure se non è il ben-venuto. In questo egli interpreterà il mistero della realtà; vedrà il volto dell’essere. E saprà se il Volto è l’Amore: il volto della madre che egli sorride. Oppure se il Volto è il Rifiuto: "che fastidio che sei!". E l’ingresso nella realtà sarà ben diverso!
Carissimi genitori: so quanto siete preoccupati per l’educazione dei vostri bambini. Non suoni come critica né tanto meno come giudizio quanto sto per dirvi: ho solo un grande desiderio di esservi sempre più vicino.
Da quanto ho detto sopra deriva che l’educazione del bambino può realizzarsi solo all’interno di un rapporto di convivenza assai profondo, non solo fisico. Un rapporto impastato di dialogo, un rapporto dal quale non sia assente nessuno dei due genitori, un rapporto che è vera elargizione di umanità. Perché questo accada, è necessario dare tempo ai vostri bambini. Non date a loro il vostro tempo qualitativamente peggiore: quando siete più stanchi, più nervosi. Quando siete in casa tutti assieme, spegnete la televisione: vi impedisce quel dialogo di cui sto parlando. Come la persona umana viene fisicamente concepita in un utero fisico, così ha bisogno di una sorta di "utero spirituale" nel quale crescere: è questa profonda atmosfera in cui i genitori elargiscono al bambino la loro umanità matura ed il bambino li rinnova colla freschezza del suo stupore.
I genitori sono i primi e principali educatori dei propri figli: questo diritto non è frutto di una benevola elargizione di qualcuno. Esso è fondato sull’atto generativo stesso: sono educatori perché genitori. Certamente essi devono essere aiutati in questa loro missione. La Chiesa e lo Stato sono le due istituzioni che principalmente intervengono in questo ambito. Ma questo intervento deve essere regolato dal principio di sussidiarietà.
"Questo implica la legittimità ed anzi la doverosità di un aiuto offerto ai genitori, ma trova nel loro diritto prevalente e nelle loro effettive possibilità il suo intrinseco e invalicabile limite. Il principio di sussidiarietà si pone, pertanto, al servizio dell’amore dei genitori, venendo incontro al bene del nucleo familiare. I genitori, infatti, non sono in grado di soddisfare da soli ad ogni esigenza dell’intero processo educativo, specialmente per quanto concerne l’istruzione e l’ampio settore della socializzazione. La sussidiarietà completa così l’amore paterno e materno, confermandone il carattere fondamentale, perché ogni altro partecipante al processo educativo non può che operare a nome dei genitori, con il loro consenso e, in una certa misura, persino su loro incarico." (Giovanni Paolo II, Lettera alle famiglie", 1994, pag. 59).
Voi sapete bene che quest’ordinata sinergia non è affatto rispettata dallo Stato italiano: fra i pochi ancora nelle grandi democrazie occidentali. E’ un’ingiustizia fra le più gravi che lede un diritto di decisiva importanza per una vera società libera: la libertà di educare. Fino a quando non ci sarà una parità economica fra scuola gestita dallo Stato e scuola non gestita dallo Stato, la famiglia è di fatto impedita a compiere liberamente le sue scelte educative. La nostra Chiesa assieme a benemerite Congregazioni religiose si sta impegnando al massimo per tenere vive le scuole sue proprie. Solo chi non vede la suprema dignità della persona, e chi resta ancora chiuso dentro a schemi di vecchio totalitarismo educativo, può pensare che tutto questo sia un privilegio. Sì certo, è un privilegio: il privilegio di difendere la dignità e la libertà delle famiglie contro uno Stato sempre oscillante nel campo scolastico fra latitanza e prevaricazione. Sono pieno di gratitudine verso i nostri sacerdoti che hanno sempre sostenuto questo impegno. Molti di loro, spesso con grandi preoccupazioni e sacrifici, gestiscono con le loro comunità parrocchiali scuole materne e doposcuola. Vada davvero a loro tutta la nostra riconoscenza, la nostra stima ed il nostro sostegno.
So che in alcune comunità si sono costituite associazioni di laici che gestiscono scuole e dopo-scuole. Sono una grande benedizione e profezia. Esse lanciano una grande sfida sia ad un sistema scolastico sempre più insidiato dal vuoto educativo sia ad un potere politico sordo a questa fondamentale richiesta delle famiglie. Forse in questa battaglia di libertà saremo sconfitti: ma ci sono sconfitte più onorevoli delle vittorie. Quando è la giustizia ad essere sconfitta, meglio essere dalla parte della forza della giustizia piuttosto che dalla parte della giustizia della forza.
Non posso terminare questa riflessione sull’educazione senza un pensiero pieno di commossa ammirazione per tutte le nostre religiose che nel loro amore verginale a Cristo hanno scelto la missione educativa come loro propria. Durante questi due anni del mio servizio episcopale le ho incontrate tutte. Rendo loro pubblica testimonianza che sono persone di incomparabile nobiltà spirituale: vere educatrici che nel loro lavoro quotidiano elargiscono ricchezza di umanità alle persone che incontrano. In loro veramente risplende la stupenda maternità della verginità cristiana.

2,3. La famiglia e la società

Le ultime riflessioni ci hanno già introdotti nel problema dei rapporti fra la famiglia e la società, sul quale vorrei attirare brevemente la vostra attenzione.
Che la famiglia sia l’istituzione fondamentale per la vita di ogni società penso che siano pochi oggi a negarlo. Ma questa importanza dell’istituzione familiare pone la necessità che i rapporti fra la famiglia e la società siano giusti. Quando lo sono? a che cosa cioè ha diritto la famiglia nei confronti della società?
In primo luogo essa ha diritto di essere riconosciuta nella sua propria identità e dignità. Essa è costituita dal matrimonio, cioè dal patto con cui "l’uomo e la donna stabiliscono fra loro la comunità di tutta la vita, per sua natura ordinata al bene dei coniugi e alla procreazione ed educazione della prole" (Codice di Diritto canonico, can. 1055, 1). Voler equiparare legalmente o di fatto al matrimonio convivenze che non corrispondono a quelle condizioni, e quindi dare loro riconoscimenti che competono solo alla famiglia, significa minare l’edificio sociale alla sua stessa base. Mutare la natura stessa delle fondamentali istituzioni, e la famiglia è fra queste, è segno di un’incoscienza tale che può portare irreparabili danni ad ogni civile convivenza.
Ma questo è il minimo indispensabile che la famiglia chiede: che non sia equiparata a formazioni sociali colle quali in realtà non ha nulla in comune. Ma questo non è tutto per risolvere, o almeno tentare di risolvere i problemi dei rapporti famiglia-società. Problemi che stanno creando un sempre più grave disagio nelle famiglie.
Esiste un punto di partenza, una base di soluzione di quei problemi oggi tutt’altro che presente nella nostra coscienza, e che esige un vero e profondo cambiamento di mentalità. Detto assai brevemente questo cambiamento consiste nel passaggio dal binomio individuo-Stato come asse portante dell’edificio sociale al trinomio persona umana - comunità interpersonali - Stato come configurazione essenziale del nostro convivere in società. E’ necessario cioè che siano riconosciuti non solo i diritti degli individui come tali, ma i diritti di quelle formazioni sociali nelle quali la persona umana (che non è solo individuo) si esprime e si realizza: in primo luogo la famiglia. Che cosa questo significa? significa che i diritti che la famiglia ha non sono semplicemente il risultato della somma dei diritti dei singoli che la compongono. Essa ha dei diritti come tale: non possiede la cittadinanza solo il singolo individuo. Ha cittadinanza anche la famiglia come tale. Quali sono questi diritti?
Non voglio rifarmi semplicemente alla Carta dei diritti della famiglia pubblicata dalla S. Sede nel 1983. Vorrei richiamare l’attenzione di tutti su ciò che mi sembra particolarmente urgente nella nostra società ferrarese.
Ogni uomo ed ogni donna hanno il diritto di fondare una famiglia basata sul matrimonio legittimo. Quanti giovani ho incontrato che devono rimandare di anni l’esercizio di questo loro fondamentale diritto per la persistente disoccupazione! E’ una delle violazioni più gravi alla dignità della persona.
Ogni famiglia ha diritto di educare liberamente i propri figli secondo quel progetto di vita che ritiene vero: quante famiglie oggi possono di fatto esercitare questo diritto? Nel mio ministero ho incontrato famiglie che sono costrette per ragioni economiche ad inviare i figli a scuole che non approvano. Non si cerca qualche volta di eliminare dalle scuole anche i fondamentali riferimenti cristiani, quali quelli del Natale, per un supposto rispetto di tutti? E così gli unici a non essere rispettati sono i credenti.
Ogni famiglia ha diritto all’assistenza sanitaria di base specialmente quando trattasi di ammalati dimessi in condizioni ancora gravi: le necessarie e giuste preoccupazioni per risanare bilanci pericolosamente deficitari non devono farci dimenticare situazioni familiari spesso tragiche.
Non voglio proseguire oltre nell’indicare le urgenze pratiche dei diritti che competono alla famiglia come tale. Sono sicuro di trovare piena corrispondenza nella mente e nel cuore di quanti hanno a vario titolo responsabilità pubbliche nella nostra società ferrarese. Conoscendo la profonda umanità dei nostri amministratori, molti dei quali ho personalmente incontrato e conosciuto, prendo coraggio di proporre loro una iniziativa: perché non fare una conferenza di tutte le pubbliche amministrazioni che hanno a che fare con i fondamentali diritti della famiglia, per elaborare una seria programmazione di intervento, una vera politica familiare?
La nostra società ferrarese riprenderà forza se in primo luogo riprenderà forza la famiglia: la vita e l’identità del nostro popolo, la sua ricchezza spirituale e materiale passano in primo luogo attraverso la famiglia.

Conclusione

Carissime famiglie, quale tesoro siete per la nostra Chiesa e per la nostra società! Vi sono vicino, vi sarò sempre vicino con tutti i nostri sacerdoti perché questo tesoro sia fedelmente custodito.
Prego lo Spirito Santo perché faccia rifiorire in ognuna di voi quell’amore nel quale ogni persona è riconosciuta in se stessa e per se stessa. Sia Egli a rendervi forti nel liberare le forze del bene che Cristo ha posto in voi sposi col santo sacramento del Matrimonio: le forze del vostro amore coniugale. Vi liberi dall’inganno con cui oggi si cerca di oscurarne la splendida bellezza.
Che la Grande Missione sia occasione per tutti di riscoprire l’incomparabile grandezza del matrimonio e della famiglia: perché ciò accada, scenda su ciascuna di voi la benedizione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo e con ciascuna di voi rimanga sempre.

Ferrara, dal Palazzo Arcivescovile, 8 dicembre 1997
Solennità dell’Immacolata Concezione di Maria.