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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Giovanni Paolo II e l’Istituto che porta il suo nome: le ispirazioni originarie
Pubblicato in Anthropotes, dicembre 2005


Fu, se non erro, nel gennaio 1981 che venni chiamato dal Santo Padre Giovanni Paolo II per ricevere l’incarico di fondare l’Istituto per Studi su Matrimonio e Famiglia. La fondazione era anche la realizzazione di un votum espresso dal Sinodo dei Vescovi celebrato nell’ottobre 1980: votum trascritto anche nell’Esortazione Apostolica Familiaris Consortio.

Ho conservato un ricordo vivissimo di quell’incontro, anche perché negli anni successivi cercai di ispirarmi sempre coi miei collaboratori, personale docente e non, all’ idea originaria che quella sera era emersa dalle parole del Santo Padre. Idea originaria che avrebbe poi preso forma giuridica nella Costituzione Apostolica Magnum Matrimonii Sacramentum pubblicata nell’ottobre 1982.

Compresi subito che la “vicenda umana” era nella mente del Santo Padre strettamente, inscindibilmente connessa con la condizione del matrimonio e della famiglia; che la humanitas dell’uomo era generata — non solo in senso biologico — in primo luogo all’interno della comunità coniugale. Prendersi cura dell’uomo significa ed esige in primo luogo prendersi cura del matrimonio e della famiglia. L’Istituto doveva assumersi in pieno questa cura sul piano del pensiero: il pensiero, la ricostruzione pensata della dottrina filosofica e teologica del matrimonio e della famiglia era il compito che il nuovo Istituto doveva assumersi in proprio.

La connessione teoretica fra il discorso filosofico e il discorso teologico circa la persona umana e circa il matrimonio e la famiglia caratterizzò fin dal principio l’attività dell’Istituto, secondo una precisa direttiva che il Santo Padre diede: la “questione antropologica” e la “questione matrimoniale” si coimplicano perché l’una dimora dentro l’altra. Ricordo la meraviglia di alcuni maestri dell’Università quando notarono lo spazio dato nel programma accademico all’antropologica filosofica e teologica, che sembrava strano in un Istituto che doveva studiare il matrimonio e la famiglia.

Nell’idea originaria dell’Istituto tuttavia la connessione fra la questione antropologica e la questione matrimonio/famiglia doveva essere studiata nella direzione che procede dal discorso antropologico alla riflessione sulla coniugalità, e non viceversa. Non si rifletteva sul matrimonio come via, sia pure privilegiata, per la costruzione della dottrina antropologica, ma piuttosto viceversa si rifletteva sull’uomo in vista della costruzione di una vera dottrina del matrimonio e della famiglia.

Fin dall’inizio fu chiaro — ed era una seconda fondamentale indicazione del Santo Padre — che il punto di tangenza della questione antropologica con la questione matrimoniale era la questione etica sia nella sua originaria e fondamentale posizione sia nella formulazione che essa registra dentro al rapporto genitorialità-coniugalità, cioè dentro al problema cui risponde l’Enciclica Humanae Vitae. Non per caso questa enciclica è citata nella Costituzione Apostolica fondativa dell’Istituto. Tutto questo aveva due significati per il nostro lavoro in Istituto.

Il primo era che la questione etica, meglio la costruzione della risposta alla medesima doveva costituire il test privilegiato per mostrare e la centralità della questione antropologica e la verità, filosoficamente e teologicamente fondata, dell’antropologia insegnata nell’Istituto. La verità sull’uomo è la verità circa il bene dell’uomo, e dunque una verità affidata alla libertà dell’uomo.

Il secondo era che questo test doveva essere usato nel contesto della problematica coniugale, e il luogo privilegiato dove farne uso era il problema di Humanae Vitae: il rapporto fra coniugalità e genitorialità. La problematica bio-etica avrebbe mostrato a qualche anno di distanza dalla fondazione dell’Istituto quanto questa intuizione aveva colto nel segno.

C’era infine una terza indicazione molto chiara da parte del Santo Padre Giovanni Paolo II: il largo credito che si doveva fare alla ragione [accademicamente: alla filosofia] nella riflessione dell’Istituto. Si doveva mostrare che la dottrina antropologica, etica e matrimoniale della Chiesa è una dottrina ragionevole, antropologicamente significativa. Di qui uno spazio molto ampio alle discipline filosofiche.

Il momento fondazionale dell’Istituto venne accompagnato dal ciclo delle mirabili Catechesi sull’amore umano tenute nell’Udienza generale del mercoledì, che furono per noi un vero test di riferimento continuo, oggetto di studi accurati e di vari seminari.

Mi sembra dunque di poter dire che tre furono fondamentalmente le ispirazioni originarie trasmesseci dal Santo Padre Giovanni Paolo II e che nella sua intenzione avrebbero dovuto sostenere continuamente il lavoro dell’Istituto: la connessione fra la questione antropologica e la questione matrimoniale; la domanda etica registrata dentro al rapporto coniugalità-genitorialità, come nodo in cui si incrociano le due suddette questioni; la necessaria coniugazione di ragione e fede, di filosofia e teologia. Mi piace far notare come questa triplice ispirazione che ha generato l’Istituto si rifletta specularmente nelle tre grandi encicliche dottrinali di Giovanni Paolo II: Veritatis Splendor, Evangelium Vitae, Fides et Ratio.

Penso che non sia difficile cogliere la portata profetica di questa istituzione voluta da Giovanni Paolo II, se meditiamo sulla condizione spirituale dell’uomo di oggi.

Siamo ormai giunti al termine del processo di decostruzione completa dell’istituzione matrimoniale e famigliare, così che ora ci troviamo nelle mani tutti i pezzi dell’edificio, ma essi non hanno più quel significato loro proprio che deriva dall’intero. I pezzi dell’edificio sono la persona umana nel suo dimorfismo sessuale, la paternità/maternità, la coniugalità, l’atto educativo. A causa del processo di decostruzione ognuno di questi pezzi è stato staccato dagli altri e ha mutato sostanzialmente significato.

Dentro a questo processo, già chiaramente previsto da Giovanni Paolo II, egli ha voluto l’Istituto perché all’uomo e alla donna che si sposano sia dato ancora il «gaudium de veritate».