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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


INTRODUZIONE AL CORSO DI STORIA DELLA CHIESA
Ferrara 3 marzo 2000

1. Credo sia necessario in primo luogo mettere in chiaro il rapporto assai stretto che vige fra il corso fatto l’anno passato ["E’ ragionevole credere?"] e il corso che inizia questa sera.

La ragionevolezza del credere, quando induce la persona umana a compiere la scelta dell’atto di fede, implica la domanda sul "dove" e sul "come" incontrare la persona di Cristo Signore Risorto. Mi spiego. La fede cristiana non è ultimamente assenso ad una dottrina e conseguente impegno di vita coerente alla stessa. Essa è assenso ad una dottrina a causa della fiducia accordata ad una persona: la persona di Gesù Cristo. La nostra è una fede "in Lui", e quindi "a Lui". Cioè: il rapporto originario e fondante è fra la mia persona e la sua Persona.

Stando così le cose, e così il cristianesimo si è presentato all’uomo, una fede ragionevole deve rispondere alla domanda: come è possibile istituire quel rapporto? e quindi, dove incontro la Persona di Cristo? La domanda di Lessing abita inevitabilmente dentro alla ragione dell’uomo che voglia accostarsi alla fede cristiana.

La risposta data dal cattolicesimo e dall’ortodossia è la seguente: la possibilità dell’uomo di incontrare Cristo è la Chiesa, poiché la Chiesa è precisamente la presenza del Signore Risorto in mezzo a noi. Questa risposta significa una negazione ed un’affermazione. Una negazione: è impossibile raggiungere ed incontrare Cristo attraverso una sorta di "risalita al passato", condotta attraverso una separazione della Chiesa da Cristo. Quest’operazione ha sempre finito col farci incontrare con l’idea di Cristo e non con la sua persona vivente, in carne ed ossa. Un’affermazione: è offerto ad ogni uomo nella Chiesa e mediante la Chiesa di vivere la stessa esperienza nella sua essenza, vissuta da Pietro, Giovanni, la Maddalena … (cfr. 1Gv 1,1-4).

Questa connessione fra Cristo e la Chiesa, i Padri parlavano di "vincolo sponsale", fa sì che dalla domanda sulla ragionevolezza della fede in Cristo non puoi escludere la domanda sulla Chiesa: l’una trascina con sé l’altra. Nell’economia salvifica della fede cristiana la Chiesa occupa un posto unico. Per cui "non c’è bisogno di pensare che la Chiesa abbia un posto speciale nella vita del credente. In realtà essa lo compenetra completamente; o meglio: tutta la vita spirituale del credente si fonde all’unisono con la vita spirituale della Chiesa" (H. de Lubac, Credo Ecclesiam, in Sentire Ecclesiam, vol. 1, ed. Paoline, Roma 1964, pag. 20).

2. Supposto tutto questo ci dobbiamo chiedere: che senso ha la conoscenza della Storia della Chiesa per il redento? È necessaria una buona conoscenza della Storia della Chiesa ad un credente che voglia vivere ragionevolmente la sua fede? Cercherò in questo secondo punto della mia riflessione di rispondere a queste due domande.

Prima di costruire la risposta, non è inutile riflettere brevemente sulla realtà connotata dal termine "Storia della Chiesa", prendendo il termine "Storia" non nel senso di scienza storica, ma di avvenimenti accaduti.

"Storia della Chiesa" dunque significa la realizzazione della presenza di Cristo, Signore risorto, dentro alla vicenda umana. In questa significazione è racchiuso un grande mistero, anzi il più grande mistero che accade dentro alla vita degli uomini. Esso è costituito dall’incrociarsi di due libertà: la libertà del Padre, la libertà dell’uomo. Da questo incrociarsi, da questa cooperazione nel tempo e nello spazio nasce la Storia della Chiesa. La libertà del Padre è la sua decisione di introdurre ogni uomo nella partecipazione della sua stessa vita divina in Cristo mediante il dono dello Spirito Santo. Questa libertà del Padre ha posto in essere quei mezzi attraverso i quali la sua decisione possa realizzarsi: la predicazione evangelica, l’economia sacramentale e la successione apostolica. A questa proposta la libertà dell’uomo raggiunto dalla predicazione evangelica è chiamata a rispondere, a corrispondere (cfr. At ). Nell’incontro si costruisce la Chiesa, che è pertanto il Corpo di Cristo: Cristo unisce a Sé in Sé le persone umane, le persone umane che in Cristo sono un essere solo (cfr. Gal 3,28). Non posso esimermi dal citare alcuni testi agostiniani, mirabili nella loro precisione e bellezza teologica: "capo e corpo sono l’unico Cristo … La stessa persona è chiamata sposo in quanto capo, è chiamata sposa in quanto corpo. Sembrano due ed invece sono uno" (Discorso 341,9; NBA XXXIV, pag. 17); "Cristo e la Chiesa, che formano entrambi una cosa sola" (En. in Ps. 101,2; NBA XXVII, pag. 513).

Dobbiamo riflettere attentamente su questo punto perché è da questa prospettiva che noi possiamo capire l’intima natura della Storia della Chiesa, facendo però un’esplicitazione di ciò che ho detto.

Quando dico "libertà umana" dobbiamo guardarci dal cadere in una visione spiritualistica della stessa. Essa, la libertà, indica la capacità che la persona umana possiede di generare se stessa, di edificare la propria vita in tutta la misura di essa. L’essere in Cristo ed il vivere in Lui configura e plasma tutta l’esistenza umana perché rende la persona capace di una conoscenza-interpretazione specifica della realtà (= la cultura) e di costruire nuovi rapporti sociali (=la carità). In una parola: da ogni persona che è in Cristo nasce una Storia vera, nuova, la quale di incrocia con quella degli altri costruendo un popolo. E’ la Storia della Chiesa, la Storia cioè di quell’unicum che è "Capo e corpo, sposo e sposa, Cristo e la Chiesa, due in uno". Così il "nucleo essenziale", l’essenza della Chiesa, che è costituita dall’unione invisibile ed visibile (communio invisibilis et visibilis) di ogni credente-battezzato in Cristo e con Cristo per opera dello Spirito Santo, si realizza e prende corpo in un processo storico. Essa è variabile, ma nelle forme variabili la Chiesa rimane sempre se stessa. J. A. Möhler ha detto profondamente che la Storia della Chiesa è "la serie degli sviluppi del principio di luce e di vita comunicato da Cristo all’umanità per unirla nuovamente a Dio e per renderla atta a dargli gloria" [cit. da H. Jedin, in Storia della Chiesa vol. 1, Jaca Book ed., Milano 1976, pag. 4].

Abbiamo introdotto un nuovo concetto, quello di "processo storico" o "continuità storica", nel nostro tentativo di descrivere o definire il concetto di "Storia della Chiesa". E’ un punto fondamentale.

Riprendo ancora un’idea già espressa sopra. Nessun cristiano inizia da capo la Storia della sua esperienza di fede: egli è sempre preceduto da una realtà di cui si nutre. E’ stato il dramma di Kirkegaard quello di aver pensato il cristianesimo in termini di una "contemporaneità a Cristo"costituita da un’impossibile "salto all’indietro", per poter essere con Cristo. L’incontro drammatico della libertà del Padre, che in Cristo ti offre la salvezza, colla libertà dell’uomo accade sempre mediante e dentro alla Chiesa che già esiste e ti precede. In questo senso, l’assioma dei Padri "non può avere Dio per Padre chi non ha la Chiesa come madre" non deve mai essere dimenticato. Esiste una vera e propria maternità della Chiesa nei confronti del singolo cristiano. E la madre precede il figlio non solo nel senso ovvio del tempo, ma anche nel senso che il dono della vita è mediato dalla madre. Filii matrizant, dicevano i latini: i figli sono configurati alla madre perché plasmati da essa. Questo è eminentemente vero anche della generazione della persona umana alla vita divina: essa è configurata alla madre Chiesa perché plasmati dalla Chiesa. Il discepolo di Cristo "si radica in essa, si forma a sua immagine, s’inserisce nella sua esperienza, si sente ricco delle sue ricchezze" [H. De Lubac, Meditazione sulla Chiesa, Jaca Book ed., Milano 1979, pag. 165].

I Padri della Chiesa esprimevano questa consapevolezza chiamando il cristiano un "ecclesiastico". Purtroppo questo termine oggi non significa più niente altro se non una qualifica di stato civile (cfr. ibid, pag. 165 ove cita Origene: "per conto mio, la mia aspirazione è di essere veramente ecclesiastico"). Che cosa implicava questa qualificazione, ritenuta essenziale, dell’essere cristiano? Una condivisione, una partecipazione di tutta la realtà della Chiesa. Non trovo di meglio per esprimere questo concetto che una pagina di Paul Claudel:

"Noi non disponiamo più soltanto delle nostre forze per amare, conoscere e servire Dio, ma di tutta la realtà insieme: dalla Vergine benedetta nell’alto dei cieli fino al povero lebbroso africano, che, con un campanello in mano, si serve di una bocca mezza disfatta per mormorare le risposte della Messa. Tutta la creazione, visibile ed invisibile, tutta la storia, tutto il passato, tutto il presente e tutto l’avvenire, tutta la natura, tutto il tesoro dei santi suscitati dalla Grazia, tutto ciò è a nostra disposizione, tutto ciò è un nostro prolungamento, ed è un prodigioso strumento nostro.

Tutti i santi, tutti gli angeli ci appartengono. Noi possiamo servirci dell’intelligenza di san Tommaso, del braccio di san Michele, del cuore di Giovanna d’Arco e di Caterina da Siena e di tutte quelle risorse latenti che noi non abbiamo che da toccare perché entrino in azione. Tutto ciò che si fa di bene, di grande e di bello da un capo all’altro della terra, tutto ciò che "ha qualche linea" di santità, come un medico dice di una malato che "ha qualche linea" di febbre, è come fosse opera nostra.

[cit. da H. De Lubac, op. cit., pag. 163-164]

 

Ci eravamo chiesti, all’inizio di questo secondo punto della nostra riflessione quale senso ha per un credente la conoscenza della Storia della Chiesa. Ora siamo in grado di rispondere.

Un cristiano che ignorasse completamente la Storia della Chiesa sarebbe un cristiano privo di identità consistente perché privo di memoria. E’ la memoria che ci consente di vivere nel senso pieno del termine, poiché quando con conosciamo la nostra origine non possiamo più individuare la nostra meta. E diventa per un uomo libero impossibile imbattersi in qualcosa di vivente, in un avvenimento. Senza questa consapevolezza di essere dentro ad una Storia, la nostra esperienza cristiana è sempre nel rischio di trasformarsi in una fila di principi e una sequenza di regole, cessando di essere un avvenimento fatto di persone, di luoghi precisi, qualcosa di carnale.

3. Ma dentro alla Storia della Chiesa, non si trova forse anche lo "scandalo" del male e quindi non sarebbe più prudente un’educazione del credente ad un’appartenenza ecclesiale critica, un’appartenenza che mantenga sempre una certa "distanza"? Tocchiamo qui un punto fondamentale ad un corso di storia della Chiesa. E poiché non si tratta di una questione solo o prevalentemente storica, ma teologica, è da un punto di vista teologico che va affrontata la questione.

Partiamo da una constatazione di estrema importanza. In tutti i simboli della fede la Chiesa è sempre qualificata come santa: "Credo la Chiesa una, santa…" [Simbolo niceno-costantinopolitano]. Se nei simboli è posta una relazione fra Chiesa e peccato, essa è indicata con la formula: "remissione dei peccati" . Dalla Chiesa ci giunge non il peccato, ma la sua distruzione.

Queste professioni di fede si radicano nelle pagine neotestamentarie. Mi basta citare due testi paolini stupendi: Ef 5,25-27, ed Ef 3,21 dove l’apostolo parla di Cristo e della Chiesa in termini di parità se non di identificazione.

Questa visione della bellezza e della santità della Chiesa era dovuta alla vita concreta dei cristiani che la componevano?

Sicuramente no: basta leggere le lettere paoline. Nella primitiva comunità ecclesiale sono presenti pressoché tutte le colpe morali in cui cade una persona umana, anche le più gravi.

Da questi due dati sembrerebbe derivare necessariamente il seguente dilemma: o la Chiesa è santa perché i peccatori non le appartengono [= Chiesa santa perché dei santi] oppure i peccatori le appartengono ed allora la Chiesa dovrebbe essere per lo meno qualificata anche "peccatrice": credo la Chiesa santa e peccatrice. Ora, il primo corno del dilemma è stata giudicata dalla Chiesa un’eresia, e penso sia la più antievangelica; del secondo corno del dilemma non esiste traccia nella Rivelazione cristiana. Che cosa allora concludere? Che ci troviamo veramente di fronte al capolavoro della Sapienza e della Potenza del Padre. Ogni uomo è capace di costituire una comunità contaminata fatte di uomini peccatori; ogni uomo è capace di creare una comunità incontaminata fatta di uomini moralmente eletti. Ma che possa esistere una comunità incontaminata costruita con uomini peccatori [ex maculatis immaculata], questa è una possibilità solo divina: questa possibilità è la Chiesa. Ma non è questa una contraddizione? Vediamo che non è una contraddizione.

Che nella Chiesa esistano i santi, nascosti e non, credo che nessuna persona di buon senso lo possa negare. Ed è ugualmente constatazione inoppugnabile che nella chiesa esistano i peccatori. Che l’uno preferisca porre il suo sguardo sull’una piuttosto che sull’altra presenza, è un dato pure di fatto che per noi non ha nessun interesse. Ciò che si deve affermare è che la Chiesa non è santa perché sono santi i suoi membri: non sono i santi a farla santa, ma al contrario è la Chiesa che fa santi i santi. E quindi, a contrario, i peccatori che in essa vivono non possono incrinare quella santità né al limite distruggerla. Per quale ragione? Perché la santità oggettiva della Chiesa trascende la santità soggettiva dei suoi fedeli, sottraendola alla sua fluttuante ed incerta contingenza.

Che cosa si intende, di che cosa si parla quando si parla di "santità oggettiva" della Chiesa? Si parla della Chiesa stessa in quanto mistero di grazia e strumento di salvezza. E’ questa sua divina costituzione che impedisce al peccato dei suoi figli di deturpare l’intima bellezza.

"La natura e correlativa funzionalità sacramentale della Chiesa, la sua configurazione a Cristo fino al limite dell’"incarnazione continuata" (Möhler) connessa con una decisione divina che fa di essa il corpo e la sposa di Cristo;, la sua disponibilità per l’azione dello Spirito Santo che vi inabita come nel proprio tempio;, la sua costituzione ontologica determinata dalla relazione che la collega con la SS.ma Trinità e ne fa un’imitazione di essa nel tempo e nello spazio, son tutte ragioni che farebbero rifluire l’eventuale peccato della chiesa su Dio stesso. Anche se lo Spirito Santo non si compone metafisicamente con essa, la Chiesa ha però nello Spirito Santo il suo principio vitale e la sua forza di propulsione. Cristo è sì, il Verbo eterno del Padre, incarnatosi nel seno purissimo della Vergine Madre e da lei generato, ma è pure il capo che congiunge inseparabilmente a sé, in unità di grazia e di redenzione, il suo corpo".

[B. Gherardini, Santa o peccatrice? Meditazione sulla santità della Chiesa, ESD ed. Bologna 1992, pag. 144]

E’ quanto scrive S. Ambrogio: "Non in sé, o figlie; non in sé – ripeto – o figlie, ma in noi la Chiesa è ferita" [De Verginitate 48; BA 14/II pag. 45]. Se qualcuno pensa che questa sia o una scappatoia tipica della furbizia clericale … di avere sempre ragione, o una visione per cui la Chiesa viene pensata come una sorta di idea platonica fuori dalla storia, viene da chiedersi se colui che pensa così creda veramente la Chiesa: una realtà cioè che non può essere ridotta alla pura fenomenicità del comportamento etico, perché è la presenza del Verbo incarnato stesso dentro alla nostra storia. Parlare dunque di "Chiesa peccatrice" è una bestemmia, perché l’espressione colpisce in un qualche modo Cristo stesso. In sintesi: "l’impossibilità ad attribuire alla Chiesa come tale alcunché di peccaminoso è conseguenza della sua intrinseca e totale relazione con l’innocente Figlio di Dio" [G. Biffi, La sposa chiacchierata, Jaca Book ed. Milano 1998, pag. 63, nota 11].

Quindi, "nessun cattolico dirà mai che i peccatori sono nella Chiesa a motivo dei loro peccati. Essi sono nella Chiesa a motivo di ciò che in essi c’è ancora di santo" [Ch. Journet, cit. da G. Cottier, Memorie e pentimento, San Paolo ed. Milano 2000, pag. 60].

Per capire bene questo punto si deve pensare che l’appartenenza alla Chiesa ammette gradi: non è come una … TV che è accesa o spenta. Essa ammette un "più", ed un "meno". In termini tecnici, è un termine non univoco, ma analogo. Come deve essere pensata l’appartenenza dei peccatori? Si parla soprattutto del peccato mortale che ci priva della carità, ma anche del peccato veniale che impedisce l’intensificarsi in noi della carità medesima. A motivo della loro ontologica configurazione a Cristo dovuta al carattere battesimale e crismale e alle virtù della fede e della speranza, unitamente all’unione obbediente alla santa gerarchia, sono membri della Chiesa. In essi dunque la Chiesa continua a vivere; in essi lotta contro il loro peccato, chiede continuamente perdono per ed in essi. Nel peccatore è la Chiesa stessa a pentirsi ed a fare penitenza: "si prende la responsabilità della penitenza. Non si prende la responsabilità del peccato" (cfr. Journet, cit. ibid. pag. 63).

Ora possiamo capire quanto il S. Padre ci dice nel n° 11 della Incarnationis mysterium, bolla di indizione dell’anno santo; come cioè dobbiamo intendere la richiesta di perdono delle colpe passate, elemento essenziale della purificazione della memoria.

Essa consiste in primo luogo nella nostra personale conversione, perché la santità della Chiesa traspaia sempre più nelle nostre persone e viviamo sempre più coerentemente con essa. Ma la purificazione della memoria non consiste solo in questo.

Dobbiamo anche chiedere perdono per i peccati degli uomini di Chiesa dei secoli passati? Una volta chiarito rigorosamente che la Chiesa come tale è senza peccato; senza dimenticare che esiste solo la responsabilità personale [cfr. Incarnationis mysterium 11, cpv. 3] dei peccati di ciascuno e quindi "senza sostituirci al giudizio di Dio che solo conosce i cuori" [ib.], "la Chiesa, forte della santità che riceve dal suo Signore", è giusto che "si inginocchi dinanzi a Dio ed implori il perdono per i peccati passati e presenti dei suoi figli" (ib. cpv. 4). Del resto, questo la Chiesa, proprio perché santa, può e deve fare: "contemplando Lei, il Signore perdona quanto a te invece potrebbe rifiutare" [S. Ambrogio, Commento a Luca V,11; BA 11, CN ed., pag. 373]. E’ necessario però precisare un punto importante. In senso stretto, la Chiesa non chiede né può chiedere perdono delle colpe dei suoi figli già morti colla stessa intenzione con cui lo fa per i suoi figli viventi. Per questi chiede la conversione e quindi la perfetta coesione alla sua santità; per quelli o la misericordia che li ammette alla vita eterna e/o la richiesta per essere liberata dalle conseguenze che quei peccati hanno lasciato nella vita della Chiesa, impedendo o rendendo più difficile la sua missione.

Più precisamente. Dobbiamo distinguere accuratamente la personale imputabilità di un atto peccaminoso, della quale – come dissi – solo Dio è giudice, dall’atto considerato nella sua oggettività. Su questo atto è legittimo pronunciare un giudizio morale, che non deve essere argomentato dalle mode del momento ma dalla verità di ciò che è bene/male, alla luce congiunta della ragione e della fede. L’opportunità di pronunciare questo giudizio nasce dalla considerazione che in questo modo la Chiesa intende educare i suoi figli ad un’adesione sempre più profonda al Vangelo, soprattutto se quella condotta, oggettivamente ingiusta, avesse avuta una quanto meno pratica acquiescenza o consenso, e avesse lasciato gravi ferite tuttora presenti nella memoria storica di quei gruppi che ne furono vittime. Poiché questo è il vero significato della richiesta di perdono è grave dovere di giustizia, perché è dovere grave essere nella verità, il provare con indagini storiche accurate quei fatti negativi ed il non cadere in valutazioni anacronistiche. Cosa che non sempre sta succedendo.

CONCLUSIONE

Uno degli scritti di A. Rosmini che amo di più è un libro di piccola mole, ma di grande valore spirituale: Massime di perfezione. In esso, Rosmini vuole ridurre al nucleo essenziale la legge fondamentale del vivere cristiano. Scrive. "Non può adunque il cristiano giammai sbagliare, quando si propone tutta la santa Chiesa per oggetto dei suoi affetti, dei suoi pensieri, dei suoi desideri e delle sue azioni; … egli sa di certo che la volontà di Dio è questa, che la Chiesa di Gesù Cristo sia il gran mezzo, pel quale venga pienamente glorificato il suo santo nome".

Questo corso è stato voluto perché la Chiesa, la santa Chiesa di Ferrara-Comacchio, diventi sempre più oggetto dei nostri affetti, dei nostri pensieri, dei nostri desideri e delle nostre azioni. Per sentire sempre nel nostro spirito l’intima armonia che unisce le tre realtà che configurano la visione cattolica del mondo: Dio, Cristo, la Chiesa. E’ un’unità inseparabile: Dio non lo vedi ed incontri se non in Cristo e Cristo se non nella Chiesa.