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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


MATRIMONIO e FAMIGLIA NEL CONFLITTO fra BENE e MALE
Catechesi alle famiglie: 10 giugno 2001

Abbiamo ancora una volta il dono e la gioia di ritrovarci assieme per meditare, per riflettere sulle gioie e le speranze, le tristezze e le angosce delle nostre comunità famigliari: per avere luce e forza nel cammino.

Vorrei per questo riflettere con voi sui seguenti tre punti che scandiranno i tempi del mio discorso: sulle forze positive che sostengono la vostra esperienza coniugale e famigliare; sulle insidie che cercano di estenuare quelle forze; sul come rendere sempre più attive le prime ed innocue le seconde. Vi parlo perché abbiate una consapevolezza sempre più viva dei beni che possedete; una vigilanza sempre più attenta nei confronti di quelle forze che cercano di derubarvi di quei beni; per dirvi come esercitare questa vigilanza.

1.Le "forze del bene" nel matrimonio e famiglia.

Voglio spiegare subito che cosa intendo per "forze del bene". Non mi riferisco in primo luogo alla capacità morale dell’uomo, alla sua volontà di fare il bene: capacità, volontà che sappiamo essere stata gravemente ferita dal peccato originale e dai nostri peccati personali. Mi riferisco a quanto dice la Parola di Dio: "Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco era cosa molto buona" [Gen 1,31]. Ed ancora nel libro della Sapienza: "le creature del mondo sono sane, in esse non c’è veleno di morte, né gli inferi regnano sulla terra, perché la giustizia è immortale" [1,13-15]. "Forze del bene" denotano dunque tutta la positività insita nella vita matrimoniale e famigliare, presente nell’essere del matrimonio e della famiglia. Una positività che deriva dall’avere la sua sorgente nel gesto creativo di Dio: nella sua sapienza e nel suo amore creativo; una positività che trova la sua consistenza definitiva e piena in Cristo: nel suo atto redentivo.

Le forze del bene che nel matrimonio e nella famiglia agiscono sono quindi fondamentalmente due: la configurazione della persona umana "ad immagine e somiglianza di Dio", in quanto "Dio inscrive nell’umanità dell’uomo e della donna la vocazione, e quindi la capacità e la responsabilità dell’amore e della comunione" [Es. Ap. Familiaris consortio 11,2]; la comunione con Cristo nella forma propria degli sposi. Tutta la positività presente nell’esperienza del matrimonio e della famiglia è costituita da quella configurazione ontologica propria della persona umana [cfr. Cost. past. Gaudium et Spes 12] e dalla relazione degli sposi con Cristo. Vorrei ora riflettere su ciascuna di queste due forze del bene.

1,1 [La configurazione della persona]. La più grande affermazione fatta dalla S. Scrittura sull’uomo è che egli è stato creato "ad immagine e somiglianza" di Dio. E’ questa la verità originaria della persona umana. Non si afferma con essa un ideale da raggiungere, ma si tratta del dono originario fatto dal Creatore all’uomo. Non è una verità proposta all’uomo, ma semplicemente donata nell’atto creativo con cui Dio dà origine ad ogni persona umana. E’ questo dono che fonda la fedeltà di Dio all’uomo, ad ogni persona umana: fedeltà di Dio alla sua paternità "che fin dall’inizio si è espressa nella creazione del mondo, nella donazione all’uomo di tutta la ricchezza del creato, nel farlo "poco meno degli angeli" [Sal 8,6], in quanto creato "ad immagine e a somiglianza di Dio"" [Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Redemptor hominis 9,1; EE 8/26].

Ma è necessario fare un passo ulteriore nella nostra riflessione: la persona umana è "ad immagine e somiglianza di Dio" anche in quanto porta inscritto nella sua umanità la relazione all’altro. L’uomo non è costitutivamente un individuo diviso da ogni altro: è persona "ad immagine e somiglianza di Dio" relazionata costitutivamente alle altre persone. Il significato di ciò che sto dicendo non è prima di tutto morale: l’uomo deve vivere in comunione con le altre persone umane. E’ ontologico: l’uomo è in relazione con le altre persone umane.

Questa costituzione comunionale della persona è significata originariamente dalla sessualità umana, dal fatto che la persona umana è uomo-donna. "Significata" ha qui il senso forte che solitamente ha nel vocabolario cristiano. Non si tratta di un senso fissato convenzionalmente: si è da sempre convenuto che l’uomo esiste per la donna e reciprocamente, ma niente proibisce che la convenzione sia cambiata o semplicemente soppressa. Si tratta di un fatto fisico-biologico che è portatore di una realtà personale; un fatto fisico-biologico in cui dimora un senso attinente alla verità della persona come tale. E’ un fatto [la divaricazione sessuale] che dice nel suo linguaggio proprio una verità essenziale sulla persona: il suo "non essere-bene" che resti sola, il suo essere fatta in modo tale da trovare nella comunione con le altre persone la pienezza del suo essere [= il suo bene]. Giovanni Paolo II parlerà, usando questa volta un termine esplicitamente cristiano, di un "sacramento originario o primordiale".

Da quanto detto deriva una conseguenza antropologica fondamentale: "L’amore è … la fondamentale e nativa vocazione di ogni essere umano" [Es. Ap. Familiaris consortio, 11,2]. L’uomo è costituito in ordine all’amore: la sua natura è orientata all’amore. Ne consegue che, come ha scritto Giovanni Paolo II nell’Enc. Redemptor hominis, "L’uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l’amore, se non s’incontra con l’amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente" [,10,1; EE 8/28].

E’ necessaria però a questo punto una rigorizzazione concettuale. La definizione di uomo che stiamo elaborando non deve essere intesa nella luce di un’affermazione del primato dell’etica sull’ontologia. L’uomo non è definito da una esigenza, da un dovere, da una vocazione neppure: esso è definito dall’essere egli fatto in modo tale che l’amore ne indica la perfezione, il bene ultimo. E’ dentro a questa rigorizzazione concettuale che si comprende l’affermazione forse più profonda fatta dal Concilio Vaticano II sull’uomo: "Questa similitudine [= una certa similitudine tra l’unione delle persone divine e l’unione dei figli di Dio nella verità e nell’amore] manifesta che l’uomo … non possa ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé" [Cost. Past. Gaudium et Spes 24,4]. L’uomo può perdere il proprio "se stesso": può cioè dilapidare la sua umanità e quindi compiere una pseudo-autorealizzazione. Questo sperpero accade quando non realizza se stesso nel dono di sé.

Questa configurazione della persona pone il problema dell’amore come il problema centrale riguardo all’uomo. La domanda di fondo non è "che cosa devo fare per amare una persona?", ma è "che cosa è l’amore?". Se non conosci la verità dell’amore non conosci la verità della persona.

Concludo la mia riflessione su quella che ho chiamato la prima forza del bene che agisce nella vostra comunità matrimoniale famigliare. Questa è sostenuta, generata originariamente non da mere convenzioni culturali e sociali, neppure ultimamente dalla vostra volontà. Essa scaturisce continuamente dalla costituzione stessa della vostra persona così come essa esce dalle mani creatrici di Dio: la prima forza del bene è costituita dalla forza dell’atto creativo.

1,2 [La relazione con Cristo]. La seconda forza del bene consiste nell’elevazione che Cristo ha fatto del matrimonio alla dignità di sacramento: è l’inserzione del matrimonio nell’economia della salvezza. Il Vaticano II insegna: "L’autentico amore coniugale è assunto nell’amore divino ed è sostenuto e arricchito falla forza redentiva del Cristo e dall’azione santifica della Chiesa". [Cost. past. Gaudium et Spes 48,3]. E la Familiaris consortio: "La comunione d’amore tra Dio e gli uomini, contenuto fondamentale della Rivelazione e dell’esperienza di fede di Israele, trova una sua significativa espressione nell’alleanza sponsale, che si instaura fra l’uomo e la donna. E’ per questo che la parola centrale della Rivelazione, "Dio ama il suo popolo" viene pronunciata anche attraverso le parole vive e concrete con cui l’uomo e la donna si dicono il loro amore coniugale. Il loro vincolo diventa l’immagine e il simbolo dell’Alleanza che unisce Dio e il suo popolo" [12,1-2].

Per comprendere esattamente la collocazione del matrimonio e della famiglia dentro all’economia della salvezza sono necessarie alcune precisazioni.

Trattasi di una collocazione che sembra a prima vista fondarsi sopra la "similitudine": l’esperienza coniugale entra nell’economia della salvezza in quanto mezzo espressivo della stessa, come linguaggio umanamente comprensivo del mistero dell’Alleanza. Vi entra a modo di "paragone". In realtà non è questo il modo giusto di capire. Si tratta di una vera e propria partecipazione di cui la coniugalità è dotata nei confronti del mistero dell’Alleanza. E’ questa l’essenza della sacramentalità propria del matrimonio di due battezzati. Dalla partecipazione deriva la similitudine, non viceversa: la partecipazione definisce l’ontologia del sacramento, la similitudine l’etica. Questo ordine va accuratamente custodito.

Ogni partecipazione consiste nel possedere in parte una perfezione che in se stessa è più ampia. La perfezione cui si riferisce il testo della Familiaris consortio è di volta in volta indicato con l’amore di Dio verso il suo popolo [12,2], Alleanza che unisce Dio e il suo popolo [ib.], lo Sposo (Cristo) che ama e si dona (13,1) sulla Croce. La perfezione è cioè quella insita nel dono che di sé ha fatto Cristo sulla Croce: "li amò eis télos" [Gv 13,1]. Dono "de quo magis cogitari nequit". La limitazione di questa perfezione negli sposi che pure ne partecipano realmente, è dovuta al fatto ovvio della loro creaturalità ed imperfezione morale, oppure alla forma della coniugalità che essa assume negli sposi? La domanda verte sulla coniugalità come limitazione della partecipazione all’amore che ha mosso Cristo a donare Se stesso sulla Croce. La questione, come si capirà subito, non è di dettaglio.

La mia idea è che la coniugalità è limitativa, ma non nel senso che essa sia estranea, estrinseca all’amore di Cristo, ma nel senso che è in grado di esprimerne solo una dimensione [cfr. 16,1]. Tutti i colori dell’iride sono presenti nella luce, ma è necessario lo spettro per vederli. Tutte le forme dell’amore, del dono di Sé, sono presenti nell’auto-donazione di Cristo sulla Croce. Ma la ricchezza del tutto ha bisogno del frammento per farsi conoscere. Nello stesso tempo però il frammento rimanda sempre al tutto: l’amore coniugale rimanda per sua natura oltre se stesso, verso una pienezza d’essere che esso non è capace né di promettere né di realizzare [cfr. 1Cor 7,29].

La collocazione del matrimonio dentro all’economia della salvezza. Deve essere dunque vista nelle tre dimensioni che sono proprie del sacramento. E’ collocato nella storia della salvezza perché il matrimonio è memoriale dell’avvenimento centrale dell’economia salvifica, la morte-risurrezione del Signore; perché è attualizzazione dello stesso nel senso che l’effetto primo ed immediato della celebrazione sacramentale è il vincolo coniugale, partecipazione reale all’appartenenza reciproca di amore di Cristo colla Chiesa; perché è prolessi del compimento definitivo, quando Dio in Cristo sarà tutto in tutti (cfr. Familiaris Consortio 13,7-8).

Concludo la riflessione su quella che ho chiamato la seconda forza del bene che agisce nella vostra comunità matrimoniale e famigliare. Questa è sostenuta, generata dall’alto redentivo di Cristo sulla Croce in cui il matrimonio cristiano affonda le sue radici: è la grazia di Cristo che agisce negli sposi cristiani.

Una precisazione. Ho parlato di due forze. Ma in realtà esiste una profonda unità fra i due atti, quello creativo di Dio e quello redentivo di Cristo. Nel sacrificio redentivo di Cristo si svela interamente quel disegno che Dio ha impresso nell’umanità dell’uomo e della donna, fin dalla loro creazione.

2. Le "forze del male" che insidiano matrimonio e famiglia.

Esistono forze che insidiano la positività del matrimonio e della famiglia: forze che negano e sul piamo teorico e sul piano prativo quella positività che abbiamo descritto nel primo punto della riflessione. Esse sono soggettive ed oggettive. Per "forze soggettive" intendo ciò che si oppone alla positività del matrimonio e della famiglia nello spirito della persona sposata; per "forze oggettive" intendo la cultura, le istituzioni, configurate in modo tale da opporsi a quella positività.

2,1 [Le forze soggettive del male]. La pagina biblica che descrive il primo peccato umano, l’archetipo di ogni peccato umano, rivela che tutte le conseguenze acquistano il carattere di "divisione", e riguardano l’intero arco dell’esistenza umana: divisione dell’uomo da Dio, divisione dell’uomo dalla natura, divisione dell’uomo dalla donna.

La vera forza del male che insidia matrimonio e famiglia, che nega la sua positività è una forza disgregatrice, disintegrante. Non che essa sia capace di annullare le forze del bene: niente e nessuno può cambiare la natura della persona umana e spegnere l’amore redentivo di Cristo. Ma essa può impedire alle forze del bene di agire: può immunizzare la persona dal bene! E’ la più grande tragedia.

Quale è questa forza del male? Cercherò di descriverla, ma prima devo fare una precisazione importante, per evitare equivoci. Io, anche per chiarezza didattica, la devo presentare allo stato puro. In realtà essa non esiste mai in una persona umana in questo modo, ma in forme più o meno gravi, cioè frammista e come confuse con le forze del bene. Per fare un esempio: la patologia medica descrive accuratamente le malattie, ma il bravo medico sa bene che esse non esistono, ma esistono solo gli ammalati. Una delle descrizioni più profonde che ho trovato è quella fatta da Giovanni Paolo II nella Lett. Enc. Dominum et vivificantem 33-38 [cfr. EE 8/509-520].

La forza del male agisce in primo luogo a livello della nostra ragione quando la persona umana non riconosce più la bontà dell’atto creativo e quindi del suo essere continuamente posto in essere, dipendente da Dio. E’ l’affermazione che Dio non sa-vuole il bene della persona, anzi ne è invidioso. A livello della propria volontà libera, questo giudizio genera la disobbedienza alla legge del Creatore, ritenendo questa non la via della propria realizzazione ma della propria negazione. Dio è stato posto in stato di accusa, in stato di permanente sospetto. L’uomo si è separato dall’Amore creativo di Dio.

Questa separazione impedisce alla forza del bene, alla dimensione comunionale della persona di essere effettiva attraverso le scelte libere: di tradursi in prassi. Per quale ragione? Se ciascuno è affidato a se stesso nella ricerca del proprio bene, della propria felicità, dal momento che non esiste una legge di Dio, i rapporti fra l’uomo e la donna devono configurarsi o come coesistenza contrattata di due individui a se stanti o come tentativo di dominio – uso dell’uno nei confronti dell’altro.

E’ una condizione tragica quella in cui viene così a trovarsi l’uomo e la donna: essi sono nella menzogna ontologica in quanto costruiscono una esistenza che nega la loro essenza. La libertà nega la verità del loro essere. Da questa prigione in cui si sono ingabbiati cercheranno di fuggire quanto prima o convertendosi o ponendosi in un’altra prigione.

Ma ciò che rende più grave questa condizione è che essa rende vana la Croce di Cristo. Un uomo e una donna che vivono la loro esistenza nel modo suddetto non hanno bisogno di un Redentore dal momento che non sono a rischio di perdere se stessi. Questo rischio è per loro impensabile dal momento che non esiste un "se stesso" che non sia costituito volta per volta nella sua verità dalla loro libertà. Che bisogno c’è di un redentore per chi dice: "io decido volta per volta quale è il mio bene!"? La Redenzione è necessaria solo a chi dice: "vedo il bene e lo approvo e poi faccio il male".

Riassumo. La forza del male che si insinua nella persona umana rendendo inefficaci le forze del bene è l’attribuzione che l’uomo fa a se stesso di essere il responsabile ultimo della propria verità e del proprio bene.

2,2 [Le forze oggettive del male]. L’attitudine di cui ho parlato ha preso corpo in una cultura, in istituzioni, in un modo di sentire comune. In che modo? Dando una curvatura individualista alla grande visione dell’uomo-persona elaborata dal cristianesimo.

Per curvatura individualista intendo due fatti, due avvenimenti culturali di enorme importanza: l’affermazione della autonomia della persona come rifiuto di ogni appartenenza e quindi il concetto di persona è stato fatto coincidere col concetto di individuo; la conseguente negazione della reciprocità uomo-donna.

La visione individualista dell’uomo rende vana la tensione naturale della persona alla comunione interpersonale per due ragioni. Essa nega alla ragione la capacità di percepire un bene intelligibile, un bene che sia tale in sé e per sé e quindi bene per ogni persona umana; la capacità di individuare "ragioni per agire" universalmente valide. Ciò significa che non esiste nessun movente all’agire se non la ricerca del bene individuale, del proprio utile. Coerentemente viene negata l’esistenza di una volontà, di un desiderio radicato nella ragione e che muove la persona verso il bene come tale. L’individualismo è sempre connesso con l’utilitarismo. Il concetto stesso di una comunione inter-personale diventa impensabile. Ovviamente il linguaggio umano continuerà ancora ad usare parole come "amore", "dono" [queste sempre ai meno!], "persona", ma esse hanno cambiato completamente significato.

L’altro fatto è costituito dall’interpretazione che si va introducendo della divaricazione sessuale, del fatto che la persona sia uomo-donna. Il presupposto è che questo fatto non possegga in se stesso e per se stesso nessun significato attinente alla verità della persona. Alla domanda cioè se matrimonio e famiglia nel senso istituzionale classico [unione legittima fra l’uomo e la donna in ordine alla procreazione-educazione della prole] del termine, abbiano un fondamento "naturale", la risposta è negativa. Mascolinità/femminilità sono dati semplicemente culturali: è la libertà della persona che ne costituisce autonomamente il significato. Non esiste una reciprocità fra uomo e donna.

Se si coniugano assieme i due fatti culturali, il risultato è che una positività intrinseca al matrimonio e alla famiglia va progressivamente scomparendo dall’orizzonte spirituale dell’uomo di oggi. E’ nel giudizio estimativo della cultura che matrimonio e famiglia sono progressivamente degradati. Donde deriva l’equiparazione matrionio-convivenze omossessuali, la separazione della paternità dalla maternità e viceversa, e quindi fra procreazione ed unione sessuale.

In sintesi: esiste oggi una cultura che se interiorizzata impedisce completamente alle forze del bene di agire efficacemente nella vita delle persone sposate, perché ha sradicato matrimonio e famiglia dalla (verità della) persona.

3. La vigilanza cristiana: i gruppi-famiglia.

Come è possibile far agire nel proprio matrimonio e famiglia le forze del bene ed immunizzarci dalle forze del male? La risposta è semplice e grande: vivendo realmente dentro la Chiesa in modo tale che il mistero della Chiesa viva dentro alla comunità matrimoniale e famigliare. La Chiesa è la dimora di Dio fra gli uomini e quindi il luogo della salvezza.

G. Bassani ha detto questo per contrarium ne Il giardino dei Finzi Contini: quella famiglia pensava che l’ideale fosse di vivere difesa dalle mura del grande parco, autonoma ed autosufficiente, ma poi viene travolta.

Le forze del bene diventano efficaci e quelle del male sono gradualmente evacuate dal raccogliersi in unità delle famiglie e dal dilatarsi di queste unità di famiglie. E’ il vivere concretamente in questo modo l’esperienza della Chiesa come famiglia. E’ un porre dentro alla società di oggi una realtà diversa e nuova: questo modo di essere famiglia, e di esserlo assieme che lascia libere le due forze del bene.

"Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi. Egli infatti ha creato tutto per l’esistenza" [Sap 1,13-14]. Questa è la suprema certezza, la positività del reale; essa ha trovato la sua definitiva conferma nella Risurrezione di Cristo.