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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


La famiglia cristiana cuore della Chiesa e della società
Manila, novembre 1994


L’immagine del cuore, posta nel titolo di questa conferenza, esprime chiaramente la “posizione” della famiglia nella Chiesa e nella società. Intendo precisamente parlare di questa posizione. Preferisco, però, cambiare l’ordine dell’esposizione: prima parlerò della società (civile), poi parlerò della Chiesa.

 

1. Famiglia e società: la sorgente della socialità

 

La tesi sulla quale vorrei attirare la vostra attenzione può essere enunciata molto semplicemente in questi termini: la comunione coniugale, in quanto comunione interpersonale interiormente orientata al dono della vita, è l’arche-tipo di ogni sociale umano. Ciò che affermiamo è l’esemplarità della società coniugale-familiare nei confronti di ogni espressione della socialità umana.

Vorrei iniziare molto semplicemente, richiamando la vostra attenzione su alcune esperienze molto comuni. L’attitudine di una ditta che produce prodotti per neonati è profondamente diversa dall’attitudine della donna che ha generato un bambino. Il responsabile della ditta pensa (e dice): “come è utile per noi che nascano i bambini!”; la madre pensa (e dice): “come è bello che tu sei nato, che tu ci sei!” Si faccia molta attenzione. È la stessa persona, la stessa realtà, che è “oggetto” o “termine” dei due atteggiamenti. Che cosa, allora li rende cosi profondamente diversi? Ciò che è visto, percepito. Nel primo caso è un possibile utente del proprio prodotto; nel secondo caso è semplicemente una persona e niente altro che una persona. Per cui, nel primo caso non è neppure necessario per il direttore della ditta conoscere il nome del bambino: che sia l’uno o l’altro è indifferente. Nel secondo caso, agli occhi della madre nessuno può sostituire o prendere il posto di quel bambino.

Vorrei attirare la vostra attenzione su questo concetto di insostituibilità, ricorrendo alla descrizione di un’altra esperienza quotidiana.

Se quando è il momento di prendere servizio in un’azienda che presta un servizio pubblico, chi è di turno non si presenta, normalmente il capo-turno pensa a sostituire l’assente. Alla donna che ha perso un bambino, non è possibile dire: “un altro lo sostituirà”. La sostituzione è possibile là dove la persona è richiesta in ragione semplicemente di una funzione da svolgere; è impossibile, là dove la persona è voluta in se stessa e per se stessa.

Da queste semplici esperienze quotidiane risulta chiaramente che possiamo guardare la realtà in due modi profondamente diversi, che possiamo avere due modi di metterci in relazione con la realtà. Un primo modo vede la realtà in quanto essa può servire per raggiungere uno scopo, in quanto può servire per qualcos’altro. Un secondo modo vede la realtà in se stessa, per se stessa, non ordinandola a qualcos’altro. Chiamiamo questo secondo modo di guardare la realtà “lo sguardo etico sulla realtà”. Fermiamoci un momento a considerare la natura profonda di questo sguardo.

Esso consiste, essenzialmente, nell’intravedere nella realtà una bontà, un valore, una preziosità tale da meritare di essere voluta per sé e in sé. Essa non ha bisogno, per essere valorizzata, di servire a qualcosa d’altro: essa possiede una sua bontà intrinseca, un suo valore proprio, inerenti al suo puro e semplice essere. Quando noi percepiamo una bontà di questo genere, una tale preziosità e la riconosciamo, allora noi amiamo. L’atto dell’amore è quell’atto spirituale, mediante il quale la nostra persona riconosce la realtà nella sua e per la sua intrinseca bontà, bellezza, preziosità.

Facciamo, ora, un ulteriore passo nella nostra riflessione. La nostra persona si trova immersa in un universo di realtà che si presentano a noi in una grande varietà. Fermiamoci a considerare esclusivamente la persona, o il rapporto fra le persone.

La prima cosa che balza immediatamente agli occhi del nostro spirito è l’infinita differenza qualitativa che esiste fra “essere qualcosa” ed “essere qualcuno”, fra la persona e le cose.

Appena si presenta a noi una persona, noi ci sentiamo immediatamente, spiritualmente costretti a riconoscere che in essa vi è una dignità; di fronte alle cose, che in esse vi è solamente un prezzo. Cioè: la persona ha valore di fine; la cosa ha valore di mezzo. Di conseguenza, la persona può essere solo amata, la cosa può essere solo usata. Come vedete tre concetti indicano il mondo delle persone: fine-dignità-amore e tre concetti indicano il mondo delle cose: mezzo-prezzo-uso. In altre parole, ritroviamo, quando entriamo nel mondo delle persone, quel modo di guardare la realtà, che abbiamo chiamato “lo sguardo etico”. O, il che è lo stesso: solo l’atto di amore istituisce un rapporto interpersonale giusto, cioè adeguato alla realtà delle persone.

Ritorniamo, ora, ancora una volta, ad una esperienza quotidiana molto comune. Se voglio raggiungere una località col treno, devo acquistare prima il biglietto, e pertanto mi presento allo sportello della stazione ferroviaria. Istituisco un rapporto con una persona, solo perché questa svolge una funzione (quella di vendere i biglietti). E nessuno di noi sente di aver mancato di rispetto a quella persona.

L’esempio mi serve solo per fare una domanda. Molte sono le volte in cui la vita quotidiana mi costringe a rapportarmi in tal modo ad altre persone. La domanda: ogni rapporto fra le persone è della stessa natura del rapporto istituito allo sportello della stazione ferroviaria? Si noti bene la radicalità della domanda: ogni, della stessa natura. Se rispondo affermativamente a questa domanda, devo concludere che, nella sua intima natura, la società umana, ogni società umana è la convergenza spontanea o imposta di interessi opposti; che il suo fine ultimo, la sua ragione d’essere, è l’utilità più grande possibile del numero maggiore possibile di persone. Ma non voglio prolungare ulteriormente la mia riflessione lungo questa linea.

Voglio attirare la vostra riflessione su un altro fatto. Esistono almeno due rapporti interpersonali che sono essenzialmente diversi da quello predetto: il rapporto costituito nella comunione coniugale; il rapporto costituito dal concepimento.

(A) Nel primo, le due persone si incontrano in ragione della loro irripetibile singolarità, che rende insostituibile l’uno per l’altro. E questo incontro non ha altra ragione che la percezione della unicità, preziosità singolare dell’altro. Lo sposo vede nella sua sposa una dignità unica, così come la sposa nello sposo. Lo sposo è per la sposa qualcuno che non può assolutamente essere sostituito da un altro: nessun uomo può prendere il suo posto. E così la sposa per lo sposo.

(B) Nel secondo, quando la donna viene a sapere di aver concepito, essa esperimenta due fatti complementari: nel suo corpo esiste un’altra persona (non un’appendice del suo corpo); l’altro è totalmente dipendente nel suo essere dalla madre.

Nelle due società suddette si ha il nucleo essenziale di una relazione sociale umana che non si struttura sul principio dell’utilità, ma sul puro principio etico, nel senso spiegato sopra. In altre parole: è dato alla persona umana di vivere l’avvenimento di un rapporto interpersonale, nel senso pieno del termine.

A questo punto, tuttavia, sono sicuro che nella vostra mente si sono presentate due forme di socialità umana, profondamente diverse fra loro. Una forma, quella coniugale-familiare, è fondata sul puro riconoscimento della dignità della persona. Un’altra è fondata sul principio di utilità. L’uomo è così condannato a questa dicotomia? Il tempo ci consente di rispondere solo in maniera sintetica.

- Che esista un rapporto interpersonale fondato sul principio di utilità è inevitabile. La legge morale impedisce che il principio di utilità prevarichi; che diventi l’unica e principale norma.

- La percezione del valore della persona avviene, sul piano naturale, nell’ambito delle due società predette, quella coniugale e quella familiare.

- Solo l’uomo che ha vissuto questa esperienza è in grado di costruire una società che non sia semplicemente fondata sull’utilità.

Ora possiamo capire in che senso la famiglia è “il cuore” della società.

- L’esperienza di comunione, fondata non sull’utilità ma sull’amore, è il primo e fondamentale contributo della famiglia alla società. Nel matrimonio, nella famiglia, come abbiamo visto, le relazioni fra le persone sono ispirate e guidate dalla legge dell’amore, della gratuità: ogni persona è accolta in sé e per sé e non perché è utile.

Ogni persona è riconosciuta nella sua dignità.

Nelle altre società non è sempre così, come abbiamo visto. Spesso la persona è considerata solo per la sua utilità.

Di conseguenza la comunità coniugale e familiare insegna all’uomo e alla donna un modo di essere nuovo e diverso. Questa conoscenza guida la persona a impedire che il principio e la norma utilitarista diventi la suprema ed esclusiva norma della società.

- Dobbiamo però chiederci in che modo concretamente oggi la famiglia diventa il “cuore” della società. Certamente ogni società ha i suoi problemi. Tuttavia, è possibile dare alcuni orientamenti fondamentali.

A) La famiglia è il cuore della società, in primo luogo e soprattutto perché è il primo, insostituibile soggetto che educa la persona. Cioè: la prima funzione sociale della famiglia è l’educazione della persona. Si tratta di un compito che la famiglia non può delegare ad altri. Anche se lo Stato deve intervenire nell’educazione, è sempre in aiuto alle famiglie.

B) La famiglia è il cuore della società perché essa deve intervenire nella formazione delle istituzioni sociali. Mi spiego. Si devono creare associazioni di famiglie che si adoperino pubblicamente affinché le leggi e le istituzioni dello Stato, non solo non offendano, ma positivamente promuovano i diritti e i doveri della famiglia. Pensiamo ad alcuni punti: la politica scolastica, la politica dell’abitazione, i problemi legati al lavoro della donna.

Ho concluso il primo punto della mia riflessione. Posso riassumere tutto in questo modo semplice. La società coniugale-familiare è la sorgente di ogni socialità umana, in quanto educa la persona a considerare l’altro nella sua dignità e non sopratutto per la sua utilità. La crisi dell’esperienza coniugale e familiare è la prima causa della disumanizzazione e spersonalizzazione della società.

 

2. La famiglia e la Chiesa

 

La riflessione sui rapporti fra famiglia e Chiesa è più profonda. Dobbiamo partire da alcune affermazioni generali che sono insegnate dal Magistero della Chiesa.

La prima. La Chiesa è una comunità creata dalla grazia di Cristo, mediante il suo Santo Spirito. È una comunità che vive delle realtà sante e soprannaturali: la Sacra Scrittura, i Sacramenti, la successione apostolica. La famiglia, come tale, appartiene all’ordine della creazione ed è una istituzione limitata a questo tempo.

La seconda. Fin dal principio la Chiesa ha stabilito che nessun bambino può essere battezzato contro il parere dei suoi genitori: devono essere i genitori a presentare il bambino alla Chiesa per essere battezzato. Viceversa, la Chiesa non accetta di battezzare il bambino, se i genitori non si impegnano ad educarlo nella fede cristiana.

La terza. È certo che il figlio di Dio, facendosi uomo, poteva cominciare la sua esistenza umana senza famiglia. Egli ha voluto entrare nella storia degli uomini attraverso la famiglia. Questo fatto non può essere senza un significato profondo. La presenza del Verbo incarnato, nella famiglia unisce strettamente il mistero della redenzione al mistero della famiglia.

Da queste tre affermazioni deriva che: a) pur essendo fra loro distinte, famiglia e Chiesa hanno relazioni reciproche; b) il punto in cui si incontrano è il mistero della Incarnazione del Verbo. Ora vorrei precisamente approfondire questi due punti.

 

2, 1. Famiglia e Chiesa: genealogia della persona

Penso che per capire le relazioni fra le famiglie e la Chiesa, dobbiamo metterci nella prospettiva della genealogia della persona. Che cosa intendiamo con “genealogia della persona”? È il processo attraverso il quale una persona umana raggiunge la sua maturità, non solo biologica. Cominciamo, dunque, a riflettere sul rapporto fra famiglia e genealogia della persona.

È un’affermazione centrale e costante nella visione cristiana della persona umana che essa (persona umana) trova la sua culla, non solo biologica ma spirituale, nella comunità della famiglia. San Tommaso parla della necessità per l’uomo non solo di un utero fisico per il suo compimento e sviluppo, ma anche di un utero spirituale, costituito dalla comunione coniugale dei genitori. Si tratta di un’affermazione di carattere antropologico. Ma non solo. Si tratta anche di affermazione di architettura sociale, di rapporto fra la famiglia ed altre società. Come vedremo.

Quale è la ragione profonda di questa connessione fra famiglia e genealogia della persona? Possiamo partire da un’affermazione che la Chiesa ha fatto sempre, nonostante sia una delle più contestate da parte di chi non condivide la visione cristiana. È l’affermazione secondo la quale si dà una connessione, moralmente inscindibile, fra esercizio della sessualità, amore coniugale e procreazione di una nuova persona. Ritengo che la percezione netta di questa connessione sia di importanza decisiva per capire tutta la dottrina cristiana dell’uomo e del matrimonio. Vediamo quale è il contenuto di questa connessione e le ragioni per cui è affermata.

Il contenuto. Nell’essere-uomo e nell’essere-donna sta inscritto un significato. Non compete alla libertà di inventare, ma solo di scoprire e interpretare nella verità questo significato che già esiste. La mascolinità e la femminilità sono un linguaggio dotato di un significato originario. Non è un dato puramente biologico disposto a ricevere quel senso che la libertà decide di attribuirvi. Quale è questo significato? È il dono di sé all’altro in totalità.

Il linguaggio della mascolinità/femminilità è il linguaggio del dono totale. In quanto tale, è linguaggio intrinsecamente, essenzialmente sponsale, coniugale. L’essere sessuato umano è orientato alla coniugalità (e in Cristo alla verginità consacrata). In questo senso, la dottrina della Chiesa parla di una connessione moralmente inscindibile fra l’esercizio della sessualità e la coniugalità.

“La logica del dono di sé all’altro in totalità comporta la potenziale apertura alla procreazione […] Certo, il dono reciproco dell’uomo e della donna non ha come fine solo la nascita dei figli, ma è in sé mutua comunione di amore e di vita. Sempre deve essere garantita l’intima verità di tale dono. Intima non è sinonimo di soggettiva. Significa piuttosto essenzialmente coerente con l’oggettiva verità di colui e di colei che si donano” (Lettera alle famiglie, 12, 12). Entra nella costruzione di questa verità anche la potenziale paternità e maternità inscritta in essi. In questo modo la persona viene generata da un atto di amore e attesa come puro dono.

Le ragioni per cui la Chiesa afferma queste connessioni sono profonde. Possiamo percepirle attraverso la presentazione di una controfigura. Quella connessione può essere negata in una duplice direzione. La prima: l’essere uomo-l’essere donna non veicola alcun significato originario che preceda la libertà per cui non esiste nessuna definizione prescrittiva di relazione sessuale, ma solo descrittiva e pertanto la paternità-maternità non ha alcuna radicazione obiettiva. In questo contesto si colloca l’attuale nobilitazione della contraccezione come liberazione della biologia sessuale, il tentativo dell’equiparazione delle coppie omosessuali e il rifiuto di considerare l’adozione come “copia” di una filiazione naturale. Quale è l’esito di questo tipo di sconnessione? Mi limito a richiamare la vostra attenzione su quello che mi sembra il più importante. Alla radice sta la negazione che l’essere uomo-essere donna sia il linguaggio fondamentale, attraverso il quale la persona può esprimere il significato fondamentale della sua esistenza. Cioè: la persona dice la sua vocazione originaria mediante il linguaggio del corpo, mediante il suo essere uomo e il suo essere donna. Scardinando questa reciprocità nel dono, si scardina il codice fondamentale di comunicazione interpersonale. Si distrugge alla sua origine stessa la possibilità della comunione interpersonale. Non dimentichiamolo: l’uomo si sentì solo e Dio non creò un altro uomo. Creò la donna. È la possibilità di una civiltà del dono che è distrutta.

Ma la sconnessione procede anche in senso inverso: sradicare la procreazione (e la genealogia) della persona dalla comunità coniugale e dalla attività sessuale. In questo contesto si colloca l’artificializzazione della procreazione umana, che sembra ormai non conoscere più limiti. Quale è l’esito di questo secondo tipo di sconnessione? Il rischio di ridurre il figlio a un “prodotto” di cui si ha bisogno per la propria felicità.

Come si vede, la radice per cui la Chiesa afferma che fra l’esercizio della sessualità, la coniugalità e la procreazione esiste una connessione moralmente inscindibile è una sola: solo in questa connessione è salvata la comunione interpersonale, è salvata la dignità della persona.

Questa riflessione di base ci ha già introdotto nella considerazione della famiglia come luogo di crescita della persona. La crescita della persona consiste nella crescita della sua libertà, cioè della sua capacità di amare, di donare se stessa nella verità. Perché proprio la famiglia è il luogo originario, non dico l’unico, di questa crescita della persona?

Tenendo presente quanto ho appena detto sul rapporto sessualità-coniugalità-procreazione, possiamo ordinare la nostra risposta in due momenti. 

In realtà, la comunità familiare si costruisce in due relazioni interpersonali, la relazione coniugale e la relazione parentale. Consideriamole analiticamente.

 

2, 1, 1. Ho già parlato del “linguaggio del corpo” come fondamentale linguaggio della persona: la mascolinità-femminilità hanno in sé e per sé un significato che deve essere letto nella verità. L’autore ispirato del secondo capitolo della Genesi ci ha svelato verità decisive per la nostra vicenda spirituale.

L’uomo vive una solitudine originaria, cioè intrinseca al suo stesso essere uomo. Posto nell’universo delle cose, nell’universo delle non-persone, egli si sente assolutamente solo. Questa solitudine non è un bene: l’essere umano in queste condizioni non ha raggiunto la sua pienezza. E infatti, proprio per uscire da questa solitudine, l’uomo — ciascuno di noi — cerca un dominio, un possesso. Dominio e possesso che non lo fanno uscire dalla sua solitudine originaria. L’uomo raggiunge la sua pienezza posto di fronte alla donna. È il momento in cui si scopre chiamato ad una comunione, capace di realizzarla perché di fronte a un’altra persona. Si ha qui un mistero molto profondo. È attraverso il linguaggio corporeo che la persona dice quale è la sua vocazione originaria.

Possiamo ora comprendere, credo, perché nella comunione coniugale la persona umana cresce come persona umana: perché è in essa che si realizza come dono di sé. E infatti nel vincolo coniugale ritroviamo in modo eminente tutta la misteriosa paradossalità umana. Non esiste un vincolo di mutua appartenenza più radicale dell’appartenenza coniugale: non è forse possibile, in humanis, appartenersi più che coniugalmente. Non esiste un atto di libertà più grande che l’atto con cui i due sposi si donano: non è forse possibile, in humanis, essere più liberi. La libertà coincide col dono. E il dono di sé implica il possesso di sé: non si può donare ciò che non si possiede. Il massimo dell’auto-affermazione coincide col massimo dell’auto-donazione. È per questo che la comunione coniugale è il luogo della crescita della persona come tale.

2, 1, 2. La comunione coniugale si espande nella comunità familiare. È il luogo proprio della genealogia della persona: il luogo proprio della sua crescita.

Benché radicato nella biologia, il concepimento della persona non è semplicemente il risultato di una fortuita o necessaria coincidenza di fattori biologici. Questo spiega la venuta all’esistenza di un individuo, del tutto funzionale alla sopravvivenza della specie. Ma l’uomo che è concepito è una persona, unica e insostituibile nel suo valore infinito. E infatti gli sposi possono solo volere un bambino: uno qualsiasi. Essi non possono decidere quale persona precisa concepire. La conoscenza di questa unica, insostituibile persona può loro venire dall’esistenza di essa. Quando essa nasce e i genitori la vedono per la prima volta, essi dicono: “è questo il mio bambino”. Non possono conoscerla prima che esista. Perché? scopriamo qui la differenza essenziale fra la conoscenza creata e la conoscenza divina. L’uomo conosce ciò che esiste e perché esiste; mentre è la conoscenza divina che fa essere. In una parola: ogni concepimento implica una atto di creazione. Ciascuno di noi esiste perché è stato pensato e voluto da Dio.

Ne deriva di conseguenza che non avendo essi (gli sposi) deciso, ma essendo il figlio un dono di Dio, essi lo ricevono come tale. E in questa accoglienza si pone l’origine di tutta la genealogia della persona.

Entrata nell’universo, la nuova persona si interroga sul “volto” di questo universo medesimo; se è un volto ostile o amico, se lo rifiuta o lo accoglie, se considera un bene che essa ci sia oppure un male. A seconda della risposta che la nuova persona riceve, tutta la sua esistenza ne sarà marcata. La sua crescita sarà determinata dalla risposta che riceverà alla sua domanda. Da chi riceve questa risposta? Dalla donna che l’ha concepito e da suo padre: “come è bene che tu ci sia”. È il benvenuto. L’universo lo attendeva come un dono ed egli può vivere nella certezza che è bene esistere. Si inizia così la crescita della persona nella verità e nel bene. Nell’amore sponsale in cui la persona del coniuge è affermata in sé e per sé si compie così l’affermazione della nuova persona. Questa può iniziare nell’ambiente dell’amore coniugale la sua crescita.

Si vede veramente come l’affermazione della connessione fra esercizio della sessualità, coniugalità e procreazione stia alla base della conseguente affermazione che la famiglia è il luogo originario della crescita della persona.

Ho sempre detto, nel corso della mia riflessione, “luogo originario”, non esclusivo. La persona umana necessita anche di altri “ambienti”, altri luoghi, per una sua crescita integrale. Questo pone un problema di rapporti, di relazioni della famiglia con altri luoghi della crescita della persona: parlavo di un problema di architettura sociale e politica.

Ora non ci sarà difficile vedere come ci sia una relazione molto stretta fra Chiesa e famiglia. È una relazione che si radica precisamente nella genealogia della persona.

Prima abbiamo parlato in generale della famiglia. Pensiamo ora alla famiglia che nasce dal matrimonio cristiano. I due sposi cristiani sanno che il dono ricevuto, il figlio, è chiamato alla vita eterna in Cristo; sanno che è predestinato ad essere figlio di Dio in Cristo; sanno che egli è chiamato ad essere nella Chiesa. Essi chiedono il battesimo perché questo progetto divino si realizzi.

Il matrimonio e la famiglia edificano in questo modo la Chiesa. Nella famiglia, la persona umana viene introdotta mediante il battesimo e l’educazione, nella Chiesa e la Chiesa si introduce, reciprocamente, nella genealogia della persona. Certamente, la famiglia non può fare questo da sola: ha bisogno di altri carismi che sono nella Chiesa. La fede che essa trasmette al bambino è la fede predicata dai Pastori nella Chiesa; l’Eucaristia che perfeziona l’esistenza cristiana è celebrata dal Sacerdote. Tuttavia, c’è un “ministero” che i genitori cristiani compiono: introdurre la nuova persona umana nel mistero della Chiesa. Precisamente, generare la nuova persona nella Chiesa (= genealogia della persona).

 

2, 2. Famiglia e Chiesa: il mistero di Cristo nella Famiglia

Non potremo mai comprendere fino in fondo il mistero della vita nascosta di Cristo a Nazareth. Il figlio di Dio inserisce il suo essere divino nella comunità familiare: ha una madre in senso vero e proprio; ha un padre legale; ha cugini. La sua vicenda umana, la sua genealogia umana avviene nella famiglia; “il bambino cresceva in sapienza, età e grazia”: non è solo una genealogia biologica (età), ma anche spirituale (sapienza-grazia). “Ed era loro sottomesso”: la sua genealogia umana è il frutto dell’educazione che riceve da Maria e Giuseppe. Egli è introdotto nel mondo umano attraverso questa educazione.

La radicazione della Chiesa nella famiglia trova nel mistero di Cristo la sua ragione più profonda. Nella genealogia umana di Cristo si formava la Chiesa.

 

Conclusione

 

Abbiamo riflettuto prima sui rapporti fra famiglia e società e poi fra famiglia e Chiesa. Ora possiamo vedere che ambedue questi rapporti hanno un fondamento comune: la persona umana. La società ha bisogno della famiglia perché sia una società di persone che si riconoscono nella loro dignità. La Chiesa ha bisogno della famiglia perché è nella famiglia che avviene la genealogia cristiana della persona, come nella famiglia è avvenuta la genealogia umana del Verbo. Questo è il compito della famiglia: affermare il valore supremo di ogni persona umana, perché ha il compito di custodire nel mondo la verità dell’amore. Cioè: è il cuore della società e della Chiesa.