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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Esequie di don Silvio Ballotta
Parrocchia dei Santi Filippo e Giacomo, 30 agosto 2012


1. Cari fratelli e sorelle, l’Apostolo ci insegna che ci sono due modi di morire perché ci sono due modi di vivere: vivere-morire per se stessi; vivere-morire per il Signore. Non esiste una morte "neutrale", poiché non è possibile vivere senza prendere posizione, senza auto-determinarsi per il bene o per il male.

Ma l’Apostolo nello svelarci il senso più profondo della morte e quindi della vita, non usa il linguaggio generico del bene o del male [il linguaggio etico]. Egli parla di una vita e di una morte "per il Signore" o "per se stessi". Sono certo che voi ricorderete, che avete impresso nella mente la scena dei due ladri crocefissi con Gesù. I due rappresentano in maniera icastica il pensiero di S. Paolo, i due modi di morire. L’uno muore "per il Signore" perché alla fine si rimette al suo giudizio di misericordia; l’altro muore "per se stesso" consegnato solo alla sua disperazione.

Ma che cosa significa, alla fine, vivere-morire "per il Signore"? Avrete notato che l’Apostolo deduce questa possibilità per l’uomo – la possibilità di vivere e morire per Cristo – dalla risurrezione del Signore: "per questo, infatti," egli ci ha detto "Cristo morì e visse, per esercitare il suo dominio sui morti e sui vivi". Il primo dunque significato è il seguente. Vivere e morire per il Signore significa essere consapevoli, in forza della fede nella risurrezione del Signore, che "niente e nessuno potrà separarci dall’amore che Dio ha per noi in Cristo Gesù nostro Signore" [cfr. Rm 8,39]; che nessuna situazione della vita può distruggere le ragioni del nostro vivere e che nel momento in cui moriamo non siamo lasciati soli di fronte alla morte. Anche in quel momento Gesù, pastore grande delle nostre anime, ci prende sulle sue spalle e ci fa passare attraverso la valle oscura della morte. Solo chi non appartiene al Signore a causa della sua incredulità, "muore per se stesso": in una disperata solitudine.

Ma l’insegnamento dell’Apostolo ha anche un secondo significato, che risulta chiaramente dalla pagina evangelica. In essa Gesù direttamente ci insegna che cosa significa vivere per Lui: "tutto quello che avete fatto a uno dei più piccoli di questi miei fratelli, l’avete fatto a me"; "ciò che non avete fatto a uno di questi più piccoli, non l’avete fatto a me". Vivere per il Signore significa riconoscerne la presenza "nei più piccoli dei suoi fratelli"; vivere per se stessi significa non percepire questa presenza. Si tratta di un riconoscimento molto pratico: vestire chi è nudo; dar da mangiare a chi ha fame…

La pagina dell’Apostolo e la pagina del Vangelo in fondo contengono lo stesso messaggio. Vivi nell’ambito, nella sfera in cui il Signore risorto esercita la sua potenza; essa ti libererà dal tuo egoismo e la morte non avrà su di te alcun potere, perché tu sei del Signore.

2. Questo insegnamento ci offre la vera chiave di lettura della vita sacerdotale di don Silvio, che oggi affidiamo alla misericordia del Signore.

Dobbiamo dire subito che in lui, nella sua esistenza, ha semplicemente brillato lo splendore dell’eroismo della normalità. Egli vi ha semplicemente servito, cari fedeli di questa parrocchia dei Santi Filippo e Giacomo. Cioè ha vissuto per il Signore, servendo con la carità propria del sacerdote. Se si escludono i dieci anni trascorsi come cappellano a S. Cristoforo in Bologna, tutti i rimanenti trentacinque anni del suo sacerdozio li ha vissuti in e per questa comunità.

"Vivere per il Signore" - "tutto quello che avete fatto a uno dei più piccoli di questi miei fratelli, l’avete fatto a me". Ciò che ha caratterizzato il ministero sacerdotale di don Silvio è stata la carità. Una carità fatta di una disponibilità all’accoglienza, all’aiuto di ogni persona bisognosa, che non conosceva limiti. Soprattutto nel momento della sofferenza. Egli aveva ben assimilato la grande tradizione pastorale che raccomanda ai parroci di visitare premurosamente ammalati ed anziani: nelle loro case e nei luoghi di cura.

Questa grande testimonianza è l’eredità più preziosa che don Silvio lascia al nostro presbiterio e a voi fedeli.

"Morire per il Signore", ci ha detto l’Apostolo. Il Signore ha provato e purificato il suo servo attraverso una malattia lunga, dolorosa, umiliante. Egli l’ha vissuta con una dignità ed una obbedienza al Signore esemplari. Ne sono rimasto profondamente colpito. Quando circa una settimana prima l’ho visitato, ciò che mi edificò maggiormente fu la sua serenità, oserei dire la gioia del suo spirito.

Cari fratelli e sorelle, ogni sacerdote depone nel cuore della nostra Chiesa e del nostro presbiterio un tesoro di testimonianza che arricchisce e fa vivere il nostro patrimonio spirituale. Grazie, caro don Silvio, per questo dono: il Signore ti accolga nella sua gioia eterna.