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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Esequie di don Lino Sabbioni
Bologna, 10 agosto 2011


1. "Sappiamo… che quando verrà disfatto questo corpo, nostra abitazione sulla terra, riceveremo un’abitazione da Dio, una dimora eterna". Cari fratelli e sorelle, riuniti attorno all’altare per affidare il nostro fratello don Lino alla misericordia di Dio, la Parola di Dio ci libera dalla ipnosi della realtà visibile e ci scopre le realtà eterne.

Noi infatti affidiamo al sepolcro il corpo di don Lino; il suo corpo verrà disfatto. Ma il disfacimento riguarderà solamente la "nostra abitazione sulla terra". Don Lino ha già ricevuto da Dio un’abitazione, "una dimora eterna".

Mai come nelle celebrazioni esequiali impariamo che cosa è la fede; che cosa significa credere. Lo esprime san Paolo colle seguenti parole: fissare lo sguardo non sulle cose visibili, ma su quelle invisibili. E così mediante la fede noi usciamo dai nostri illusori errori, viviamo nella realtà. Infatti "le cose visibili sono d’un momento, quelle invisibili sono eterne". Ogni giorno dobbiamo educarci a passare dalle "ombre alla realtà" soprattutto di fronte alla morte dei nostri cari.

Ma nello stesso tempo, l’Apostolo ci rivela la grande importanza del momento della vita presente. Essa "ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria".

Gesù nel santo Vangelo ci presenta l’immagine di un servo che, nell’assenza del suo padrone, non si lascia prendere dalla neghittosità, ma resta sempre in attesa del suo padrone lavorando intensamente.

È questa, secondo la parola del Signore, la vera beatitudine dell’uomo: "beati questi servi…", perché, quando il loro servizio sarà terminato, saranno ammessi alla tavola del Signore, e da Lui stesso serviti.

2. Cari fratelli e sorelle, la Parola che ci è stata detta dal Signore e dal suo Apostolo ci aiuta a capire l’esistenza sacerdotale del nostro fratello don Lino.

È cosa degna e giusta infatti che custodiamo la memoria dei nostri cari, cercando di prender coscienza di quel "lascito spirituale" che è stata in profondità la loro vita.

Tutto questo è ancora più vero per noi sacerdoti. Ogni nostro fratello che ci lascia, depone nel nostro presbiterio un "patrimonio sacerdotale" che va ad arricchire la grande tradizione presbiterale della Chiesa bolognese.

Molte sono le cose che colpiscono nella lunga vicenda terrena di don Lino. Mi sia lecito sottolinearne alcune.

L’inizio del suo cammino sacerdotale ebbe una conferma singolare. Quando, accompagnando Mons. Alfonso Brini ed un gruppo di Orsoline, venne ricevuto appena dodicenne dal S. Padre Pio XI, incerto ancora come era sul suo futuro, si sentì ripetere dal S. Padre: "Vai in seminario, vai in seminario, vai in seminario".

Da quel momento il suo cammino sacerdotale non conobbe più tentennamenti, pur avendo dovuto attraversare le immani tragedie della guerra. Conobbe anche le prigioni naziste da cui riuscì a fuggire.

Ricevuta l’ordinazione sacerdotale il 17 marzo 1945, inizia il suo servizio sacerdotale secondo quella "apostolica vivendi forma" che è tanto propria del clero bolognese, e ne costituisce la sua mirabile identità: servizio parrocchiale, fedele ed attento ai bisogni delle anime e consapevole dei propri doveri amministrativi; attenzione alle necessità della Chiesa locale, oltre i confini della parrocchia, svolgendo quei servizi che i Cardinali Arcivescovi gli chiedevano; vita di orazione solida e sostanziosa.

Cari fratelli e sorelle, mi piace terminare con le parole che don Lino scrisse sul suo diario personale il giorno della sua prima Messa solenne.

"Senza dubbio un vero sacerdote è chiamato ad accompagnare l’uomo dalla nascita alla morte attraverso un misterioso intreccio di bene e di male, di gioie e di sofferenze… Alla consacrazione ho riversato nel calice di Cristo il cumulo immane delle nostre sofferenze".

Ecco, cari amici, questo è il sacerdozio cattolico: il luogo dell’incontro della miseria umana colla passione–risurrezione di Cristo.