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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


L’APPORTO CRISTIANO ALL’EDUCAZIONE
Istituto S. Vincenzo e S. Cuore
3 settembre 2001

L’apporto che la fede cristiana ha dato all’attività educativa si colloca ad un duplice livello. Essa ha introdotto nella cultura occidentale una visione dell’uomo che ha generato una precisa teoria pedagogica: è l’apporto a livello del pensiero. Ma la fede cristiana ha dato anche, direi soprattutto, un apporto a livello della prassi pedagogica. Vorrei dunque con voi riflettere brevemente su ambedue questi apporti.

1. L’APPORTO TEORICO

Scrive A. Rosmini: "l’idea della vera educazione umana è germinata si può dire e fiorita al mondo dallo spirito del Cristianesimo" [Dell’educazione cristiana, Opere 31, CN ed. Roma 1994, pag. 225].

Quando il cristianesimo entra nel mondo occidentale, questo aveva già preso coscienza, come sempre attraverso la riflessione greca, dei termini essenziali del problema educativo,. Questa consapevolezza emerge con chiarezza nello scontro fra Socrate e i sofisti, che è stato anche uno scontro di opposte teorie pedagogiche, di opposte metodologie di educazione dei giovani. Sinteticamente caratterizzerò questo scontro come lo scontro fra la "pedagogia del consenso" quella dei sofisti, e la "pedagogia del maestro interiore" quella di Socrate.

Secondo la prima, partendo dal presupposto che non esistesse una verità sull’uomo ma che tutto si riducesse a convenzioni sociali, per il sofista l’educazione consisteva nel rendere il giovane capace di ottenere il consenso sociale alle sue proposte. Oggi diremmo: educare significa formare/informare il giovane ad essere socialmente riconosciuto. Il riconoscimento sociale oggi significa "saper fare"; al tempo dei sofisti "saper parlare" in modo tale fa riuscire a convincere chi ascoltava, prescindendo totalmente dalla verità dei contenuti, non esistendo semplicemente verità.

Secondo la pedagogica socratica, l’educazione consisteva in primo luogo nell’apprendere ad avere cura di se stesso. Queste parole possono oggi suonare a noi, ammalati come siamo più o meno tutto di individualismo, come invito ad una sorta di ritorno solipsistico in se stesso. Questa interpretazione è completamente falsa. Socrate sa che l’uomo deve essere generato, deve cioè condurre se stesso ad una pienezza [= bene]: l’educatore in questo processo è l’ostetrica. L’ostetrica non concepisce e non genera: aiuta l’uomo ad entrare nella realtà piena di se stesso. Socrate quindi ha avuto l’incomparabile merito di aver radicato l’azione educativa nell’antropo-logia , cioè nella visione della verità sull’uomo [cfr. Alcibiade Maggiore 128 E 129B].

L’apostolo Paolo, il grande evangelizzatore dei pagani, inserisce ed innesta il messaggio cristiano in questa prospettiva. Abbiamo al riguardo un testo assai importante: "e’ apparsa la grazia di Dio apportatrice di salvezza per tutti gli uomini, che ci insegna [paideuousa] a rinnegare la empietà e i desideri mondani e a vivere con sobrietà, giustizia e pietà in questo mondo, nell’attesa della beata speranza …" [Tit 2,11-14]. Penso di non esagerare dicendo che per il nostro tema che stiamo trattando questo testo è il più importante.

Notiamo subito che Paolo attribuisce alla grazia di Dio una funzione educativa. La traduzione it. "ci insegna" corrisponde ad un termine tecnico del vocabolario pedagogico greco: paideia. Ritorneremo su questa idea centrale del cristianesimo: la "paideusis", l’opera educativa dell’uomo è opera della grazia. Solo cioè un intervento di Dio stesso educa l’uomo, ed è un’idea cara ai Padri della Chiesa che l’Incarnazione del Verbo sia come il grande atto educativo del Padre.

L’opera educativa della grazia ha due dimensioni essenziali. Una dimensione di guarigione da ciò che qui l’apostolo chiama: "empietà e di desideri cattivi", ed una dimensione positiva che l’apostolo individua nel vivere in modo virtuoso in questo mondo, in attesa della gloriosa manifestazione di Cristo.

A me sembra che il significato profondo ed unitario di questo testo paolino sia dunque il seguente. L’opera educativa della grazia consiste nel rigenerare la persona umana conformemente alla sua intera verità, deturpata dal peccato, di persona chiamata a vivere bene in questo mondo, ma nell’attesa di una vita futura. In altre parole: la fede cristiana conosce la verità sull’uomo; e quindi la "paideia cristiana"consiste nell’inserirsi dentro alla ricostruzione della persona nella sua verità.

E’ certamente anche in continuità con la visione greco-socratica: educare l’uomo significa portare l’uomo ad essere se stesso. Ma la visione greca del "se stesso" si è incontrata con insormontabili difficoltà. La rivelazione cristiana ha insegnato all’uomo la verità intera di se stesso: quella verità nella quale egli deve essere rigenerato.

Questa ricostruzione è opera esclusivamente della grazia di Dio e della libertà del singolo: "io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma è Dio che ha fatto crescere. Ora né chi pianta, né chi irriga è qualche cosa, ma Dio che fa crescere … Siamo infatti collaboratori di Dio." [1Cor 3,6-7.9a]. La definizione dunque del pedagogo cristiano è la seguente: collaboratore di [della grazia di] Dio. Ho poi parlato di ricostruzione. L’uomo infatti a causa del peccato originale non si trova più nella condizione dovuta.

Ricostruire la persona nella sua verità, dicevo, definendo così l’atto educativo cristiano. Vorrei ora fermarmi più lungamente su questa definizione.

La visione cristiana dell’uomo si presenta con due caratteristiche fondamentali: l’interezza e l’unità. Ha la proprietà dell’interezza quella visione dell’uomo che non nega nulla di ciò che costituisce l’umanità della persona. Ha la proprietà dell’unità quella visione dell’uomo che individua, afferma l’esistenza nell’uomo di un principio unificante e costitutivo della persona. La dimostrazione che la visone cristiana possiede queste due proprietà è qui fuori luogo, poiché esigerebbe una lunga riflessione storica e teoretica. Mi limito ad alcune riflessioni sulla seconda proprietà.

Dire che il cristianesimo ha una visione unitaria della persona umana significa almeno tre cose.

a) Unico è il "modello" o la "misura" sui quali la persona umana è stata pensata dal Creatore: Gesù Cristo. La via che l’uomo deve percorrere per la ricostruzione di se stesso nella verità è Gesù Cristo. [casualità formale]

b) Unico è il fine ultimo, ciò che costituisce il bene supremo della persona umana: la vita eterna in Cristo. La visione cristiana rivela all’uomo l’orientamento fondamentale della sua vita [causalità finale].

c) Uno è il principio attivo che costruisce la persona umana nella sua interezza: la volontà ordinata ed aiutata dalla grazia a seguire la verità. Gli uomini sono la loro volontà, disse Agostino. [causalità efficiente].

Vorrei ora considerare più direttamente l’affermazione c), perché essa connette l’antropologia cristiana all’educazione cristiana: che cosa significa l’affermazione del primato esistenziale sella libertà, più precisamene della scelta libertà? Mi spiego con esempi.

Esistono nella persona umana molti dinamismi che possono essere perfezionati. Se uno attraverso costanti allenamenti riesce a correre i cento metri in un tempo molto limitato, noi diciamo che è un buon atleta (un buon corridore): questo perfezionamento della capacità umana locomotiva esige molte conoscenze di vario genere. Se uno è capace di diagnosticare correttamente e guarire efficacemente le persone ammalate, noi diciamo che è un buon medico: questa perfezione esige conoscenze scientifiche ed esercizio pratico. Se uno è abitualmente giusto, compassionevole verso i poveri, fedele alle promesse … noi diciamo che è un uomo buono. Mentre quindi la perfezione di una facoltà naturale dell’uomo non comporta necessariamente la perfezione della persona come tale, la perfezione della libertà comporta necessariamentela perfezione della persona: è la libertà il principio che realizza la persona.

Seguendo il vocabolario rosminiano, idea già presente per altro in Platone [cfr. Leggi I, 643 E-644C], possiamo distinguere una duplice perfezione umana: la perfezione naturale e la perfezione personale. La prima è la perfezione che riguarda qualsiasi facoltà della natura umana; la seconda è quella "che consiste e risiede nel principio personale, cioè nel principio supremo dell’uomo nel principio morale" [A. Rosmini, Antropologia soprannaturale, tomo I; Opere 39, CN ed. Roma 1983, pag. 351]. Ora nella visione cristiana dell’uomo non solo la perfezione naturale non coincide necessariamente colla perfezione personale, ma in certi casi è necessario rinunciare all’una per salvare l’altra. Mentre la perfezione personale deve essere voluta assolutamente, incondizionatamente e a qualunque costo, la perfezione naturale deve essere voluta relativamente, condizionatamente e non a qualunque costo. Il vero valore dell’uomo infatti dipende dalla perfezione personale, non dalla perfezione naturale.

Poco sopra ho definito la perfezione personale come la perfezione della libertà. Che cosa significa? È ciò che noi connotiamo con la parola buono [scelta buona]. La perfezione della persona consiste dunque nell’esercitare la propria libertà seguendo la verità sul bene della persona, subordinandosi alla verità sul bene della persona. Poiché il bene ultimo della persona è nella comunione di vita col Padre in Cristo per opera dello Spirito Santo, il cristianesimo afferma che la perfezione della persone come tale consiste nella carità. La visione dunque cristiana dell’uomo istituisce la seguente serie di identità: perfezione personale=perfezione della libertà=subordinazione alla verità sul bene=perfezione della carità [cfr. S. Tommaso d’A, 2a-2ae, q.23, aa.6-8].

Le precedenti riflessioni riguardavano il carattere unitario della visione cristiana dell’uomo. Sul carattere di interezza proprio della medesima, mi limito a dire che, a scanso di equivoci, la perfezione naturale è un vero e proprio bene per l’uomo e quindi deve essere perseguito, ma in subordine ed integrato al bene personale [cfr. un’applicazione di questa dottrina generale al campo della etica/educazione della sessualità nel mio libro, Etica generale della sessualità, ed. Ares Milano 199 , soprattutto pag. ].

Sulla base di quella visione dell’uomo, il cristianesimo ha elaborato una pedagogia cristiana, una dottrina dell’educazione cristiana, completamente diversa dall’educazione non cristiana. "Il carattere della prima è quello di tendere a conseguire la perfezione DELLA PERSONA nell’alunno che è quanto dire di TUTTO l’uomo; il carattere della seconda è quello di tendere a conseguire una specie di perfezione solo DELLA NATURA che è quanto dire di alcune PARTI staccate dell’uomo" [A. Rosmini, op. cit., pag. 355, nota 190].

Alla luce di quanto ho detto finora risulta come già S. Paolo nel testo da cui abbiamo preso avvio, e poi tutta la tradizione cristiana abbiano pensato l’economia della salvezza come una grande opera educativa dell’uomo, e Cristo il grande pedagogo. Tutta l’opera provvidenziale di Dio ha come oggetto di condurre l’uomo alla sua perfezione.

Concludo molto semplicemente questo primo punto della mia riflessione. Il principale apporto che il cristianesimo ha dato alla dottrina dell’educazione dell’uomo è stato di aver indicato il fine dell’attività educativa stessa nella perfezione della persona umana come tale. E’ questo il criterio per giudicare se pensiamo cristianamente o non l’atto educativo.

2. L’APPORTO ALLA PRASSI EDUCATIVA

L’apporto della fede cristiana non si è limitato alla teoria della pratica educativa. Essa, direi soprattutto, ha dato il suo apporto anche sul piano della prassi educativa stessa. Quale è stato questo apporto? Anche in questo secondo punto mi voglio limitare ad alcune riflessioni essenziali.

Vorrei subito attirare la vostra attenzione sul modo centrale: la libertà è liberata dalla grazia di Cristo. In questa formula è racchiuso tutto l’apporto della fede cristiana alla prassi educativa. Fermiamoci a meditare un momento.

Parlare di una "libertà liberata" significa costatare cjhe la nostra libertà è come legata, incapace cioè di esercitarsi. In che cosa conssite questo legame? Nella difficoltà/ impossibilità di affermare nella e mediante la scelta libera quella verità sul bene che ho affermato nel e mediante il giudizio della ragione: "video meliora proboque et deteriora sequor". S. Paolo parla di un "soffocamento della verità nell’ingiustizia" [cfr. Rom 1,18]. La libertà schiava introduce una spaccatura nella persona, costituendo un’esistenza ingiusta perché falsa. E qui noi vediamo il limite di ogni intellettualismo pedagogico, di ogni riduzione dell’educazione all’istruzione.

La perfezione della persona, fine che definisce l’educazione cristiana, è opera della grazia di Cristo, la quale opera sia a livello di intelligenza sia a livello di volontà.[non è questo il luogo di esporre tutta questa tematica]. In questo senso l’atto educativo resta sempre all’esterno della persona: di qui la sua ineliminabile debolezza e rischiosità; ma l’apostolo Paolo definisce l’educatore "collaboratore di Dio". In che senso l’attività educativa è cooperazione col Dio che mediante la grazia libera la libertà dell’uomo?

Esistono due collaborazioni per così dire istituzionali, posti in essere attraverso un sacramento e quindi entrano nella costituzione stessa dell’economia pedagogica divina: il ministero pastorale ed il ministero coniugale [per i propri figli]. Non voglio ora riflettere su questi due servizi educativi.

Vorrei invece richiamare la vostra attenzione sulla forma che assume, che deve sempre assumere questa cooperazione con Dio. E’ la forma del rapporto inter-personale. E’ un punto di decisiva importanza.

La presenza della divina pedagogia è mediata dalla Chiesa: la Chiesa è questa presenza. Ed il mistero della Chiesa prende corpo nell’incontro fra la persona che educa e la persona che è educata. La grazia della liberazione della libertà è normalmente mediata dall’incontro e nell’incontro delle persone. Vorrei dirvi brevemente perché, e come avviene questa mediazione.

L’incontro non è mediazione di grazia perché in esso, durante esso si parla necessariamente di Cristo e della sua salvezza; è mediazione perché e se suscita nell’educando il desiderio di una pienezza di umanità, che vede suggestivamente nell’educatore. E’ la forza di questo desiderio che genera domande sul come si possa vivere. Ed a poco a poco comincia il cammino verso quella pienezza di umanità che in un qualche modo gli è stata suggerita dall’educatore [cfr. su tutto questo L. Giussani, "Tu" (o dell’amicizia), BUR ed., Milano 1997, pag. 175-176]. E’ ovvio che questo modo di incontrarsi può accadere qualunque materia si insegni.

Concludo questo secondo punto. L’apporto fondamentale che la fede cristiana dona alla prassi educativa è il dono della grazia di Cristo, mediata normalmente attraverso l’incontro interpersonale. In questa luce, il cristianesimo ha dato al rapporto educativo una dignità altissima: è collaborazione con Dio stesso.

CONCLUSIONE

Ciò che ho detto deve essere completato dalle riflessioni dei giorni seguenti. La mia riflessione si proponeva di mostravi la specificità dell’educazione cristiana: la perfezione della persona come tale, opera della grazia di Cristo, mediata dalla cooperazione umana dell’educatore.

La Provvidenza divina, hanno insegnato i Padri della Chiesa, si è realizzata come "paideia", come educazione dell’uomo. E’ dentro a questa grandiosa opera divina che si inscrive l’opera dell’educatore cristiano.