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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Il fondamento etico dei diritti umani
Frosinone, ottobre 1988

[ ]


Signore e Signori, 

la riflessione sul fondamento ultimo dei diritti della persona umana costituisce uno dei più importanti punti di riferimento per la nostra cultura europea. Vorrei dimostrare, secondo le mie possibilità, che o i diritti umani hanno un fondamento etico oppure essi semplicemente non hanno fondamento.

Per dare un certo ordine alle mie riflessioni, mi vedo obbligato a fare una precisazione di vocabolario, che non è — a dire il vero — soltanto di vocabolario, perché essa implica una problematica sia filosofica che politica molto difficile. In ogni caso, permettetemi, per il momento, di enunciare semplicemente questa precisazione.

Quando parliamo di “fondamento” dei diritti umani, possiamo intendere due cose, almeno. (1) Il fondamento è ciò che fa essere i diritti umani, ciò da cui derivano i diritti umani; (2) il fondamento è ciò che rende coscienti, ciò che da’ all’uomo la coscienza dell’esistenza di un diritto umano. Come vedete, la distinzione di cui parliamo è fra l’essere di un diritto umano (la sua esistenza) e la coscienza che una persona umana può o non può avere di un diritto umano. Almeno dal punto di vista logico, non è la stessa cosa: vi sono diritti di cui l’uomo non è sempre cosciente o si ha coscienza di un diritto che in realtà non esiste.

Questa distinzione — che, per ora, vi domando di accettare almeno come ipotesi — costituisce l’ordine della mia esposizione. Nella prima parte, rifletterò su ciò che fa essere i diritti umani; nella seconda parte, rifletterò su cio che da’ coscienza all’uomo dell’esistenza dei diritti umani.

 

1. Il fondamento dei diritti umani

 

La storia europea della scoperta di questo argomento dei diritti umani ci mostra che il richiamo a questi diritti è sempre fatto in un contesto di opposizione a ogni forma di assolutismo. Ciò ci fa pensare. Si puo iniziare — molto semplicemente — osservando che l’uomo ha una esperienza di assolutismo ogni volta che vede l’esercizio di un potere che non rispetta la persona umana nella sua “intangibilità”, cioè nella sua dignità. Così, il richiamo ai diritti umani diventa sempre più la forma di affermazione della dignità umana, percepita come una dignità sempre in pericolo di essere tradita. Abbiamo, per cosi dire, quasi una costellazione di esperienze umane e di concetti che le esprimono: dignità umana - diritti umani - potere - assolutismo - opposizione. E allora, dobbiamo fare ordine in questa molteplicità di esperienze e concetti.

Sembra quindi fuori discussione che il concetto centrale è quello di “dignità umana”. Infatti, come risulterà chiaro da tutta la nostra riflessione, il concetto che ci si forma di dignità umana è la chiave di volta di ogni riflessione sui diritti umani. Ma, che cosa è esattamente la dignità della persona umana? In che cosa precisamente consiste? È questo il problema centrale.

Nella storia contemporanea dell’Europa, si è sempre più identificato dignità umana e libertà umana: la dignità dell’uomo è la sua libertà e i diritti umani trovano il loro fondamento nel fatto che l’uomo è libero.

Questo punto di partenza è in sé ambiguo e questa ambiguità del punto di partenza è presente in tutta la nostra cultura. In che cosa consiste precisamente questa ambiguità?

Per essere il più chiaro possibile in una materia cosi importante, enuncerò subito la risposta e poi rifletteremo su di essa.

L’identificazione di “libertà umana” e “dignità umana” può essere pensata in due modi fondamentali.

(A) La dignità umana è la sua libertà, nel senso che questa (la libertà) costituisce la persona umana in una totale auto-nomia, in modo che la soggettività umana trova la sua costituzione ultima nell’esercizio della sua libertà.

(B) La dignità umana è la sua libertà, nel senso che la persona umana attraverso la sua libertà e unicamente attraverso essa, può decidere di porsi nella verità del suo essere o di porsi al di fuori di questa verità.

Nei due significati, è vero che la dignità umana è la sua libertà, ma con un contenuto molto diverso. Nell’identità (A), la libertà è il “primum” sia dal punto di vista formale (cioè della definizione stessa dell’uomo) sia dal punto di vista esistenziale (cioè della determinazione del destino dell’uomo). Nell’identità (B), la libertà non è il “primum” dal punto di vista formale, ma soltanto dal punto di vista esistenziale. Mi spiegherò meglio.

 

1, 1. Noi abbiamo l’esperienza del nostro atto libero come di un atto che non è soltanto in noi, ma che viene da noi stessi. Nella nostra libertà, noi abbiamo l’esperienza di una causalità, l’esperienza di noi stessi come una causa che non ha nulla alle sue spalle: è questa la meraviglia dell’atto libero! così l’uomo nei e attraverso i suoi atti liberi fa’ se stesso e da se stesso: ogni persona, attraverso l’esercizio della sua libertà, diventa padre-madre di se stesso. Nessuno può prendere il posto di se stesso in questo esercizio: ognuno è situato nella sua solitudine, una singolarità che non puo essere superata.

È questo che intendo quando si parla del primato esistenziale della libertà: nella costituzione della sua propria realtà personale, della sua storia, nulla è più dell’atto libero.

 

1, 2. Ma la stessa esperienza del nostro atto libero ci mostra che se consideriamo il nostro esercizio della libertà in se stesso, la libertà è come un “vuoto”. Essa è sempre libertà di e libertà per: essa è sempre finalizzata. Non si può essere “liberi di” e “per nulla”, ma sempre di qualcosa e per qualcosa. Così, ciò “di” e “per cui” si è liberi, precede la nostra libertà e in questo senso affermo che dal punto di vista formale la libertà non è il “primum” nella nostra vita spirituale. Ma questo non è tutto, né è il fatto più importante per la determinazione di questo senso formale.

 

1, 3. Nell’esercizio della nostra libertà, facciamo una esperienza ammirevole, che noi chiamiamo l’esperienza etica, sulla quale è necessario riflettere più profondamente possibile.

In essa, noi abbiamo esperienza di un obbligo assoluto e incondizionato. Quando ci si sente obbligati eticamente, non ci si sente obbligati “a condizione che …”: non si è obbligati a essere giusti, ad esempio, a condizione che gli altri lo siano anche essi o che essendo giusto, io non venga ucciso, ecc. Si è obbligati ad essere giusti senza condizioni.

D’altra parte, questo obbligo è radicato nella libertà o meglio nella persona in quanto soggetto libero. L’obbligo etico è l’obbligo della libertà come la logica è l’obbligo dell’intelligenza.

 

Dopo queste tre osservazioni, ritorniamo alle nostre due identità.

Se considero l’identità della dignità umana e della libertà umana nel senso della prima identità, io nego che vi sia “qualcosa” che precede la libertà: la libertà è la possibilità di ogni possibilità. Se considero l’identità della dignità umana e della libertà nel senso della seconda identità, affermo che la persona umana è chiamata a farsi attraverso la sua libertà in un ordine di verità e bontà: la libertà e la possibilità di fare la verità.

Questi due significati di dignità e libertà umana sono all’origine di due concetti dei diritti umani: un concetto secondo il quale i diritti umani hanno il loro fondamento ultimo nella libertà umana o un concetto secondo il quale i diritti umani hanno il loro fondamento ultimo nella verità della persona umana in quanto questa verità è affidata alla libertà.

 

A) Nel primo concetto, i diritti umani non sono altro che l’esclusione della libertà umana da ogni costrizione. Diritto umano si riduce completamente a essere libero.

Non è difficile vedere che una simile definizione di diritto umano non può essere che un’idea regolatrice, un orizzonte verso il quale dirigersi, un “zielgebot”, come dicono i tedeschi. Essa non può essere realizzata come tale nella sua integralità, senza il pericolo di distruggere la società come tale. Essa ha la funzione di un ideale sui quale ci si deve sforzare di costruire l'edificio sociale.

È molto importante notare quale è la strada che fa camminare la società reale verso questa società ideale.

Se i diritti umani si riducono completamente a essere soggetti liberi, è necessario affermare che soltanto la libertà deve limitare se stessa. Il tessuto sociale può quindi essere costruito e conservato nel e attraverso il consenso su un minimo di valori comuni, cioè i valori che la libertà stessa ha deciso di rispettare. È necessario sottolineare il fatto che non si tratta qui di sapere se questi valori sono o non sono dei veri valori: il problema della verità non è di decisiva importanza. Il problema più importante è di ottenere il consenso. 

Questo concetto di diritti umani na in sé una difficoltà insormontabile, sia teoretica che pratica. Quando ci si domanda quale è questo “minimum” sul quale si deve ottenere il consenso, si è portati a rispondere che esso deve essere il più possibile vasto e formale. Alla fine, si deve concludere: si deve consentire solo su ciò su cui si consente, o, come si afferma più spesso: se tu vuoi giocare, devi accettare le regole del gioco, ma sono i giocatori a stabilire secondo quali regole giocare.

 

B) Nel secondo concetto, i diritti umani sono delle esigenze etiche. Essi derivano dall’obbligo etico di essere nella verità del proprio essere umano. Ad esempio, il diritto alla libertà religiosa non è la semplice possibilità di avere o non una fede religiosa e di esprimerla, ma prima e più di questo, è l’obbligo etico di cercare la verità ultima dell’uomo, di seguirla quando essa è stata trovata: in una parola, di essere nella pienezza della propria verità in quanto soggetti in ricerca di un senso ultimo della propria vita. Poiché questo obbligo è l’obbligo di un soggetto che vive nella società, esso deve essere difeso da ogni violazione o impedimento e ciascuno deve essere aiutato ad eseguirlo. E cosí, l’obbligo assume, in secondo luogo, la figura di un diritto, di un “justum”: qualcosa che è dovuto assolutamente e incondizionatamente.

Il fondamento ultimo dei diritti umani non è quindi una libertà umana, ma la verità stessa della persona umana. La natura profonda dei diritti umani non è l’autonomia, ma l’eunomia.

La teoria dei diritti umani non è semplicemente un ideale: essa è la verità stessa della società umana, ciò su cui si deve sempre confrontare la società reale, per giudicare la sua umanità.

Termino la prima parte della mia riflessione. La domanda era: quale è il fondamento ultimo dell’essere dei diritti umani? Quale è la ragione ultima che spiega l’esistenza dei diritti umani?

Esiste una verità della persona umana e questa verità e affidata alla libertà dell’uomo, che può fare la sua verità o negarla. I diritti umani non sono altro che l’esigenza assoluta e incondizionata — etica — che l’uno rispetti questa responsabilità dell’altro e l’aiuti a seguirla.

 

2. Il fondamento della coscienza dei diritti umani

 

Non è difficile osservare in se stessi che l’uomo non puo essere legato in fondo che con il legame della sua coscienza. Penso che uno dei meriti più grandi del cristianesimo è stato l’affermazione che l’uomo non può mai andare contro la propria coscienza. In fondo, questa affermazione si identifica con l’affermazione che l’uomo non può agire che umanamente.

Cosí, se è vero — per le ragioni già dette — che il fondamento ultimo dei diritti umani non è la coscienza, è anche vero che unicamente attraverso l’educazione della coscienza morale si può pensare ad arrivare a un tessuto sociale umano a misura dei diritti umani, cioè della dignità della persona.

Così il problema pedagogico diventa sempre più decisivo per la nostra cultura europea.

Ma ancora una volta ci si trova qui davanti a una problematica molto complessa e difficile. Educare a che cosa? Quale è precisamente la finalità dell’opera educativa?

Credo che uno dei momenti più importanti della nostra cultura europea è stato il conflitto fra Socrate e i Sofisti. Le ragioni furono molte, ma fra le altre, certamente la ragione pedagogica non è stata l’ultima. Infatti, mentre Socrate proponeva una “pedagogia del Maestro interiore”, i sofisti proponevano una “pedagogia del consenso”.

La pedagogia del consenso si propone di insegnare alle giovani generazioni l’arte di ottenere il consenso, non dando alcuna importanza al fatto se ciò su cui si ottiene il consenso è vero o falso. Socrate al contrario pensa che la finalità dell’educazione sia aiutare i giovani a scoprire la verità: l’educazione è guida alla scoperta della verità. Socrate non insegna nulla direttamente: insegna soltanto al giovane ad ascoltare in sé il maestro sia di Socrate che dei suoi discepoli: la Verità stessa.

È importante notare che Socrate è rifiutato, combattuto, non soltanto dal movimento “liberale” del suo tempo, i Sofisti, ma anche dal movimento “conservatore”, l’autorità di Atene.

Sempre, liberali e conservatori si trovano uniti contro colui che dice che vi è una distinzione essenziale fra verità e falsità, giustizia e ingiustizia e che questa distinzione non dipende dalla legge civile o dalla maggioranza.

Lo stesso conflitto d’oggi. È facile constatare che la pedagogia dei sofisti dipende interamente dalla certezza che non esiste una verità, ma che tutte le opinioni hanno lo stesso valore: è il relativismo che crea questa pedagogia dei Sofisti. La pedagogia di Socrate dipende, al contrario, dalla certezza che esiste una verità e che tutte le opinioni non hanno lo stesso valore: è la venerazione dovuta alla verità che crea la pedagogia socratica. Chi può dubitare che precisamente in questo consiste il nucleo del problema dell’educazione della gioventù europea? Educare a che cosa? Spesso, si pensa che una persona è ben educata, se e quando essa rispetta tutte le opinioni degli altri. Ciò equivale a pensare che tutte le opinioni hanno lo stesso valore, cioè il valore delle opinioni non dipende dalla loro verità.

Questa pedagogia sofista ha due conseguenze, legate fra loro. Se tutte le opinioni hanno lo stesso valore, è logico che la persona concluda che non è necessario fare un lavoro di pensiero per distinguere vero e falso. E così, si ha un progressivo rifiuto a pensare. Questo rifiuto è una vera tragedia nella vita dello spirito. Infatti, in questa situazione, si fanno le proprie scelte non in ragione delle motivazioni razionali, ma delle proprie emozioni. La persona umana diventa sempre meno libera.

Ma, c’è anche un’altra conseguenza. In un contesto di pedagogia del consenso, si va sempre verso la negazione dei diritti umani delle persone che non possono influenzare il consenso sociale, i diritti umani sono fondati sul potere.

Ho detto che soltanto attraverso l’educazione della coscienza morale si può arrivare a un tessuto sociale umano a misura dei diritti umani. Ma a che cosa l’educazione della coscienza morale deve tendere? Rispondo: non al rispetto di tutte le opinioni ma alla ricerca della verità, alla venerazione della verità trovata, alla libertà nella e attraverso la sottomissione alla verità.

Ma so che esistono molte obiezioni a questa affermazione. Cercherò ora di dimostrare la loro inconsistenza.

La prima: se in una società si nega il principio dell’uguale valore di tutte le opinioni, si arriva necessariamente a una società che distrugge la libertà. Quindi, è necessario scegliere fra verità e libertà.

La risposta. Socrate è combattuto non soltanto dai Sofisti, ma anche dall’autorità di Atene. Questa condanna Socrate, dicendo che è pericoloso per l’ordine sociale. La pedagogia del Maestro interiore va contro ogni sistema che vuole distruggere la libertà. Nessun Sofista è mai stato condannato a morte; essi non sono pericolosi per i dittatori. E infatti, ogni dittatura ha paura solo di una cosa: delle persone libere. Ma la persona è veramente libera, quando essa si riferisce a una verità e a una giustizia superiore a ogni autorità. Quindi, non bisogna scegliere fra verità e libertà, ma fra una libertà ridotta a pura emotività e una libertà razionale.

La seconda: se non si accetta il principio che tutte le opinioni hanno lo stesso valore, si arriva a imporre la propria opinione alle altre persone.

La risposta. Questo ultimo punto comprende più aspetti che bisogna distinguere attentamente. (1) Esiste un “liberalismo teoretico” che neghiamo e esiste un “liberalismo pratico” che deve essere affermato; (2) non esiste contraddizione fra la negazione di un liberalismo teoretico e l’affermazione di un liberalismo pratico; (3) al contrario, la sola possibilità reale per affermare il liberalismo pratico è la negazione del liberalismo teoretico.
(1) Il liberalismo teoretico è l’atteggiamento spirituale che nega l’esistenza della verità e/o la possibilità di conoscerla e/o l’importanza decisiva di conoscerla. Il liberalismo pratico è l’atteggiamento spirituale che rifiuta ogni forma di imposizione esteriore, ogni violenza per ottenere il consenso alla verità.
(2) Fra la negazione del liberalismo teoretico e l’affermazione del liberalismo pratico non esiste nessuna contraddizione. La conoscenza della verità è possibile soltanto attraverso un atto interiore della persona: il giudizio ragionevole. Nulla può sostituire questo atto. Il solo modo di comunicare la verità è aiutare l’intelligenza a conoscere la verità, non quello di imporre una verità conosciuta: precisamente, solo la pedagogia del Maestro interiore è praticamente liberale.
(3) Solo l’anti-liberalismo teoretico fonda un vero rispetto dei diritti umani. Per due ragioni, soprattutto.
(A) Il rispetto dovuto a ogni persona umana è una esigenza morale che non ammette eccezioni. Ma, il fondamento di questo rispetto non è il fatto che la persona conosce la verità, ma il fatto puro e semplice che essa è una persona.
(B) Il rispetto si esprime nell’amore e amare è volere il bene. Ma il bene supremo della persona è la conoscenza della verità che la rende libera. Così, il rispetto dovuto alla persona esige che io aiuti a conoscere la verità.

 

Conclusione

 

L’Europa sarà ancora capace di essere maestra di umanità? La sua radice greca ci ha insegnato la distinzione fra “episteme” e “doxa”, verità e opinione; la sua radice latina, la distinzione fra una libertà eunomica e una (pseudo)-libertà autarchica; la sua radice cristiana, l’affermazione dell’infinita dignità di ogni persona.

Saremo capaci di continuare a produrre frutti di umanità radicati in questo terreno, soltanto se noi ci libereremo da questa malattia mortale: il relativismo. Esso è semplicemente la distruzione dell’intelligenza.