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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Dignità della coscienza, Parola di Dio, Magistero della Chiesa
Portorico, settembre 1993


1.

Vorrei cominciare la mia riflessione con due piccoli racconti desunti dalla nostra vita quotidiana. Essi ci aiutano a prendere coscienza di un’esperienza mirabile e misteriosa che ciascuno di noi vive.

Primo racconto. In una società di trasporto pubblico, una mattina non si presenta uno degli autisti che dovevano fare il servizio, a causa di una malattia. Il capo-servizio a quel punto lo sostituisce con un altro, così che il servizio sia assicurato. Ora vi domando: se un fidanzato aspetta la fidanzata e questa non arriva all’appuntamento, che cosa fa il fidanzato? La sostituisce con un’altra donna?

Secondo racconto. Una giovane sposa provò una grande gioia quando si accorse che era rimasta incinta; aveva sempre desiderato diventare madre. Ma dopo i primi mesi di gravidanza, perse il bambino per aborto spontaneo. Il medico, per consolarla, colle migliori intenzioni le disse: signora, non pianga; lei è giovane, potrà avere altri bambini. La signora rimase sconvolta: “i bambini non si scambiano come le scarpe; è lui che io non avrò più”.

Dunque: il fidanzato non cambia la fidanzata con nessun altra donna del mondo; la madre sente che i bambini non sono “una serie”, ma che ciascuno vale in sé e per sé. Che cosa ci fa capire tutto questo? che la persona umana, che ogni persona umana è di un valore unico, irripetibile, infinitamente preziosa. Ogni persona umana è un universo per sé e in sé; non fa parte di una serie.

Vorrei aiutarvi a rendervi conto di questa situazione unica di ogni persona con un esempio contrario. Un giornale quotidiano viene stampato in migliaia di copie. Leggere una copia o l’altra dello stesso giornale è indifferente. Non si va da un giornalaio dicendo: di quel giornale voglio proprio quella copia e non un’altra. Sarebbe ridicolo: sono uguali. Esse infatti non sono che la riproduzione dello stesso modello; anzi non hanno altra funzione che riprodurre quel modello. Non è così della persona. Le persone non sono semplici realizzazioni della stessa natura umana. Ognuna è originale. In senso stretto non si può neppure dire: due, tre... persone. Le persone non sono numerabili, poiché ciascuna è solo se stessa.

Ma questo non è tutto. Vorrei aiutarvi a capire qualcosa d’altro ancora con qualche semplice esempio.

Perché esistono libri che pur essendo scritti tanti secoli orsono sono sempre attuali? Chi non resta profondamente coinvolto leggendo una tragedia di Sofocle oppure don Chisciotte di Cervantes? Eppure si tratta di uomini vissuti secoli orsono, in una società e in una cultura completamente diverse dalle nostre. Il fatto e che c’è una comune umanità, una comune umanità nella quale si ritrovano Edipo, don Chisciotte, ognuno di noi.

Un altro fatto. Da quando esistono, gli uomini hanno sempre discusso su ciò che è giusto e su ciò che è ingiusto, mentre non hanno mai discusso sul fatto che a uno il cibo piace salato e a un altro dolce. Esistono cioè delle conoscenze, delle verità sulle quali è possibile ragionare perché esse sono patrimonio di tutti; esistono poi i gusti sui quali è impossibile discutere, perché ciascuno ha i propri.

Concludo la mia prima riflessione. Ciascuno di noi è irripetibile, è insostituibile, è unico: è un universo. Ciascuno di noi è partecipe della stessa umanità, è all’interno di una comune umanità.

 

2.

Esiste un’esperienza nella nostra vita di ogni giorno, nella quale la persona umana sente profondamente di essere paradossalmente irripetibile, insostituibile, unica e nello stesso tempo partecipe di una umanità e di una verità avente un valore universale. È l’esperienza etica. Cercherò di descriverla con due esempi, uno di carattere storico e uno desunto dalla nostra vita quotidiana.

Tutti voi conoscete la storia di san Tommaso Moro; egli fu decapitato dal re d’Inghilterra Enrico VIII perché si rifiutò di riconoscere la sua supremazia sulla Chiesa. Fu un evento drammatico. Tutti i Vescovi (escluso uno) avevano firmato; la moglie e la figlia spingevano perché firmasse. Moro rifiutò. Perché? perché, semplicemente, egli giudicava che l’accettazione della supremazia del re sulla Chiesa era ingiusta. Riflettiamo bene. Quando tutti gli dicevano: “ma sei solo, tutti hanno firmato”, egli rispondeva: ciascuno deve decidere per se stesso. Ecco il punto. Nessuno poteva prendere il suo posto: nessuno poteva sostituirlo nel prendere questa decisione. Ma, d’altra parte, Moro era convinto che chiunque si fosse trovato al suo posto, avrebbe dovuto fare lo stesso. Moro ha vissuto nell’incrocio di una esigenza universalmente valida e di una esigenza che riguardava la sua persona, la sua irripetibile situazione.

Ho conosciuto una sposa con una gravidanza ad altissimo rischio. Essa disse al medico che se fosse stato necessario, non doveva salvare la sua vita, ma la vita del bambino. Grazie a Dio, ambedue vivono. Quando le manifestai la mia ammirazione, ella mi rispose semplicemente: “padre, qualunque madre al mio posto avrebbe fatto lo stesso”. La risposta è di una profondità sconvolgente, nella sua semplicità. Quella donna si sentì coinvolta in una esigenza propria del suo essere madre come tale, della maternità come tale: un’esigenza universalmente valida. Ma nello stesso tempo, era lei e solo lei a decidere: a lei era chiesto di disporsi al sacrificio della vita. Ancora lo stesso: l’incrocio di universalità e particolarità. Ecco, vedete, questa è l’esperienza etica: provate a osservare dentro di voi e vedrete quanto spesso nella vostra vita voi vivete questa esperienza.

 

3.

Ma dove avviene nell’uomo, in ciascuno di noi, questo incontro, questo incrocio fra un’esigenza che si presenta universalmente valida, e un’esigenza che nello stesso tempo riguarda solo la mia persona?

Avviene in due luoghi spirituali: nel giudizio della nostra coscienza morale e nella scelta della nostra libertà. Vediamo come, procedendo con ordine nella scoperta di ciò che c’è di più grande e di più bello nella nostra persona.

 

3, 1. Avviene nel giudizio della nostra coscienza

Cerchiamo prima di tutto di chiarire bene questo concetto. La coscienza è un giudizio della nostra mente mediante il quale ciascuno di noi conosce che cosa deve/non deve fare. Quando stiamo per compiere un’azione, dentro di noi non risuona forse una voce che dice: “quest’azione che stai per compiere è buona… è cattiva”? Ecco: questa voce è la nostra coscienza. Cerchiamo di analizzarla bene.

Essa dice: “questa azione”. La nostra coscienza giudica la nostra singola azione. Cioè: ciò di cui parla la coscienza non è un atto umano in generale, ma di questo atto che io sto compiendo in questa situazione unica. Non insisto ulteriormente su questo punto. Ho già parlato di questa irripetibilità della persona. Ma questo non è tutto.

La coscienza, infatti, non dice: “quest’azione che sto per compiere mi piace/non mi piace, mi è utile/mi è dannosa”. Ma dice: “...è giusta/è ingiusta”. Si tratta cioè di un giudizio morale. Per il momento non spieghiamo che cosa significhi, ma procediamo. La coscienza dice per esempio “è ingiusta perché è un furto”, oppure “...è giusta perché è un’elemosina” e così via.

Essa, la coscienza, si richiama ad una conoscenza precedente di carattere più generale, anzi universale: il furto è ingiusto; l’elemosina è buona. E se la coscienza pronuncia il suo giudizio è perché vede, in questo atto che sta per compiere, la ingiustizia del furto.

Fermiamoci a riflettere seriamente su questo punto. La coscienza è il punto di incontro di una conoscenza universale (per es. il furto è ingiusto) con una conoscenza particolare (per es. questo atto è un furto); dalla conoscenza universale e dalla conoscenza particolare scocca la scintilla che è la coscienza: “questo atto che stai per compiere è ingiusto”. Da una parte, sei tu e non un altro a essere interpellato, in questa situazione e non in un’altra, a compiere questo atto e non un altro. Dall’altra, la tua persona è illuminata da una luce che non è esclusivamente tua. È in te, ma non è tua: il furto è ingiusto. La luce ti illumina su ciò che è giusto e su ciò che è ingiusto: illumina te e ogni uomo; illumina te in quanto uomo. E questa luce non è la tua coscienza; è più che la tua coscienza; è altro che la tua coscienza. San Tommaso la chiama una partecipazione impressa nell’uomo, della Divina Sapienza stessa. Più brevemente: è la legge morale, alleanza dell’uomo colla Sapienza Divina.

 

3, 2. Avviene nella scelta della libertà

Ma c’è qualcosa nell’uomo ancora più grande della coscienza. Tutti noi, purtroppo, abbiamo la triste esperienza che noi possiamo agire contro il giudizio della nostra coscienza: la coscienza ti dice di non compiere questa azione e tu la compi ugualmente. Come si può spiegare questo evento così misterioso? Il passaggio dal giudizio della coscienza all’azione non è immediato: interviene precisamente la decisione della nostra libertà. Fare ciò che è bene è più che conoscere il bene. Ora la nostra volontà agisce sempre mossa dal bene, vero o apparente. Perché, allora, la nostra libertà rifiuta quel bene che la coscienza presenta? perché nel momento di passare all’azione, la persona giudica che il suo proprio bene non è quello presentato dalla coscienza. Dobbiamo fermarci un poco su questo punto molto importante.

Dunque, la coscienza dice: “questo atto, che stai per compiere, è un furto quindi è un male”. Ma la volontà decide di compierlo. Perché? perché precisamente è un male? no, nessuno agisce solo per il male. Perché la persona pensa: “è certo un male rubare, però per me in questa situazione è per me un bene”. Vedete: fra il giudizio della coscienza e l’atto è intervenuto un altro giudizio che è quello che di fatto dirige la nostra scelta concreta. Lo chiameremo, d’ora in poi, “giudizio di scelta”. Il giudizio della nostra coscienza e il giudizio di scelta sono molto differenti: il primo giudica un atto alla luce di ciò che è bene/male secondo la Sapienza Divina; il secondo giudica un atto alla luce di ciò che è bene/male per me, secondo i miei desideri, le mie aspirazioni, i miei affetti.

Ora, voi capite bene che il problema centrale della nostra vita è quello di far coincidere il giudizio di coscienza col giudizio di scelta. Cioè: far coincidere il mio proprio bene con ciò che è bene. La Bibbia dice: scrivere la legge di Dio (ciò che è bene) nel cuore dell’uomo (ciò che sento essere mio bene). Quando questa coincidenza accade, l’uomo fa sempre ciò che vuole facendo ciò che vuole. Questa identificazione del dovere colla spontaneità, in termini platonici dell’ethos coll’eros, è la definizione di libertà.

Vedete come nella scelta della nostra libertà si realizza quel misterioso incrocio fra un’esigenza che si presenta come universalmente valida e un’esigenza che nello stesso tempo riguarda solo me nella mia irripetibile singolarità. E si realizza in un modo anche più profondo che nella coscienza. La libertà infatti si muove verso quel bene che la persona sente, nella sua affettività, come suo proprio bene, ma nello stesso tempo la coscienza introduce la luce di un bene che vale in sé e per sé: che è il tuo bene perché è il bene.

 

4.

Dopo aver descritto quella che abbiamo chiamato esperienza etica, questo mirabile incrocio di universalità e singolarità, possiamo vedere quali errori o quali rischi la persona umana può incorrere.

Ho un amico che in gioventù ha fatto parte di un circo ed era molto esperto nel camminare su una corda, anche ad altezze molto elevate. Una volta gli chiesi come era possibile un esercizio tanto difficile e pericoloso. Egli mi rispose che la prima cosa che non bisogna mai fare è guardare in giù, da una parte o dall’altra, e tenere sempre lo sguardo fisso in avanti. Se si impara questo, non si cade più.

Lo stesso avviene nella vita spirituale. Ciascuno di noi cammina su una corda tesa sopra due abissi, a destra e a sinistra. Se uno guarda l’uno o l’altro, prima o poi si lascia prendere dalle vertigini e cade. Mi spiego, in maniera molto concreta.

Primo caso. Una persona dice: “certo, l’aborto è illecito; la contraccezione è ingiusta. Tuttavia, la mia coscienza mi dice che nella mia situazione io posso ricorrere alla contraccezione, compiere un aborto. Nel mio caso questo non è ingiusto”. Che cosa è accaduto in questa persona? Ha elevato il giudizio della sua coscienza a norma suprema del suo agire. Meglio: ha elevato la sua coscienza a fonte della giustizia. A questo spesso è mosso dalla considerazione, dice, della sua situazione concreta.

Secondo caso. Una persona dice: “che bisogno c’è di tante riflessioni, di parlare tanto della singolarità di ogni persona. Tutto è già chiaro e stabilito: si legga la Bibbia e tutto è già stato deciso per sempre”. Che cosa è accaduto in questa persona? Ha scambiato la persona umana con… una copia di giornale. Come se ci fosse uno stampo comune secondo il quale la persona è stata fatta.

Ambedue queste persone sono cadute… dalla corda, prese dalla vertigine dell’abisso della singolarità, o dall’abisso dell’universalità. Che cosa, quindi, si deve pensare? L’errore e subdolo: esso si presenta sempre mettendo avanti quella parte di verità che di solito racchiude in sé e così l’uomo viene ingannato. Vediamo allora adesso di fare una riflessione rigorosa sui due casi appena descritti. Tenendo sempre in mente la distinzione fra “giudizio di coscienza” e “giudizio di scelta”, procediamo con ordine parlando separatamente dell’uno e dell’altro.

Devo, però, prima fare una premessa importante. Esistono, come sapete, leggi morali negative e leggi morali positive. La distinzione non ha solo un ovvio significato logico, ma ha grandi conseguenze nella vita pratica. Le leggi morali negative obbligano sempre e comunque. Cioè: non è mai bene fare il male. L’obbedienza, la realizzazione di una norma morale è uguale per tutti ed è molto semplice: essa consiste semplicemente nel non-fare. “Non-uccidere” significa la stessa cosa per tutti, ieri, oggi e domani, poiché non si tratta di fare qualcosa. La cosa, al contrario, è molto più complessa per le leggi morali positive. Certo, esse sono uguali per tutti. È vero per tutti che “bisogna aiutare i poveri“. Però che cosa significa? Come si realizza questo aiuto? Voi vedete che la cosa varia molto da paese a paese, da persona a persona. Teniamo in mente questa distinzione e ora ritorniamo al nostro problema.

 

4, 1. Il giudizio di coscienza

In che cosa consiste l’errore di chi si richiama al giudizio della propria coscienza come alla suprema autorità nella propria vita? Dobbiamo rifarci, prima di rispondere, alla distinzione appena fatta fra legge morale positiva e legge morale negativa.

Caso della legge morale negativa. Il caso, concretamente, consiste nel fatto che una persona si attribuisce il diritto di agire contro una legge morale negativa, sulla base del giudizio della propria coscienza che afferma essere bene nel suo caso ciò che la legge morale dice essere cattivo in ogni caso.

Questa situazione pone gravi problemi che è necessario affrontare uno per uno.

Primo problema: esistono leggi morali negative particolari che non ammettono mai eccezioni? Si noti bene: ho detto “particolari”. Che esistono leggi morali negative generali che non ammettono eccezioni è fuori dubbio. Per esempio “non commettere ingiustizia”. Il problema è di sapere se esistano atti che in sé e per sé, prescindendo cioè sia dalle circostanze in cui sono compiuti sia dall’intenzione per cui si compiono, siano sempre e comunque ingiusti. Uno degli argomenti che si porta per attribuire alla coscienza morale del singolo l’autorità di andare contro una legge morale negativa è che queste (le leggi morali negative) non valgono sempre e comunque, ammettono delle eccezioni e che è compito precisamente della coscienza giudicare se nel proprio caso quella legge morale obblighi o non obblighi. Questo, dunque, è il problema.

Alla domanda che ci siamo sopra posti dobbiamo rispondere affermativamente: esistono leggi morali negative particolari che non ammettono mai eccezioni. Molte sono le ragioni che stanno a fondamento di questa risposta. Mi limito ad esporre solo una di esse.

La persona umana possiede una sua propria identità ontologica, una sua verità, che non è puramente formale, vuota di contenuti. L’identità della persona umana non è riducibile a ciò che storicamente essa (la persona umana) ha compreso di se stessa. La persona umana non è esclusivamente creatrice di se stessa, della sua verità. Vedremo che si deve affermare una certa auto-creazione, ma a un livello diverso e ben più profondo.

Possedendo una sua identità ontologica, nel momento in cui la sua libertà la realizza nell’atto, essa deve rispettarne le esigenze. Il che equivale a dire: esistono atti che sempre e comunque possono essere contrari alla verità della persona, possono violarne la dignità. Le leggi morali negative non fanno altro che proibire questi atti: ecco perché queste leggi non ammettono mai eccezioni.

Secondo problema: quale è il compito della coscienza nei confronti di queste leggi morali negative che non ammettono eccezioni? Si deve escludere che il compito sia quello di giudicare se la persona deve o non deve ubbidire a queste leggi. La dignità della persona, quella propria e quella altrui, esige un rispetto incondizionato e assoluto. Ora ciò che quelle leggi difendono è precisamente questa assolutezza, questa incondizionalità. Esse infatti, ci fanno conoscere l’atto che contraddice sempre la verità della persona. La coscienza deve solo farci conoscere se l’atto che stiamo per compiere è precisamente quello di cui parla la legge morale negativa.

Ma dobbiamo procedere con più calma su questo punto molto importante e decisivo, non ragionando più in astratto, ma partendo da un caso concreto.

L’atto contraccettivo è sempre e comunque ingiusto e pertanto la legge morale negativa che dice “non contra-concepire” non ammette eccezioni. Compito, quindi, della coscienza non è di giudicare se nel proprio caso sia lecito o non ricorrere alla contraccezione. Essendo sempre e comunque ingiusto, è anche ingiusto nel tuo caso.

È ovvio, ma è assai importante ricordarlo, che la persona deve sapere che cosa significa “atto contraccettivo” quando si dice che esso è sempre ingiusto. Ora, la definizione di contraccezione non è compito della coscienza morale. Si tratta di una definizione di una condotta umana, e la definizione come tale dice ciò che è la natura di ciò che si definisce e quindi, se è una buona definizione, è sempre valida. Non solo, ma la definizione, come tale non dice niente sulla qualità morale dell’atto definito. Quando io dico (definisco): l’atto contraccettivo è l’atto che, o in previsione dell’atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si propone, come scopo o come mezzo, di rendere impossibile la procreazione, mi limito a fare una descrizione. Non ho ancora detto se è giusto o ingiusto. Ecco perché non è compito della coscienza dare questa definizione.

Allora che cosa fa la coscienza se, da una parte la persona sa che la contraccezione è sempre ingiusta, dall’altra sa che l’atto che sta per compiere è un atto di contraccezione? la coscienza, per così dire, illumina questo atto con la luce di quella conoscenza universale e quindi mi fa conoscere che questo atto che sto per compiere è ingiusto. Posso spiegarmi con un esempio. Immaginiamo di trovarci in una stanza buia nella quale io so che ci sono oggetti che se sono usati sono pericolosi. Che cosa faccio prima di muovermi? accendo la luce. La luce mi fa vedere ogni singolo oggetto e così so se sono in pericolo o non, e posso muovermi. La coscienza è l’atto che fa entrare la luce nella stanza della mia vita quotidiana. Non è essa che mi fa capire se un oggetto è pericoloso o non: è la luce accesa. Essa è la via attraverso cui la conoscenza della verità sul bene e sul male illumina gli atti che sto per compiere.

Caso della legge positiva. In questo ambito il ruolo della coscienza è in un certo senso maggiore. Praticamente più difficile, è però più facile da spiegare teoricamente.

Come ho già detto, la realizzazione del bene è assai diversa da persona a persona, da situazione a situazione. Ed è mediante questa realizzazione che la persona costruisce la sua storia, poiché si diventa buoni non evitando il male semplicemente, ma facendo il bene. È la storia personale di ciascuno di noi.

E qui scopriamo l’errore di chi pensa che già tutto sia stato stabilito una volta per sempre. È l’errore di chi non percepisce la irripetibile originalità, singolarità di ogni persona. La coscienza è la luce che mi indica in concreto che cosa devo fare per essere fedele al Signore nella mia situazione.

Ho detto che si trattava di camminare su una corda tesa fra due abissi, nei quali la grandezza e la bellezza della vita cristiana naufraga. Abbiamo visto come questa “caduta”, questo “naufragio” può avvenire nel giudizio della coscienza.

In sintesi, si sbaglia profondamente sia ritenendo che la coscienza debba solo applicare materialmente le norme morali già fissate per sempre. Questa posizione erra nella visione della persona umana. Questa non è la mera riproduzione moltiplicata di uno stesso modello di umanità. Ogni persona umana è assolutamente unica: non esiste la serie delle persone umane.

E si sbaglia profondamente ritenendo che sia la coscienza a stabilire ultimamente ciò che è bene e ciò che è male. Questa posizione erra nella visione dell’uomo. La persona umana scopre infatti “nell’intimo della coscienza… una legge che non è lui a darsi, ma alla quale deve obbedire” (GS 16). Negare che la coscienza sia inabitata da una presenza che la trascende perché la costituisce, è negare la verità più profonda dell’uomo.

Dal rifiuto di questi due errori comincia ad apparire la verità. Ma dobbiamo ancora, prima, vedere come questi due errori possono annidarsi nel giudizio di scelta.

 

4, 2. Il giudizio di scelta

È molto importante che noi prendiamo coscienza che questo atto, la scelta e il giudizio che essa implica, è il vertice della nostra vita spirituale. Il momento più importante nella nostra vita non è la coscienza ma è la scelta libera. Non esiste nella creazione un evento più grande, più prezioso di un atto libero. Ora quei due errori di cui parlavo prima distruggono semplicemente la libertà dell’uomo. Vediamo come e perché.

a) L’errore fondamentalista. Uno dei più grandi geni del cristianesimo, san Gregorio di Nissa, ha scritto che l’uomo colle sue scelte genera se stesso, diviene come genitore di se stesso. L’affermazione è profonda.

La persona umana, infatti, non è perfetta, ma si perfeziona; non è realizzata, ma si realizza; non è compiuta, ma si compie. Come? mediante e nel suo agire libero. Ciò che nella persona esiste solo potenzialmente, diviene attuale nella scelta libera.

Per capire questo punto, il più misterioso nella nostra vita, possiamo servirci di un esempio. Noi tutti ammiriamo la “sapienza” (diciamo) con cui le api lavorano, producono il miele e sono organizzate. Noi tutti ammiriamo la “sapienza” (diciamo) con cui gli uccelli costruiscono i loro nidi. Tuttavia, la nostra ammirazione comincia a diminuire quando osserviamo che le api, gli uccelli fanno sempre le stesse cose: “sempre”-“lo stesso”. Che cosa significa questa immutabile ripetizione? che gli animali agiscono secondo un istinto di natura. Essi più che “dirigere se stessi”, sono diretti dalla loro natura stessa: donde questa regolarità. Ed è per questo che, come già osservava Aristotele, gli animali, a differenza dell’uomo, già poco dopo la loro nascita sono auto-sufficienti: non hanno bisogno di essere educati. L’assenza della libertà genera in loro un modo di agire che è comune a tutti gli animali della stessa specie.

Non è così nell’uomo. Egli non è solo diretto dagli istinti della natura. Egli dirige se stesso: è causa del suo agire. E ne è quindi responsabile. Solo chi non ha mai visto la libertà può cadere nell’errore fondamentalista, oppure chi, pur avendola vista, non ne ha vista l’infinita bellezza e preziosità. Scrive J. Maritain: “Lo stesso problema non appare mai due volte nel mondo. Assolutamente parlando, in senso rigoroso non esiste precedente. Ogni volta, io mi trovo in una situazione che esige da me che io faccia qualcosa di nuovo, che compia un atto che è unico nel mondo”.

L’uomo vive un’esperienza, la più grande che gli sia consentito di vivere, nella quale la rivelazione della sua libertà è sfolgorante: l’esperienza dell’amore. Se ti si chiede di dire perché ami quella persona, in fondo tu puoi solo rispondere: “perché ho deciso di amarla”. Amore e libertà abitano l’uno nell’altro. Ed è per questo che solitamente la visione fondamentalista è una visione in cui l’amore non sta al centro, perché al centro non sta la libertà.

b) L’errore autonomista. Se l’errore fondamentalista consiste semplicemente nel non vedere che cosa è la libertà, l’errore di chi afferma un’autonomia esasperata dell’uomo è di credere di esaltare la libertà sradicandola dalla verità. Il punto è sottile e importante.

Abbiamo già visto quale è l’essenza di questo errore: ritenere che sia l’uomo a decidere, in ultima analisi, ciò che è bene e ciò che è male per lui. Ora in questa prospettiva, la libertà diventa comica: perde ogni serietà.

Ricordate forse una pagina stupenda di Don Chisciotte. Sancho Panza aveva compiuto un’azione riprovevole. Il suo padrone lo rimprovera e Sancho riconosce il suo errore. Ma quando si tratta di subire la giusta punizione, Sancho dice: “padrone, mi percuoto da solo”. Kierkegaard fa un commento stupendo a questa pagina. Chiede: credete voi che i colpi di frusta che Sancho si dà da solo siano stati molto forti? non credo dal momento che la stessa persona è colpita e colpisce.

Che cosa, vi chiederete, questo racconto ha a che fare con il nostro problema? Se la mia libertà non è abitata da una esigenza che la precede e che non è essa a porre, è del tutto indifferente fare una scelta piuttosto che un’altra. Cioè: tutto ed il contrario di tutto è lo stesso. Ciò che è differente è indifferente. Niente vale la pena. È la libertà che diventa noia e disperazione. E anche si perde il senso di ogni responsabilità. Responsabilità verso chi, se la mia libertà è l’assoluto primo?

Ho terminato questo lungo quarto punto della mia riflessione. Che cosa abbiamo detto? Abbiamo detto che
• sia il giudizio di coscienza sia il giudizio di scelta è il mirabile incontro fra l’assoluta singolarità della persona e un ordine dell’essere che chiama ogni persona come tale;
• sia il giudizio di coscienza sia il giudizio di scelta sono distrutti nella loro dignità o quando viene negata l’irripetibile originalità di ogni persona umana, come fa l’errore fondamentalista, o quando viene negato che esiste una verità e un ordine che precede la singola persona e che in essa dimora, come fa l’errore autonomista.

Attraverso questo lungo cammino siamo finalmente arrivati a situare la coscienza morale e la libertà umana, in una parola la persona umana in ciò che ha di più grande, nella loro casa: la Santa Chiesa Cattolica. A questo punto dedicherò la mia riflessione al quinto e ultimo punto.

 

5.

Comincio ancora una volta con un racconto desunto dalla tradizione cattolica. Una volta, un Re diede a due sudditi in regalo un pugno di semi e se ne partì. Il primo nascose il seme in un luogo ben sicuro, asciutto. perché non si consumasse. Il secondo lo seminò e preparò il pane col frumento nato. Ritornò il Re e chiese a ciascuno dei due di essere invitato a mangiare alla loro tavola. Il primo, molto addolorato, rispose che non era possibile perché non aveva seminato, ma aveva solo conservato il seme. Il secondo rispose che se il Re voleva, poteva sedersi alla sua tavola e mangiare il pane prodotto col seme piantato. E il Re andò e cenò con lui.

Il Signore ha deposto nel cuore e nella mente dei suoi Apostoli la Rivelazione della Misericordia del Padre, del suo Amore verso gli uomini. Che cosa anno fatto gli Apostoli? Hanno nascosto questa Rivelazione per conservarla intatta, perché non si corrompesse? L’hanno seminata nel cuore degli uomini e quando questi offrivano la loro disponibile obbedienza, quel seme — cioè la Rivelazione — è nato, ha dato i suoi frutti. Cioè, fuori dall’immagine, la predicazione Apostolica (consegnata ora alla Sacra Scrittura) ha generato la Tradizione della Chiesa, che altro non è se non la stessa Sacra Scrittura meditata e vissuta. Siamo di fronte a qualcosa di mirabile.

Se uno chiedesse: è lo stesso il seme e la pianta? Certamente, ma nel senso che la pianta è il seme pienamente sviluppato e nel senso che la pianta non ha potuto diventare se non ciò che era già inscritto nel seme. È una identità nello sviluppo: è uno sviluppo nella identità. Così è della Sacra Scrittura e della tradizione vivente della Chiesa.

Ma che cosa assicura questa identità nello sviluppo e questo sviluppo nell’identità? Non la abilità degli uomini. Nessuna istituzione umana ha mai potuto durare duemila anni.

Nella Chiesa è sempre presente ciò di cui parla la Rivelazione, o meglio, alla Chiesa è sempre dato di essere presente a quel Fatto di cui parla la Rivelazione. Mediante, infatti, l’Eucaristia la Chiesa vive realmente oggi ciò di cui parla la Rivelazione: celebrando l’Eucaristia, la Chiesa può capire la Rivelazione, come quando uno che sta vivendo un’esperienza di amore può capire profondamente ciò che si scrive sull’amore.

Ho detto “può capire”. Ma chi lo introduce nella verità della Rivelazione? È lo Spirito Santo, che è donato a ogni credente perché ogni credente possa conoscere l’infinita Misericordia del Padre. Così esistono i fedeli che nella loro vita vivono la loro fede; esistono i profeti che hanno una forza unica di richiamo alla verità di Dio; esistono i teologi che mettono tutta la loro intelligenza al servizio della fede. “Così la Chiesa nel corso dei secoli tende incessantemente alla pienezza della verità divina, finché in essa vengano a compimento le parole di Dio” (DV 8).

In questa incessante tensione la Chiesa è guidata dal Papa e dai Vescovi, la cui autorità è esercitata nel nome di Gesù. Il loro ufficio è di interpretare autenticamente la parola di Dio; essi sono chiamati a custodirla santamente e a esporla fedelmente.

Ho descritto brevemente la casa dove dimora la coscienza e la libertà del cristiano, la santa Chiesa.

In che senso la Chiesa è la dimora della coscienza e della libertà? Prima di rispondere, devo richiamare la verità centrale nella visione cristiana dell’uomo.

La persona umana, ogni persona umana, è creata in Cristo. Che cosa significa? La persona umana non è una necessità per Dio; eppure, per un’insondabile decisione del suo Amore assolutamente libero, Egli vuole l’uomo. Vuole aprire la Sua Vita, la Sua Libertà, la Sua Eternità la Sua Gioia all’ingresso dell’uomo: vuole renderlo partecipe. Ora, quale è il tipo di uomo che Dio ha scelto, ha deciso di volere? Quando nella mente divina, per così dire sorge il “progetto di uomo” che intende creare, questo uomo è il Suo figlio: il Suo figlio incarnato e risorto da morte. Questo è l’uomo. L’uomo voluto da Dio è Gesù Cristo e in Lui, solamente in Lui, ciascuno di noi è stato voluto, pensato, creato. Siamo stati chiamati a essere in Lui come Lui. Il Cristo è la Verità, l’identità di ogni uomo. Vi ricordate che parlavo di un’identità ontologica dell’uomo? essa è Gesù Cristo. Il che vuol dire che Cristo è il modello unico e assoluto di ogni persona umana, colui in conformità al quale ciascuno di noi deve realizzarsi se non vuole fallire.

Fatta questa premessa fondamentale, ora possiamo capire perché la Chiesa è la dimora della coscienza e della libertà del cristiano.

Il cristiano è colui che nella fede ha accolto l’originario progetto di Dio sull’uomo, ne è reso partecipe attraverso la celebrazione dell’Eucaristia e lo realizza nella sua storia quotidiana. Come abbiamo già lungamente spiegato, è all’interno di questa realizzazione che ci si colloca quando si parla di coscienza e di libertà.

La presenza di Cristo è la Chiesa ed è nella Chiesa che noi possiamo “imparare il Cristo”.

Nei confronti della coscienza, la Chiesa ci illumina continuamente su quelle che sono le esigenze che scaturiscono dal nostro essere in Cristo. In questo modo la coscienza possiede la luce che le consente di discernere ciò che è bene/ciò che è male. Dopo tutto quanto abbiamo detto, è semplicemente impensabile sia che la Chiesa, una qualsiasi autorità nella Chiesa, possa sostituirsi al giudizio della coscienza, sia che la coscienza del cristiano possa contrapporsi alla Chiesa. È impensabile la prima ipotesi. Abbiamo visto che la coscienza è il giudice dell’atto concreto che la persona nella sua particolare situazione sta per compiere. Ora, come è possibile che in questa posizione possa collocarsi uno che non sia il soggetto stesso che sta per agire?

È impensabile la seconda ipotesi. È nella Chiesa che la coscienza riceve la verità che è Cristo. Volersi contrapporre alla Chiesa ha lo stesso significato che se un albero volesse sradicarsi dal terreno… per vivere. È la Chiesa che nutre la coscienza.

 

Concludo. Un Rabbi vissuto prima di Gesù disse che tutto l’universo si regge su tre colonne: il dono della Legge fatto a Mosè, il culto divino nel Tempio, le opere di misericordia. La riflessione e profonda.

Nel prologo al quarto Vangelo, Giovanni scrive che la legge ci è stata data per mezzo di Mosè, ma che la grazia della verità è accaduta per mezzo di Gesù Cristo.

Quando Cristo morì Egli disse: tutto è stato portato a compimento, alla perfezione. Ed effuse il Suo Spirito perché gli uomini potessero amarsi come Egli ci ha amato.

Il vecchio Rabbi aveva visto bene. L’universo dell’essere si fonda su tre colonne: la grazia della verità che è stata deposta, mediante la predicazione apostolica, nella Chiesa; la celebrazione eucaristica del Sacrificio di Cristo; la comunione nel vincolo della fraternità.

È la Chiesa nel suo mistero più profondo. Dentro questa dimora ciascuno di noi abita e vive. Colla sua coscienza e colla sua libertà, nella sua infinita preziosità.