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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Problemi di deontologia medica
V Seminario Internazionale sul Controllo della Fecondità
Genova, 1-3 marzo 1984

 

La Chiesa Cattolica è entrata molto spesso nella trattazione di vari problemi di deontologia medica (aborto, contraccezione, eutanasia...), specialmente in questo secolo.

Non è compito del presente studio di esporre il contenuto e le ragioni di questi interventi particolari, cosa che verrà compiuta in capitoli successivi a questo. Ci proponiamo di esporre, invece le ragioni ultime e comuni di e ad ogni intervento e i criteri generali che li ispira tutti, pur nella diversità dei temi trattati.

 

1.- LE RAGIONI DELL’INTERVENTO

 

Per poter capire quanto la Chiesa Cattolica è andata insegnando, è necessario cogliere la prospettiva generale di questo insegnamento. Questa prospettiva è costituita da una precisa visione della persona umana, da una dottrina antropologica.

 

1.1.- Questa visione cattolica dell’uomo si caratterizza, innanzi tutto, per una forte affermazione dell’unità della persona umana. Unità sia orizzontale, sia verticale, se così possiamo dire: unità, comunque, da un duplice punto di vista.

La persona umana è internamente una, nel senso che le varie dimensioni, di cui essa si compone e di cui la coscienza che ciascuno di noi ha di se stesso è testimone, sono profondamente unite al punto che formano un soggetto uno, pur sussistente in una pluralità di elementi. La dimensione fisica o corporea, la dimensione psichica, la dimensione spirituale non sono come tanti addendi la cui somma totale è la singola e concreta persona umana. Esse nel loro insieme costituiscono e sono questa concreta persona umana che è ciascuno di noi, che è ciascun uomo che noi incontriamo. La conseguenza immediata è che, dal punto di vista della Chiesa Cattolica, fra persona e corpo non si dà un rapporto di “avere”, ma di “essere”: la persona umana non ha un corpo, ma è anche il suo corpo. La conseguenza è, ancora, che qualsiasi azione che abbia come suo termine una qualsiasi dimensione della persona umana, in realtà ha come termine la persona stessa: non si guarisce il corpo, ma in realtà si guarisce una persona umana. Non è con un organismo vivente anonimo che la medicina ha a che fare: è con la persona.

Nell’affermare questa unità della persona umana, la Chiesa Cattolica non intende essere fedele solo ad una verità rivelata sull’uomo, cui essa si sente in ogni caso obbligata. Essa è anche consapevole di essere fedele interprete dell’esperienza che ogni uomo fa di se stesso, di aiutare ogni uomo — credente o non — ad essere vero verso se stesso. Sarà sufficiente solo qualche accenno. Ogni nostra conoscenza, anche la più spirituale, passa sempre attraverso l’esperienza sensibile; anche l’atto di adorazione di Dio, presso ogni religione, si esprime sempre in gesti corporali, in riti che simbolicamente esprimono l’essere della persona umana come tale davanti al Mistero di Dio. Ed ancora: l’esperienza estetica, l’esperienza del bello, sarebbe incomprensibile senza questa unità della persona umana.

Ma la dottrina della Chiesa Cattolica parte dall’affermazione dell’unità della persona umana, considerata anche da un altro punto di vista non meno importante.

È stato Blaise Pascal a scrivere che “l’uomo supera infinitamente l’uomo” e che “l’ultimo atto della ragione è di ammettere un aldilà della ragione”. Si dà nell’uomo, in ogni uomo, una relazione a Dio che è inscritta nel suo stesso essere persona. Non si tratta di una dimensione, quella di cui stiamo parlando, accidentale all’uomo, ma di una relazione costitutiva del suo essere stesso. Questa relazione è di origine e di fine. È di origine: ogni e singola persona è stata creata da Dio; è di fine: ogni e singola persona è destinata, è finalizzata immediatamente e direttamente a Dio. In ragione di questo rapporto del tutto singolare di ogni uomo con Dio, ogni uomo gode di una preziosità correlativamente singolare: ogni e singola persona ha un valore assoluto ed incondizionato. Assoluto: non in relazione a qualcosa d’altro; incondizionato: non “a condizione che” (sia già nato, sia bianco....), ma la sola e sufficiente condizione è la sua umanità.

Ogni persona umana non ha prezzo, perché ha una dignità.

La conseguenza è che qualunque rapporto con la persona umana, che qualunque intervento che abbia come suo termine la persona umana deve essere adeguato alla sua realtà, misurato dalla sua dignità.

È a questo punto che possiamo individuare la prima e più importante ragione per cui la Chiesa entra nell’ambito della prassi medica: è una ragione esclusivamente etica. Ciò che la Chiesa si propone è l’adeguazione della medicina alla verità-dignità del la persona umana, è che la “misura” o il criterio ultimo della prassi medica sia la verità- dignità della persona umana: sia — in una parola — il bene della stessa persona umana. Ma “bene della persona umana” ha, in questo contesto, un significato molto preciso. Non è ciò che, di volta in volta, si decide — da parte dell’uno o dell’altro — che sia il bene della persona umana, secondo criteri storicamente condizionati. Il “bene della persona umana” è precisamente e semplicemente il suo stesso essere persona, nella sua totalità unificata: il suo essere persona da difendere e promuovere, nel modo proprio alla medicina, come vedremo più avanti. Questo modo di considerare l’esercizio della medicina presuppone ed implica un sapere che non è lo stesso del sapere scientifico (come è inteso oggi comunemente). È un sapere che ha per oggetto la verità della persona umana non come essa si dà a conoscere e come quella che si dà a conoscere nella messa in atto della metodologia scientifica strettamente intesa. È la verità che si dà a conoscere nell’esperienza etica, nell’esperienza dei valori etici, di quei valori che valgono assolutamente ed incondizionatamente e che sono assolutamente ed incondizionatamente necessari per la realizzazione della persona umana come tale (1).

D’altra parte, questi due modi — quello scientifico, quello etico — di sapere la verità dell’uomo, devono (e non possono non) incontrarsi. Sia perché si tratta in ambedue i casi di un sapere pratico: e la medicina e l’etica vogliono conoscere la verità del l’uomo in quanto verità che dà possibilità di intervenire sull’uomo in ordine al raggiungimento di un obiettivo, la salute, nel caso del la medicina; in quanto verità che interpella la libertà perché realizzi un’esistenza veramente umana, nel caso dell’etica. Sia perché — e di conseguenza — avendo e la medicina e l’etica lo stesso termine, la persona umana, si incontrano proprio nella loro intenzionalità intima.

 

1.2.- Siamo così arrivati ad una seconda fondamentale caratterizzazione della visione dell’uomo, che costituisce la prospettiva fondamentale degli interventi della Chiesa Cattolica. Essa riguarda la cultura, la concezione della cultura.

Il nostro riferirci, a questo punto, alla concezione cattolica della cultura non deve sembrare estraneo al nostro tema: per una serie di motivi che non è qui il caso di esporre. Sarà sufficiente un solo richiamo. La cultura ha sempre una connotazione sociale, dal momento che essa non è mai opera di un solo uomo. Essa nasce e cresce per la cooperazione di molte persone umane. E in un tempo nel quale l’esercizio della medicina ha cessato di essere limitato al rapporto esclusivo medico-paziente, per diventare anche un esercizio pubblicamente-socialmente rilevante, è di fondamentale importanza riprendere la riflessione sulla cultura anche nel nostro contesto.

Che cos’è, dunque, la cultura? è ciò mediante cui la persona umana accede sempre più profondamente alla verità della sua umanità, diviene sempre più umana. Data la pluridimensionalità della persona umana, anche la cultura implica una molteplicità di ambiti e una pluralità di espressioni che la costituiscono. Ma, data l’unità interiore della persona umana, ogni cultura, per essere vera, deve essere interiormente unificata. Si dà — certamente — una tensione permanente fra questi due poli, fra il polo della molteplicità (della specializzazione, si preferisce oggi dire) ed il polo della unità: tensione che è sempre stata presente in ogni cultura e diversamente risolta. Sembra, però, convergente ed universalmente consentito il giudizio secondo cui nella cultura occidentale di oggi, l’esigenza culturale primaria sia quella dell’unificazione. Nessuno, d’altra parte si nasconde il rischio insito nel dare risposta a questa esigenza. Il rischio è il seguente. La “categoria unificante” deve essere, al contempo, e universale (non riduttiva della verità dell’uomo) e immanente, per sua stessa natura, ad ogni espressione culturale. Non dotata di universalità, la categoria unificante riduce la pluridimensionalità della cultura ad unidimensionalità dentro la quale la persona è soffocata (2); non dotata di immanenza, la sintesi operata è solo astratta o non rispettosa del “proprium” di ogni espressione culturale. Il tentativo, per esempio, di operare una unità culturale attorno alla dimensione politica è un’operazione culturale fallace e disumana, dal momento che la dimensione politica non è né quella più comprensiva né quella implicata interiormente in ogni espressione dell’umano.

Alla luce di queste considerazioni, si comprende la vera natura degli interventi della Chiesa Cattolica nell’ambito della medicina: essi procedono nel senso di una unificazione della medicina, del suo esercizio più precisamente, con l’etica. Per capire questo punto è assolutamente necessario che rifiutiamo tutti gli “idola fori”, direbbe Bacone, che hanno oscurato il vero concetto di etica. Non è il caso di richiamarli (confusione fra etica e moralismo, fra norma morale e repressione o rimozione e così via) (3). L’etica è — come abbiamo detto — il sapere la verità della umanità dell’uomo, lo svelamento del senso ultimo della persona umana, in quanto verità e senso che esigono assolutamente ed incondizionatamente di essere realizzati e accolti dalla libertà dell’uomo.

Da ciò derivano le caratteristiche di questa unità tra etica ed esercizio della medicina. Non si tratta di una unità di confusione: né la medicina, in quanto tale, si fonda sull’etica, né l’etica, in quanto tale, si fonda sulle scienze. Le scienze — di cui l’esercizio della medicina fa un uso continuo (chimica, biologia, fisica...) — hanno un loro metodo proprio ed un proprio criterio veritativo, così come l’etica ha un suo metodo proprio ed un proprio criterio veritativo. Tuttavia, data la natura e l’oggetto proprio dell’etica, essa è in grado e di salvare la legittima autonomia dell’esercizio della medicina e di esigere che questo stesso esercizio sia regolato come tale, dalle norme etiche. 

Infatti, ciò che la medicina intende — il suo oggetto proprio — è la difesa e la promozione di un bene umano, la salute della persona (qualunque sia la definizione di salute che si dà): è questo il suo ambito proprio e specifico; l’uso di ogni sapere scientifico, cui ricorre, è sempre in vista di questo specifico obiettivo. Ma, ciò che la medicina non sa, né può sapere, è ciò che potremmo chiamare “la collocazione” di questo bene particolare in quel tutto-unificato che è la persona umana: dove si colloca questo bene nella struttura obiettiva ed intera della persona umana come tale. Troviamo qui la miseria e la grandezza di ogni scienza, nella precisa accezione dato a questo termine con e dopo Galileo: il suo incentrarsi su un ambito particolare e ben specifico della realtà con la esclusione, quanto meno metodologica, di ogni altro. Questa è la causa della sua grandezza: questa scelta metodologica fondamentale è stata altamente feconda di risultati. Questa è la causa della sua miseria: la difficoltà di porsi come momento di un intero, di un tutto, tentata continuamente di trasformare una scelta metodologica in un giudizio riguardante la realtà. Ora il sapere etico è il sapere che può legittimamente integrare l’esercizio della medicina in quanto è il sapere che svela quella struttura obiettiva ed intera della persona umana di cui ho parlato poc’anzi. Non solo può, ma deve: il bene della salute è un bene della persona, è uno dei beni della persona. La verità etica consente di stabilire la topografia di ogni bene dell’uomo in quanto dell’uomo, in quanto esigito dalla dignità dell’uomo (4).

A questo punto possiamo scoprire la seconda fondamentale ragione d’essere dell’intervento della Chiesa Cattolica nell’ambito dell’esercizio della medicina: insegnare il modo con cui esso deve essere regolato dall’etica. Ciò equivale a dire: insegnare il modo in cui l’esercizio della medicina diviene, nella forma sua propria, un servizio reso alla persona umana perché essa possa realizzarsi nella dignità del suo essere personale. E nello stesso tempo contribuire alla costruzione di una vera cultura della persona.

 

1.3.- Una delle caratteristiche fondamentali dell’odierno esercizio della medicina è che in esso è entrata l’autorità politica sia nazionale sia sovranazionale. La giustificazione di questo ingresso è comunemente individuata e fondata nel concetto di un diritto di ogni persona alla salute: un diritto costituzionalmente fondato e pertanto esigitivo di un preciso intervento legislativo ed amministrativo da parte del Parlamento e del Governo. Penso che questo sia un fatto nuovo nella storia del la medicina e sul quale occorra riflettere seriamente.

È necessario, innanzi tutto, precisare il contesto entro cui questa riflessione si svolge per cogliere il senso e capire il contenuto di ciò che verremo dicendo.

Questo contesto è costituito dal modo con cui la dottrina cattolica pensa, in linea generale e fondamentale, il rapporto fra il politico e il non-politico.

Il pensiero cattolico è alieno sia dalla considerazione della politica come della dimensione fondamentale e totalizzante dell’esistenza umana sia dalla riduzione della politica a mera tecnica organizzativa del sociale. Respingendo la prima considerazione, la Chiesa Cattolica difende la priorità assiologica della persona umana come tale e una visione articolata e pluralistica della società. Respingendo la seconda considerazione, la Chiesa Cattolica pensa l’attività politica non in termini di esercizio di un potere, sia pure della legge, ma di un servizio di difesa e promozione dei valori della persona e delle comunità in cui essa è naturalmente o liberamente inserita (5).

Alla base di questo duplice rifiuto stanno alcuni presupposti che giova brevemente richiamare.

Il primo. Il rapporto sociale — dal più breve, la società coniugale, al più esteso, la società internazionale — possiede una sua verità propria, intrinseca: è rapporto fra persone umane; ed una sua norma fondamentale: la persona umana deve essere affermata per se stessa (6). Da ciò deriva che i rapporti sociali non sono materiale informe che solo nel momento politico riceve la sua forma propria. Essi posseggono una loro specifica verità fondata sulla verità della persona che l’organizzazione politica non solo deve rispettare, ma promuovere. Questo principio è sancito nelle nostre Carte Costituzionali.

Il secondo. Il sociale, nel suo complesso, è una realtà articolata nella quale le singole comunità non sono da considerarsi come parti integrali di un tutto, ma nella quale queste medesime posseggono una loro propria autonomia. Il sociale è essenzialmente pluralistico.

Il terzo. La regolamentazione fondamentale dei rapporti tra le varie comunità in cui si articola il sociale è data dal principio di sussidiarietà: la comunità superiore non deve sostituirsi a quella inferiore se non quando questa risulta inadempiente, ma deve positivamente aiutarla a raggiungere i suoi obiettivi.

In sostanza: si tratta di una visione personalistica e pluralistica del sociale umano.

All’interno di questa visione, che è sempre presupposta, ritorniamo ora al tema dell’esercizio della medicina in quanto esercizio socialmente rilevante.

Questo esercizio, prima e al di sopra di ogni organizzazione, è costituito dai rapporti personali che si istituiscono tra il malato, da una parte, e chi — in qualche modo — è impegnato per la sua salute, anche nel senso della prevenzione della malattia. Questi rapporti posseggono una loro verità ed un loro significato intrinseco che ogni organizzazione pubblica deve rispettare e promuovere e non deve mutare. Per brevità, potremmo chiamare questa verità e questo significato la dimensione soggettiva dell’esercizio della medicina. Cerchiamo ora di descriverla.

La dimensione soggettiva consiste, essenzialmente, nella affermazione che il termine di tutta l’attività sanitaria è la persona umana in quanto attualmente e/o potenzialmente ammalata, che in quanto persona umana esige di essere presa in considerazione, di essere riconosciuta. Tutta l’attività sanitaria è finalizzata a questo.

In ragione di questo fondamentale punto di partenza, si definiscono e si strutturano tutte le professioni sanitarie, in primo luogo quella del medico: esse sono al servizio della persona ammalata, con un servizio che nasce dalla scienza e coscienza di chi lo esercita. Così, strutturalmente — da quando esiste — la medicina è per la vita, non per la morte. Una legislazione che non riconoscesse questa essenziale dimensione soggettiva, che non riconoscesse e la priorità della persona ammalata e la natura propria ed autonoma delle professioni sanitarie sarebbe ingiusta: non dipende dal politico la definizione della medicina.

In questo contesto è corretto parlare di diritti del malato, di esigenze, cioè, incondizionate che scaturiscono dal suo essere personale, dalla verità e dignità propria della persona che non è in potere delle leggi di determinare. È corretto parlare di diritti di chi esercita la professione sanitaria, ma subordinatamente e al diritto dell’ammalato e ai doveri professionali: diritto ad avere ciò che è richiesto per il compimento del proprio dovere verso l’ammalato.

Esiste, tuttavia, una — potremmo chiamarla — dimensione oggettiva dell’esercizio della medicina. Essa consiste in tutto quel complesso organizzativo-istituzionale esigito oggi dalla rilevanza sociale del problema della salute. Essa si giustifica quando è in funzione della dimensione soggettiva. Quando l’ammalato e chi lavora al suo servizio sono solamente un elemento di questa complessa organizzazione che, di fatto, è fine a se stessa o si propone, di fatto, altri fini che la persona dell’ammalato, siamo nel disordine etico. La sostanza etica dell’impegno pubblico per la salute è distrutto.

A questo punto possiamo scoprire la terza (e ultima) fondamentale ragione dell’intervento della Chiesa Cattolica nell’ambito dell’esercizio della medicina: assicurare che nella socializzazione del problema della salute sia fatta salva la preminenza del la dimensione soggettiva sulla dimensione oggettiva.

 

2. - I CRITERI GENERALI

 

Viste quali sono le ragioni profonde, dobbiamo ora individuare i criteri fondamentali che ispirano e fondano i contenuti dei singoli interventi. Essi possono essere individuati in stretta correlazione con la riflessione precedente.

 

2.1. - Il criterio primo, di cui tutti i seguenti non sono che esplicitazioni, è costituito dall’affermazione che ogni persona umana deve essere affermata per se stessa. Il contenuto di questo criterio, data la sua sinteticità, va rigorosamente analizzato.

Esso, innanzi tutto, si fonda sul giudizio che la persona umana, ogni persona umana, è una realtà dotata di una tale preziosità da possedere in se stessa un valore letteralmente incalcolabile, da non avere prezzo. Tale preziosità è intrinseca al suo stesso essere persona: non le deriva dal fatto che le sia o non riconosciuta. Questa preziosità unica, singolare, può essere ignorata o negata: ma essa permane perché non è altro che il suo stesso essere persona. Nella visione cristiana non si tratta di un postulato non giustificato o non giustificabile. Questa preziosità è fondata, ultimamente, sul rapporto che ogni persona ha con Dio per il solo e semplice fatto di essere una persona umana.

La conseguenza immediata è che l’unico modo giusto, cioè adeguato, di rapportarsi ad una persona umana è quello commisurato alla/dalla sua obiettiva preziosità o valore. La formulazione del primo criterio esprime, precisamente, l’unico modo vero, adeguato di questo rapporto: quello che afferma la persona per se stessa.

La modalità di questa affermazione della persona è espressa da “per se stessa”. ”Per se stessa” significa due cose. Primo. Essendo la persona umana la realtà più preziosa nell’universo creato, essa non può essere subordinata al raggiungimento di altri scopi diversi dal suo essere personale: ha, cioè, un valore assoluto. Per lo stesso motivo, il valore della persona non è determinato da nessuna condizione; essa non vale “a condizione che...”: ha, cioè, un valore incondizionato. Alla luce di questo primo significato si comprende la condanna etica ed il rifiuto, da parte della Chiesa Cattolica, dell’aborto, di ogni forma di razzismo e così via. Secondo. La persona umana deve essere affermata non astrattamente, ma nella sua concreta realtà di persona umana, nella sua realtà obiettiva, secondo la sua struttura ontologica: il bene della persona umana è il suo stesso essere personale nella sua uni-totalità. Il fondamento, pertanto, la ragione ultima di questo modo di affermare la persona non è il consenso sociale su di esso o la coscienza che si ha del valore della persona o norme giuridiche che esigono che così la persona sia considerata. Il fondamento è lo stesso essere della persona che permane nel suo valore assoluto ed incondizionato, prima di ogni coscienza dello stesso o riconoscimento giuridico.

 

2.2. - La conseguenza immediata, o meglio, la prima esplicitazione di questo fondamentale criterio è il secondo criterio fondamentale. La percezione del valore della persona, con la quale ogni uomo entra nel mondo dell’etica, che costituisce la nascita della coscienza morale in ogni uomo, non è una forma vuota, una sorta di “a priori” inscritto nella nostra intelligenza. Essa nasce dall’incontro, dalla conoscenza della persona umana concreta che incontro: è la percezione dell’essere personale nella sua oggettiva realtà. Da ciò deriva che ogni dimensione costitutiva della persona umana partecipa dello stesso valore della persona: non è che il valore della persona sia esclusivamente proprio di una parte, per così dire, della persona. È la persona umana nella sua totalità che è il valore assoluto ed incondizionato. Pertanto, come la luce bianca si esprime nei vari colori dell’iride, così il valore della persona si esprime nei vari valori corrispondenti alle varie dimensioni dell’essere personale (la sua corporeità, la sua sessualità, la sua libertà...). La conoscenza di questi valori è espressa attraverso le norme morali. Esse sono, essenzialmente, l’affermazione (o in forma negativa: norme morali negative; o in forma positiva: norme morali affermative) del valore propriamente umano, cioè assoluto ed incondizionato, di ogni dimensione costitutiva della persona umana, del modo con cui esige, in quanto umana, di essere realizzata. Da ciò deriva che queste norme morali obbligano ogni uomo verso se stesso e verso l’altro in modo incondizionato ed assoluto. Con questa necessaria precisazione: le norme negative, in quanto esprimono quella fattispecie di comportamento che non afferma la persona per se stessa, non ammettono eccezione. L’eccezione equivale, infatti, a dire che non sempre e non comunque ogni persona umana deve essere affermata per se stessa (7).

Il secondo criterio generale e fondamentale può essere ora pienamente e chiaramente individuato. La Chiesa Cattolica interviene nel campo dell’esercizio della medicina perché ritiene che la difesa delle norme morali in esso coinvolte sia la base fondamentale per la difesa di ogni persona che vi prende parte.

 

2.3. - Alla luce di questi due criteri generali, comprendiamo la vera portata del terzo criterio generale: il criterio dei diritti della persona umana. I diritti sono categorie etiche, non prima di tutto giuridiche. Essi, infatti, sono esigenze della persona umana come tale, fondate sulla sua verità di persona umana: esigenze ad essere considerata, trattata come tale; esigenze, quindi, ai beni che realizzano l’essere personale come tale. Che questi diritti siano anche giuridicamente enunciati è una necessità perché siano più facilmente difesi e promossi. Ma l’enunciazione giuridica è la “lettera” dei diritti umani, non ne è lo “spirito”. Non solo, ma questa enunciazione presuppone, da parte di chi la compie, che non si tratti di una generosa concessione fatta allo uomo o della espressione di un consenso maggioritario (sempre fragile). Presuppone che si ammetta che l’enunciazione giuridica abbia fuori di sé e prima di sé un fondamento obiettivo che è costituito, precisamente, dalla persona umana nella sua obiettiva realtà e verità.

Un corollario di enorme importanza è che l’etica propria della medicina non può essere puramente e semplicemente ridotta al rispetto delle leggi positive. La prima è costituita dalle norme morali che devono regolare l’esercizio della medicina e che assicurano il rispetto della persona umana. Essa è e deve essere a fondamento di ogni altra normativa e giudicarne il valore. Diversamente si cadrebbe in una sorta di positivismo giuridico: una caduta che coincide con la rinunzia ad una ricerca personale della verità (8).

Non è sufficiente richiamarsi ad una sorta di “non-responsabilità” del medico. La riflessione, abbozzata nella prima parte, sulla verità propria e sul significato proprio dell’esercizio della medicina esclude che i medici possano accettare di essere inseriti in una organizzazione sanitaria nella quale essi perdano la propria responsabilità e la loro propria autonomia.

 

2.4. - Siamo così giunti al quarto ed ultimo criterio generale. Le norme giuridiche non sono il criterio decisivo per l’attività sanitaria: esse stesse devono essere continuamente giudicate, alla luce di una norma che le supera e le giustifica / o non giustifica, la norma morale. Alla luce, in fondo, della verità e della dignità della persona umana. L’appello che la Chiesa Cattolica fa a questa istanza ultima nei confronti delle norme giuridiche nasce da quelle ragioni già dette nella prima parte. Esso non contesta la legittimità dell’ordinamento giuridico: al contrario. Essa lo vuole salvare nella sua verità e significato proprio: non sono, non possono essere l’esercizio di un potere, ma l’opera di una ragione, che si adegua alla verità di quell’essere persone insieme, di quell’essere co-umanità, che costituisce il nostro bene comune.

 

CONCLUSIONE

 

L’insegnamento della Chiesa Cattolica nell’ambito dell’esercizio della medicina è espressione della sua preoccupazione per l’uomo, per salvare l’umanità di ogni uomo in modo adeguato alla sua preziosità.

Sarà ora compito di studi successivi mostrare in dettaglio come si realizzi questa preoccupazione: come operano quei fondamenti e quei criteri generali che abbiamo individuato ed esposto.

 

 

Note:

 

1) Ovviamente, il termine di “esperienza” usato nel contesto di una riflessione etica ha un significato non precisamente identico a quello con cui viene usato nella epistemologia delle scienze strettamente intese. Nella riflessione etica riceve un significato molto più esteso. Qualora si affermasse che “al di fuori della scienza non si dà sapere in senso vero e proprio”, si farebbe una affermazione che nello stesso momento in cui è posta è anche negata, un’affermazione, cioè, contraddittoria. Infatti, precisamente il principio “al di fuori della scienza...” è già un principio che la scienza non può verificare/falsificare. Pertanto, se con esso non si vuole semplicemente decidere che le cose siano così, ma affermare una verità, si è già fatto ricorso ad un criterio veritativo diverso da quello che il principio posto afferma come esclusivo.

 

2) Una delle espressioni di questo modo riduttivo di unificare i vari ambiti della cultura è precisamente quel principio di cui ho parlato nella nota precedente. Esso, infatti, finisce con il censurare ogni espressione culturale che non sia riconducibile ai canoni del sapere scientifico strettamente inteso.

 

3) Ancora una volta, basterà sottolineare e richiamare la contraddittorietà intrinseca ad ogni negazione dell’etica o — che è, al la fine, lo stesso — della riconduzione dell’etica ad altro da ciò che essa dice di se stessa (come per esempio avviene in Freud). Infatti, questa operazione negatrice e/o riduttrice, se vuole essere razionale, deve dimostrarsi come vera. Nello stesso momento in cui si dimostrasse vera, la conseguenza logicamente necessaria sarebbe che la persona umana ha da agire come se l’etica non esistesse. Ma tale logica conseguenza è già in se stessa una conseguenza eticabene che l’uomo agisca come se...).

 

4) Una delle applicazioni di quanto appena detto è il principio della totalità ben noto alla deontologia medica di ogni tempo, del quale parlerà un altro capitolo.

 

5) Si può dire — e da un punto di vista teoretico e da un punto di vista storico — che in questo modo viene ri-preso e ri-compreso uno dei momenti essenziali della cultura politica euro-occidentale, quella greca e latina: la democrazia come eu-nomia (Platone) e la legge come espressione di obiettive esigenze della giustizia (Cicerone).

 

6) La norma personalistica, appena enunciata, si oppone irriducibilmente e alla norma utilitaristica (la persona umana può essere usata per il raggiungimento di fini diversi dal bene del suo essere personale) e alla norma totalitaristica (la persona umana vale in quanto si inserisce nel tutto del corpo politico). Donde, il fine ultimo della comunità politica non è né l’utilità pubblica né il bene pubblico, ma il bene comune.

 

7) Nel contesto di questa riflessione si comprende un concetto di cui l’etica cattolica fa uso corrente, soprattutto nel nostro ambito, quello di legge naturale. Esso connota l’universo delle norme morali, mediante le quali la ragione umana conosce le esigenze assolute ed incondizionate secondo le quali le varie dimensioni della persona umana devono essere realizzate, perché sia fatta salva la dignità e preziosità loro propria.
Non si tratta né di un concetto pre-scientifico o anti-scientifico o scientifico (fondato sulla scienza), ma di un concetto etico. Esso, cioè, si giustifica non all’interno di una interpretazione scientifica precisa (sempre come tale falsificabile), né all’interno di un rifiuto del metodo scientifico, ma ha una giustificazione altra da quella con cui la scienza (strettamente intesa) fonda o dimostra le sue affermazioni.

 

8) Non è del tutto inutile mostrare, sia pure schematicamente, la improponibilità sia teoretica sia pratica del positivismo, data la sua incapacità di fondare l’obbligatorietà della norma giuridica.
Se, infatti, questa obbligatorietà non è riconducibile — almeno ultimamente — ad esigenze obiettive di giustizia razionalmente percepibili (ma questo è già aver superato il positivismo), la obbligatorietà o si giustifica col potere-forza di chi impone la norma o si giustifica con la utilità che dall’osservanza della norma deriva. Nel primo caso, però, si introduce un principio di dottrina politica che costituisce la distruzione interna della democrazia. Nel secondo caso, si fa della norma utilitaristica la su prema regola della convivenza sociale, cioè del non riconoscimento del valore proprio della persona umana che non può mai essere utilizzata.