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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Giovedì Santo
Santa Messa del Crisma
Cattedrale di S. Pietro, 28 marzo 2013


L’orazione-colletta colla quale abbiamo iniziato questa solenne celebrazione è una sintesi orante del Mistero che stiamo celebrando.

Essa si articola in tre momenti: "hai consacrato il tuo unico Figlio con l’unzione dello Spirito Santo e lo hai costituito Messia e Signore". E’ il primo momento: questa è la celebrazione di un evento cristologico.

"Partecipi della sua consacrazione" E’ il secondo momento: questa è la celebrazione del mistero del nostro dies natalis.

"Concedi a noi…di essere testimoni nel mondo della sua opera di salvezza". E’ il terzo momento: questa celebrazione è l’edificazione della nostra coscienza sacerdotale.

1. Stiamo celebrando il mistero cristologico dell’unzione sacerdotale-messianica di Gesù, Verbo incarnato. Affidiamoci dunque alla Parola di Dio per averne una qualche comprensione.

Nella pagina evangelica Gesù rivela la coscienza che ha di sé stesso e della missione che sta per iniziare, servendosi di un testo del profeta Isaia. Gesù esprime chi è; quale coscienza di sé ha raggiunto e per così dire ruminato durante la permanenza nel deserto; quale è il suo programma, affidandosi alle parole profetiche.

Esse rivelano che Dio ha preso la decisione di "promulgare l’anno della misericordia… per consolare tutti gli afflitti…per dare loro una corona invece della cenere, l’olio di letizia invece dell’abito da lutto". E’ un tempo che non terminerà più.

Il disegno di Dio si realizza in Gesù e per mezzo di Gesù. A Nazareth, in fondo, Gesù dice: "quel Servo di Dio che è investito dalla potenza dello Spirito, è unto, per realizzare il disegno di misericordia, sono io. E dunque, ora, oggi la promessa comincia a realizzarsi". Con queste parole - "oggi si è adempiuta questa scrittura" - Gesù manifesta ciò che è accaduto nella sua coscienza umana al momento del battesimo al Giordano; ciò che Egli ha consapevolmente maturato durante il silenzio e la preghiera nel deserto. E’ lui che Dio "consacrò in Spirito Santo e potenza", perché "promulgasse l’Anno della misericordia", e passasse "beneficiando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo" [At 10,38].

Contemplando colla Chiesa questa decisione del Padre, noi abbiamo detto nella fede: "o Padre, tu hai consacrato il tuo unico Figlio con l’unzione dello Spirito Santo e lo hai costituito Messia e Signore".

 

2. Noi celebriamo oggi il nostro dies natalis, cioè la nostra partecipazione alla consacrazione di Gesù. Cari fratelli, non finiremo mai di scoprire la profondità di questa partecipazione; di stupirci di fronte alla grandezza che essa ha donato alla nostra persona. Affidiamoci ancora alla Parola di Dio per potere avere una qualche comprensione del secondo mistero che stiamo celebrando: il mistero del nostro dies natalis.

C’è una parola dal significato immenso che Gesù ha detto nella sinagoga di Nazareth: "Oggi…". Fermiamoci un momento a goderne nello Spirito.

In forza della sua gloriosa Risurrezione, Gesù è divenuto Re eterno, presente allo scorrere delle nostre giornate. Egli è presente, ad-est, al passare del tempo. Ne deriva che il fatto compiuto da Gesù e narratoci colle parole profetiche, trascende il tempo storico nel quale si è verificato; è stato liberato dalla condizione di puro fatto, accaduto dentro irripetibili coordinate spazio-temporali. E’ diventato mysterium-sacramentum, capace di essere reso presente sacramentalmente anche nel nostro tempo.

La narrazione evangelica non è solo un’informazione storica di ciò che una volta è accaduto nella sinagoga di Nazareth. E’ la rivelazione di ciò che sta accadendo ora, oggi: "oggi in Gesù si adempie la profezia".

Come è possibile? E’ possibile perché siamo "partecipi della sua consacrazione" e quindi capaci di far accadere l’oggi di cui parla il Vangelo; capaci di adempiere la promessa del Vangelo.

Cari fratelli, siamo scesi alle radici della nostra esistenza sacerdotale, appunto al nostro dies natalis: alla generazione della nostra identità. Siamo partecipi della stessa unzione dello Spirito Santo che ha costituito Cristo sommo ed eterno sacerdote.

La consapevolezza di questa partecipazione è generata in noi dalla fede; è radicata, è fondata sulla fede. Il giorno della nostra ordinazione è stato il nostro dies natalis. Il battesimo ci ha rigenerati in Cristo. Il sacramento dell’ordine ha impresso in noi [il carattere sacramentale] la forma del nostro essere in Cristo. Il nostro ministero infatti non può essere ridotto ad una pura funzione.

Ciò che dice di sé Paolo è vero di ogni battezzato: "non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me". Queste parole narrano il dies natalis di ogni cristiano. La Chiesa oggi ci dice che mediante l’unzione sacerdotale, è Cristo redentore dell’uomo, Cristo che promulga l’Anno di grazia, che vive in ciascuno di noi, ministri del suo Vangelo.

La dialettica esistenziale del sacerdote è ben chiara nel testo paolino, nei suoi due poli: io/non-io, ma Cristo in me. E’ la fede che ci dona la vera coscienza di se stessi.

E’ per questo che fra poco diremo la più grande parola che una persona umana possa dire: "sì, lo voglio", la parola cioè della libertà. Essa ha un contenuto: "essere unito intimamente al Signore Gesù, modello del mio sacerdozio, rinunziando a me stesso". Vedete la polarità paolina? Io/non io – Cristo in me.

Cari fratelli possiamo attraversare ogni tribolazione; essere insidiati dallo scoraggiamento; cadere nel pericolo di essere avvelenati dal veleno della mormorazione contro tutti e contro tutto. Ma se restiamo fondati e radicati mediante la fede nella nostra appartenenza totale a Cristo; se la coscienza che abbiamo di noi stessi è la coscienza di essere partecipi della unzione di Cristo, nulla ci potrà separare da Lui. E la comunione con Lui ci basta.

3. "Concedi a noi […] di essere testimoni nel mondo della sua opera di salvezza". Chiediamo al Dio di ogni grazia che il suo oggi permanga attraverso il nostro servizio sacerdotale; che "l’Anno di grazia del Signore" continui ad essere promulgato mediante il nostro sacerdozio.

La promulgazione dell’Anno di grazia viene fatta dalla predicazione della Parola di Dio, "poiché piacque a Dio di salvare il mondo attraverso la stoltezza della predicazione" [1Cor 1, 21]; e l’oggi di Dio resta senza tramonto, perché celebriamo i Santi Misteri.

E’ il grande impegno che fra poco rinnoveremo, "lasciandoci guidare non da interessi umani, ma dall’amore per i nostri fratelli".

E in questo tocchiamo il cuore della nostra vita sacerdotale, la vera radice di tante nostre difficoltà. Mi limito ad una telegrafica riflessione.

Lasciarci guidare solamente dall’amore a Cristo nei nostri fratelli significa non avere altra ragione d’essere. A questa ragione d’essere, a questa opzione fondamentale deve subordinarsi ogni relazione con altre persone ed ogni bene della terra, ogni nostra preferenza. Collocarsi fuori di questa posizione, significa prima o poi anteporre qualcosa a Cristo. Un mirabile testo di Agostino lo esprime straordinariamente: "Il male che più di ogni altro debbono evitare coloro che pascolano le pecore di Cristo, è quello di cercare i propri interessi [ne sua quaerant], invece di quelli di Gesù Cristo, asservendo alle proprie cupidigie coloro per i quali fu versato il sangue di Cristo" [Comm. in Giov. 123, 5; NBA XXIV, 1605].

 

Il Signore ci conceda di sentire nel cuore e tradurre nella vita la parola di Paolo: "non ritengo […] la mia vita meritevole di nulla, purché conduca a termine la mia corsa e il servizio che mi fu affidato dal Signore Gesù, di rendere testimonianza al messaggio della grazia di Dio" [At 20, 24]. Così sia.