home
biografia
video
audio
english
español
français
Deutsch
polski
한 국 어
1976/90
1991/95
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2011
2012
2013
2014
2015
2016
2017
Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


MESSA CRISMALE
Cattedrale di San Pietro
Giovedì Santo
24 marzo 2005


1. "Lo Spirito del Signore è sopra di me … oggi si è adempiuta questa Scrittura". L’applicazione delle parole profetiche che Cristo fa a se stesso, ci introduce nel mistero della sua missione redentiva.

Attraverso le parole del profeta Cristo la descrive nel modo seguente: "mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista.; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore". L’opera di Cristo è un opera di annuncio di un lieto messaggio; è un’opera di liberazione dei prigionieri e degli oppressi; è un’opera di illuminazione di chi è cieco. Annunciare, liberare, illuminare sono le tre dimensioni essenziali della missione redentiva di Cristo e della nostra partecipazione sacramentale alla stessa.

Giunto alla fine della sua vita terrena, Gesù infatti ne farà come un "riassunto" completo colle seguenti parole: "Io ti ho glorificato sulla terra, compiendo l’opera che mi hai dato da compiere… ho manifestato il tuo nome agli uomini" [Gv 17,4-6]. L’opera da compiere era di manifestare agli uomini il Nome: il Nome santo ed indicibile di Dio. Era di svelare il Mistero come pienezza di misericordia, come compassionevole cura dell’uomo: "ho manifestato il tuo nome agli uomini". È questo annuncio-manifestazione che libera i prigionieri e gli oppressi; che illumina e guida i ciechi. Libera l’uomo dall’oppressione di un enigma, quello del suo esserci, che senza la manifestazione del Nome resterebbe inspiegabile; illumina e guida il suo terreno pellegrinaggio, impedendo all’uomo di trasformarlo in un vagabondaggio senza meta.

Ma ciò che caratterizza in maniera unica il compimento della sua missione redentiva, è che in Gesù questa – la sua missione – si identifica colla sua Persona, pienamente e completamente. Egli è l’Inviato, e la sua presenza in mezzo a noi non ha altra ragione che la sua missione.

2. "Voi sarete chiamati sacerdoti del Signore, ministri del nostro Dio sarete detti". Nel sacerdozio e nella missione redentiva di Cristo oggi celebriamo anche il nostro sacerdozio che nel suo ha la sua origine, e di cui è partecipazione.

Questa partecipazione è posta in essere dallo Spirito Santo che ha configurato la nostra persona a Cristo perché fossimo suoi servi per la redenzione dell’uomo.

"Lo Spirito Santo del Signore è sopra di me, per questo mi ha consacrato con l’unzione", ha detto Gesù di se stesso. In Lui anche ciascuno di noi deve dire: "lo Spirito del Signore è sopra di me, per questo mi ha consacrato con la unzione". All’origine del nostro sacerdozio derivato sta lo stesso Spirito che è all’origine del sacerdozio inderivato di Cristo. Lo stesso Spirito che ha unto il Cristo è stato posto in ciascuno di noi, perché fossimo la presenza reale del sacerdozio di Cristo in mezzo al nostro popolo. Siamo certamente vasi di creta, ma dentro portiamo un tesoro mirabile. È il tesoro mirabile della mediazione redentiva di Cristo; è il tesoro mirabile dell’unzione dello Spirito.

Se è lo stesso Spirito, questi intende inscrivere dentro alla nostra quotidiana esistenza sacerdotale la stessa "logica" inscritta nell’esistenza umana sacerdotale del Verbo incarnato. Questa "logica" può essere espressa [colla lettera agli Ebrei] nel modo seguente: Cristo raggiunge la perfezione del suo sacerdozio quando raggiunge la perfezione della sua condivisione alla nostra condizione umana. È dentro a questa condivisione che avviene la radicale trasformazione dell’uomo; morendo ha distrutto la morte, poiché risorgendo ha ridato a noi la vita.

È questa la "logica" che lo Spirito Santo vuole inscrivere dentro alla nostra esistenza. Siamo chiamati ad uscire completamente da noi stessi per condividere pienamente la condizione dell’uomo che incontra il nostro sacerdozio, anche quando siamo esposti al rifiuto e all’indifferenza. Siamo spinti dallo Spirito ad abbandonare noi stessi, ad una radicale espropriazione di se stessi per appartenere totalmente a Cristo che ci invia "per annunciare ai poveri un lieto annuncio". È questo il senso profondo dell’obbedienza a cui si siamo impegnati nel giorno dell’ordinazione, e la cui promessa fra poco rinnoveremo. Lo Spirito Santo ci chiede di sedere a tavola coi peccatori, per vivere una misteriosa comunione fraterna con essi, che ci dia il diritto di intercedere in piena verità per loro.

I primi apostoli nel Getzemani non furono con Cristo dentro a questa condivisione; essi non avevano ancora ottenuto lo Spirito Santo e non vegliarono con Lui. Cristo agonizza fino alla fine del mondo, non lasciamolo solo: andiamo con lui nella passione redentiva per l’uomo. Egli ci ha chiamati ad essere con Lui nella grande opera redentiva; ci chiede di entrare con Lui nell’ora della "grande prova".

3. Come è possibile questa identificazione con Cristo redentore? Non certamente in primo luogo mediante il nostro impegno morale ed ascetico. È l’Eucarestia che imprime in noi la "forma di Cristo", che ci dona la "mente", "la logica" di Cristo.

Carissimi fratelli, non possiamo meditare sul nostro sacerdozio senza meditare sulla nostra celebrazione dell’Eucarestia. Siamo spinti a questo anche dall’Anno eucaristico in corso. La qualità della nostra vita sacerdotale dipende interamente dalla qualità delle nostre celebrazioni eucaristiche.

La celebrazione dell’Eucarestia è la vera schola veritatis: è nella sua luce che noi dobbiamo vedere l’uomo, ogni uomo affidato alle nostre cure. Essa è la chiave interpretativa di tutta la realtà.

La celebrazione dell’Eucarestia è la vera schola libertatis: è in essa che noi diveniamo liberi, perché diventiamo capaci di amare. E la misura della nostra libertà è coestensiva alla misura della nostra capacità di donarci.

Schola veritatis-schola libertatis: la nostra vita sacerdotale deve prendere forma dall’Eucarestia. Dovremo certo riflettere sulla vita e sul ministero; forse il bene dei fedeli ci chiederà anche riforme adeguate. Ma la linea orientativa ed i criteri ci vengono dall’Eucarestia. Tutto il nostro presbiterio deve prendere la forma dell’Eucarestia: testimonianza all’umanesimo cristocentrico dell’Eucarestia.

Tutta la nostra teologia, tutta la nostra filosofia è riassunta, ricapitolata nella celebrazione dell’Eucarestia. Radichiamo la nostra esistenza in essa perché nel nostro cuore ci siano frutti permanenti di adorazione del Padre in spirito e verità, e di stupore per la dignità dell’uomo affidato alle nostre cure. Portiamoci dentro al costato di Cristo perché ogni miseria umana faccia piaga al nostro cuore.

"Tu mi hai irrigato con la tua vita e io ho messo radici. Nutrito del tuo Pane celeste, dissetato del tuo Sangue divino, mi hai reso intimo dell’Inaccessibile e dell’Incomprensibile.

Tu m’hai dato il coraggio di fissare su di te i miei occhi di carne e m’hai avvolto della luce della tua gloria. Hai permesso alle mie mani impure e alle mie dita di carne d’avvicinarmi a te. Mi hai onorato, cenere mortale e spregevole, quale un raggio di luce … e hai smorzato l’acuità del mio sguardo quando, alzando gli occhi, li ho posti su di te" [Gregorio di Narek, Preghiere (centone)].