home
biografia
video
audio
english
español
français
Deutsch
polski
한 국 어
1976/90
1991/95
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2011
2012
2013
2014
2015
2016
2017
Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Cordiale accoglienza, umile inserimento: i movimenti nella vita delle Chiese locali
Seminario sui movimenti
Roma 17 giugno 1999

Non penso che si possano donare significati profondi al termine "esperienza pastorale" da parte di chi è Vescovo solamente da poco più di tre anni. Nonostante ciò arrischio di parlare sulla "cordiale accoglienza" e l’"umile inserimento" dei movimenti nella vita della Chiesa locale sulla base della mia esperienza pastorale.

La difficoltà e l’alta opinabilità dei pensieri di chi riflette su questa base (quella dell’esperienza pastorale) sono dovute a molteplici fattori. Se, infatti, i criteri interpretativi di cui il pastore deve far uso per capire il tempo in cui vive non possono non essere che quelli della fede, tuttavia la grande diversità di condizioni storiche in cui le varie Chiesa locali sono chiamate a vivere, possono condurre ad esiti interpretativi diversi.

Quest’osservazione abbastanza ovvia mi ha convinto a strutturare questo mio intervento nei seguenti punti. Dapprima cercherò di descrivere quale è la "sfida" alla quale oggi la missione della Chiesa deve far fronte nel mondo, diciamo, occidentale; in un secondo punto cercherò di mostrare come e perché i movimenti devono essere "cordialmente accolti" e "umilmente inserirsi" nella vita della Chiesa locale precisamente perché questa sia risposta vera a quella sfida. Ovviamente, fra il primo e secondo punto sarebbe stato necessario inserire una riflessione rigorosamente teologica sulla natura e sul luogo

dei movimenti nella Chiesa. Ma questo è già stato fatto nell’ambito di questo seminario.

1. La "sfida occidentale".

La mia interpretazione della condizione spirituale dell’uomo occidentale è la seguente: un uomo che ha perduto se stesso, pur avendo guadagnato il mondo.

Per perdita di se stesso intendo una progressiva demolizione della soggettività intesa nel senso cristiano del termine. La soggettività è stata sottoposta ad una vera e propria de-costruzione. Paragonandola ad un edificio, essa è stata come smontata pezzo per pezzo.

Vorrei descrivere questo processo brevemente, iniziando col chiarire che cosa io intenda per "significato cristiano di soggettività". Una consistente tradizione teologica [Gregorio di Nissa, per l’oriente; Tommaso d’Aquino, per l’occidente] pone nella libertà il segno più inequivocabile della somiglianza dell’uomo a Dio. L’atto libero è il punto in cui convergono le due fondamentali energie dello spirito, la ragione e la volontà. Ma non una qualsiasi ragionevolezza è capace di generare un atto libero: solo una ragione che non ponga limiti alla sua capacità di interrogare. Non una qualsiasi forza volitiva è capace di scegliere liberamente: solo una volontà che si muove [= voluntas ut ratio] verso quella pienezza di bene a cui è naturalmente orientata [= voluntas ut natura]. E’ in sostanza l’insuperabile "scarto" vigente fra il desiderio umano e ciò che l’universo (creato) mette a disposizione dell’uomo, che rende l’uomo grande nella sua povertà: lo rende libero. Una libertà, quella umana, che al contempo significa e la ricchezza della persona e la sua povertà. La sua ricchezza: essa trascende ogni realtà creata; è "più che" ogni altra realtà creata. La sua povertà: essa è un infinito "in votis" cioè un vuoto immenso alla ricerca di un bene che sia corrispondente alla sua fame.

Vorrei esprimere questa visione (cristiana) della soggettività umana in termini più scolastici o tecnici, ritenendo che in questo modo ne guadagnerà la chiarezza. E’ l’essere intenzionato ai trascendentali del Verum, del Bonum, del Pulchrum che costituisce l’uomo come soggetto libero. E’ dentro a questo legame chela persona è "causa sui", come continua a ripetere Tommaso con una formula teoreticamente vertiginosa. L’uomo è "causa di se stesso" con la sua libertà, e non è causato da niente altro.

Agostino, non ancora cristiano, aveva ben visto, a causa della morte di un amico [e non a caso!], che per questa precisa costituzione l’uomo è a se stesso "magna quaestio": essere "magna quaestio" significa essere ricondotti dal verum e dal bonum del proprio esserci che è destinato a sparire, alla Verità e al Bene che in esso (esserci) si riflettono e che da esso sono invocati. E’ questa in fondo la tristezza propria del pagano vero, ben diversa dalla tristezza, come vedremo, che sta devastando il cuore dei giovani oggi.

Il cristianesimo ha risolto in Cristo la "magna quaestio",come vedremo più avanti.

Ora posso spiegare che cosa intendo dire, quando dico che l’uomo occidentale ha perduto se stesso, demolendo progressivamente la propria soggettività.

E’ accaduto come una sorta di "collasso spirituale", di "caduta a picco" della (in-)tensione [intentio] spirituale nell’uomo. In breve: nell’intimo dell’uomo il legame della libertà colla verità è stato spezzato, perché la ragione ha spezzato il suo legane al Verum e la volontà al Bonum.

Ho verificato questo evento culturale, a livello di studi, attraverso il percorso del pensiero etico. Percorso, certo, non onmicomprensivo né originario. Percorso, tuttavia, privilegiato, perché ha a che fare colla "punta incandescente" della soggettività umana, la scelta libera.

La ragione ha subito un collasso di tensione, poiché si è giudicata incapace di conoscere una verità sul bene che valga in sé e per sé, di conoscere un bene che non sia quello della propria utilità individuale. La non esistenza di "ragioni per agire" che siano vere e valide per ogni persona, è una necessaria conseguenza ed è il dogma centrale di ogni utilitarismo etico: dottrina oggi di fatto largamente vincente nelle nostre società occidentali.

La volontà ha subito un collasso di tensione, poiché radicata in una ragione solo utilitaria, essa si toglie ogni capacità di tendere ad un Bene che non è tale per me solamente: ad un Bene che semplicemente merita di essere voluto per se stesso, cioè amato.

Nulla è più capace di difendere l’uomo dalla verità costruita dalla ragione e dagli interessi considerati validi dalla volontà a seconda delle varie situazioni.

Perché una tale demolizione della soggettività perde l’uomo? Perché semplicemente gli toglie la possibilità di essere libero, cioè "causa sui". Egli non è più capace di agire; è solo in grado di re-agire. E la reazione può essere duplice: o l’omologazione o la ribellione. Reazioni che sono proprie dello schiavo. La persona libera né si omologa né si ribella.

Molti sono i segni di questa condizione spirituale dell’uomo occidentale. Mi limito a richiamarne brevemente tre, perché mi sembrano particolarmente significativi per la nostra riflessione.

Il primo è costituito dal prevalere dell’"impersonale" sul "personale". Intendo parlare di quella progressiva riduzione della persona alla sua funzione; della progressiva ed implacabile burocratizzazione della vita associata.

Il secondo è costituito dalla riduzione dell’amore all’eros e quindi del diritto, inteso come facoltà morale, al desiderio.

Il terzo è costituito dalla necessità di eliminare l’imprevedibile, il novum, sottomettendoci al previsto e al calcolato. Per dirla col vocabolario heideggeriano: non è più il pensiero che pensa, ma la ragione che calcola.

Ma non voglio andare oltre alla semplice enunciazione di questi tre segnali di un grave evento culturale, poiché – nel breve tempo a disposizione – mi interessa maggiormente riflettere sulla caratteristica fondamentale di quell’evento stesso, e così terminare il primo punto della mia riflessione.

Ho parlato poc’anzi della tristezza propria del paganesimo, diciamo, naturale. In fondo, era la nostalgia di una patria che non si sapeva con certezza se esistesse oppure anche se certi dell’esistenza, la si giudicava irraggiungibile. Pertanto, anche quando il pagano accorciava la misura del suo desiderio [spem longam reseces: Orazio], era consapevole di rinunciare ad una parte di se stesso.

Il collasso spirituale di cui ho parlato avviene invece senza alcun dramma né tragedia: è semplicemente vissuto. Un grande pensatore italiano cristiano ha parlato di "gaio nichilismo contemporaneo". Gaio in un duplice senso. Nel senso che la nobilitazione dell’omosessualità non è casuale: è la celebrazione della alleanza colla morte. Nel senso che si accetta di navigare sempre a vista, senza orientarsi a nessun porto, con noiosa tranquillità. "Non so chi mi abbia gettato nell’essere, non so che cosa mi aspetta dopo la morte: ma non è neppure necessario saperlo": è la formula del gaio nichilismo occidentale.

2. La risposta alla sfida e ai movimenti

Ho parlato di una "sfida" rivolta dall’uomo occidentale alla Chiesa. E’ una sfida assolutamente inedita. Non è infatti un ritorno al paganesimo, anche se una lettura superficiale della situazione attuale potrebbe farlo pensare. Ho già detto dove sta la diversità fondamentale dal paganesimo. E quindi non è che la Chiesa si trovi ad affrontare in Occidente la sfida pagana.

Non è neppure la sfida atea. L’ateismo, come gli studi più accurati hanno dimostrato, è una "posizione" nei confronti della "questione-Dio". Esso dunque non la ignora: la ritiene anzi una questione centrale. E quindi non è che la Chiesa si trovi in sostanza di fronte al problema dell’ateismo, in Occidente.

Non è neppure la sfida illuministica. Intendo per illuminismo il tentativo di "inverare" il cristianesimo in una forma de-storicizzata ( e quindi senza Chiesa), esso ammette comunque uno "zoccolo duro" ed indistruttibile di humanitas. Il gaio nichilismo contemporaneo ritiene soavemente che tutto l’humanum sia convenzionale e quindi negoziabile. E quindi non è che la Chiesa, in occidente, si trovi di fronte al problema dell’illuminismo [problema di Lessing].

La vera sfida è costituita dal fatto che l’uomo, in occidente, vuole dimostrare che il cristianesimo è semplicemente superfluo, poiché le domande a cui esso dice di rispondere possono essere censurate senza che la vita peggiori. Né il paganesimo, né l’ateismo, né l’illuminismo avevano mai sfidato l’annuncio evangelico in questo modo. Mi sono chiesto se nella narrazione evangelica esistono persone, incontrate da Gesù, che in un qualche modo richiamano il gaio nichilista contemporaneo. Forse gli abitanti geraseni che pregavano Gesù di andarsene: stanno meglio senza!

Esistono risposte della Chiesa a questa sfida che sono chiaramente inadeguate. Ma non penso che sia ora il momento di parlarne, poiché voglio subito entrare nel tema dei movimenti.

Per chiarezza, permettetemi di esporre al riguardo la mia convinzione centrale: la realtà ecclesiale dei movimenti è l’unica risposta adeguata a questa sfida. Cercherò di dire la ragione di questa mia convinzione.

La prima concerne la natura ecclesiale die movimenti. Sarò molto breve, poiché questo è il tema della riflessione propriamente teologica. Fin dal 1987, il S. Padre Giovanni Paolo II riconosceva ai movimenti una funzione ecclesiale insostituibile in ragione della loro origine carismatica [cfr. Giovanni Paolo II, Discorso del S. Padre, in : I movimenti nella Chiesa, Atti del II Colloquio internazionale, Milano 1987, pag. 24]. E’ dunque il "carisma", come categoria rigorosamente teologica, che ci fa capire la ecclesialità dei movimenti: il "carisma" in quanto distinto (non separato; non contrapposto) dalla "istituzione" [che non si identifica col e non si riduce al sacerdozio ministeriale]. Il compito del carisma è di provocare l’istituzione ad una conformità più chiara ed inequivocabile a Cristo che l’ha voluta e determinata nella sua essenza: sia positivamente, sia negativamente. Negativamente: aiutandola a non trasformarsi mai in burocrazia amministrativa, a superare la tentazione della competitività [= predominio del clero sui laici o dei laici sul clero], a non diventare mai fine a se stessa. Positivamente: suscitando una concreta fraternità la cui ragione d’essere coincide colla missione stessa della Chiesa [cfr. Es. post-Sinodale, Christifidelis laici …]. In questo modo, il movimento, in forza e se fedele al "carisma originario", fa accadere con l’istituzione l’imprevedibile dono della comunione col Cristo che è la Chiesa, in cui l’uomo è salvato.

La seconda ragione la prendo da una riflessione di S. Tommaso sul mistero dell’Incarnazione (cfr. Sc G IV, LIV, 3923). Volendo investigare sempre più profondamente la "admirabiles rationes hunis mysterii", egli ne individua una nel fatto che l’uomo è esposto ad pericolo seguente: "propter immensam distantiam naturarum … circa inquisitionem beatitudinis tepesceret, ipsa desperatione detentus". Sembra la descrizione dell’uomo di oggi: intiepidito [sopra ho parlato di un "collasso spirituale"] nella ricerca della beatitudine. Non potendo avere ciò che desideri, desidera solo ciò che puoi avere: ecco la formula della disperazione.

L’avvenimento dell’Incarnazione mostra all’uomo che la sua tensione al Verum, al Bonum, al Pulchrum, in una parola, alla beatitudine non è vana. Perché? Perché la pienezza dell’humanum è un fatto;perché la pienezza dell’humanum è accaduta, "per hoc quod Deus humanam naturam sibi unire voluit in persona". E pertanto la realizzazione piena dell’intera misura della propria umanità è una concreta possibilità offerta ad ogni persona. Una tale possibilità esige una realizzazione fatta di tempo e di spazio, perché è una realizzazione dell’uomo.

La terza ragione è la sintesi delle due precedenti. In forza della propria costituzione carismatica, ogni movimento mostra concretamente la possibilità di verificare che Cristo non mentisce e che il nostro cuore non ci inganna: lo mostra nel tempo e nello spazio, nella "carne" di una fraternità in Cristo.

E’ l’unica risposta adeguata alla sfida nichilista dell’occidente: mostrare la possibilità di un’umanità che può realizzarsi ben oltre il vacuo errare senza meta. Solo questa risposta può far sorgere la nostalgia di una patria che si era già dimenticata. Una Chiesa senza movimenti non sarebbe oggi più in grado di svolgere la sua missione.

Conclusione

Non vorrei che tutto il discorso precedente fosse equivocato. I movimenti non sono solo funzionali ad una congiuntura storica. Essi sono, in un certo senso, essenziali alla costituzione della Chiesa.

Presupponendo questa loro collocazione nella Chiesa, come la fondamentale ragione della loro "cordiale accoglienza" e del loro "umile inserimento", la mia riflessione ha voluto semplicemente mostrare come essi, proprio perché costitutivi, siano la modalità adeguata con cui la Chiesa realizza la sua missione apostolica in ogni tempo. Ho cercato di far vedere come questo sia vero oggi, in occidente, di fronte alla sfida nichilista.