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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Discorso a chiusura del convegno del Consiglio per la Famiglia a 25 anni dalla Humanae vitae
Roma, novembre 1993


La vicenda di Humanae vitae (H.V.) è stata singolare nella storia del pensiero cristiano. Essa, in primo luogo, ha determinato una “crisi” così profonda nella riflessione etica cristiana da condurre non pochi a mettere in questione i fondamenti stessi dell’insegnamento morale della Chiesa. Una vicenda dalla quale, come è ben noto, nasce l’Enciclica Veritatis splendor. Ma, ciò che permane ancora è come una sorta di “rimozione” di questa dottrina dalla coscienza di molti pensatori cristiani: “è meglio che non se ne parli molto”.

Più di una volta ho pensato a questa situazione, cercando di capirne le ragioni. Ma prima di entrare in questa problematica, diciamo intra-ecclesiale, vorrei tentare un confronto fra la situazione spirituale, culturale odierna e la situazione in cui venne pubblicata H.V.

Mi sembra che si possa dire che in primo luogo si è ormai portato a termine, ha raggiunto la sua fine quel processo interpretativo della sessualità umana che si sorregge su una serie ordinata di “divisioni”. Divisione della sessualità dalla procreazione fino alla divisione della procreazione dalla sessualità; divisione della sessualità dall’amore; divisione della sessualità dal matrimonio. Questo “sistema di divisone” ha avuto come risultato di svuotare di ogni contenuto concetti e definizioni che si ritenevano intangibili: il concetto di matrimonio e di famiglia.

In realtà e più profondamente, questo processo di ripensamento del rapporto della persona colla propria sessualità si inserisce in alcuni eventi spirituali che giova richiamare brevemente. Il processo di una liberazione della libertà da ogni “residuo” naturale, che non fosse posto cioè dalla libertà stessa, ha tolto ogni senso al riferimento della sessualità come realtà biologica: la sessualità ha semplicemente e solamente il significato che decidi di attribuirle. Esiste inoltre un processo di progressiva abdicazione alla ragionevolezza, dal momento che è tolta ogni intelligibilità, cioè ogni verità al reale. Un amico filosofo mi diceva acutamente: dall’io penso siamo passati all’io sento semplicemente. È l’io sento il trascendentale oggi operante. Né poteva essere diversamente. Se non esiste senso che non sia quello deciso dalla tua libertà, è vero ciò che decidi che lo sia. La distruzione della sessualità umana come realtà che entra in una costellazione di esperienze umane non è che un aspetto di questo processo in cui ormai tutti i pilastri della modernità, primato dell’epistemologia sulla metafisica e primato della soggettività umana sul reale, identità di coscienza con auto-coscienza, sono ormai messi in crisi.

Vorrei ora ritornare ad H.V.: come suona oggi il suo messaggio dentro a questo contesto? Come corpo assolutamente estraneo. Esso risulta semplicemente impensabile. Questo non avveniva venticinque anni orsono: si è andata ulteriormente approfondendo la spaccatura fra Vangelo e cultura. Anche da questo punto di vista si può vedere come oggi sia esigenza primaria l’evangelizzazione. Una controprova di questo lo abbiamo nel fatto che là dove si ha una vera vita di fede, ivi ciò che insegna H.V. è vissuto con grande e serena fedeltà.

Solo ora vorrei tentare di riflettere sulla reazione attuale ad H.V. nella Chiesa, quella reazione che ho chiamato “rimozione”: meglio non parlarne molto. Che cosa sta ad indicare questa rimozione? Non sto parlando di un atteggiamento pratico. Forse, ancora, l’illusione che basti qualche “aggiustamento politico” nel discorso cristiano, qualche dissimulazione intelligente, per farsi ascoltare e capire. E fra i temi che esigono questo aggiustamento c’è anche certamente H.V. Per quale ragione? Perché essa contesta tutti e ciascuno i presupposti di quel processo interpretativo della sessualità umana, di cui ho parlato poc’anzi, quell’insieme di “divisioni” che hanno scandito la riflessione sulla sessualità. Questa attitudine, in sostanza, ignora che fra discorso cristiano sulla sessualità e discorso post-moderno sulla medesima non c’è più nulla di comune. E san Tommaso già avvertiva che chi erra sui principi è impersuadibile, anzi che con costoro è semplicemente impossibile ogni dialogo. E allora bisogna semplicemente chiuderci nel silenzio? La cosa, in realtà, profondamente più semplice.

C’è un passo dell’H.V. che giova richiamare a questo punto. Esso dice: “gli uomini retti potranno ancora meglio convincersi della fondatezza della dottrina della Chiesa in questo campo ...” (n. 17). Dunque esiste una rettitudine che consente di capire la proposta della Chiesa, il suo insegnamento. In altre parole, ritroviamo una convinzione costante nel pensiero della Chiesa: essa (la Chiesa) sa che parla di verità che stanno già scritte nel cuore di ogni persona. Essa ha la consapevolezza di richiamare l’attenzione interiore ad un insegnamento che risuona nel cuore della persona e che è di Cristo stesso, Verità piena. Al di là della ideologia post-moderna rimane l’uomo, nella sua concreta vicenda quotidiana, con nel cuore un inestinguibile desiderio di verità e di amore. È ad esso che la Chiesa deve semplicemente parlare e fare il suo annuncio.

Si pone qui il problema della comunicazione della verità sul bene, della Verità che chiede non solo di essere conosciuta, ma anche compiuta: una comunicazione che può accadere solo all’interno di una testimonianza. In questo senso, H.V. può ridiventare intelligibile quando sarà mostrata praticabile, perché ci sono persone che la praticano e trovano in questa pratica la beatitudine di un amore vero.

Lo sforzo che tutti noi abbiamo compiuto di difendere questa dottrina nella sua integrità nasceva dalla certezza che anche all’uomo che vive nella noia del post-moderno non fosse preclusa la possibilità del vero amore coniugale.