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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


LA CHIESA E L’UOMO DELLA POST-MODERNITÀ
Bratislava, Facoltà di Teologia, 24 febbraio 2016


Il contenuto di tutta questa riflessione mi è stato ispirato da un verso di Dante.

All’inizio del suo viaggio, il Poeta entra nel Limbo dove si trovano i grandi spiriti del paganesimo precristiano. Essi non potranno mai vedere il volto di Dio, pur desiderando avere questa visione. Virgilio, che è fra essi e guida Dante nel suo viaggio, descrive la loro condizione nel modo seguente: «sanza speme vivemo in disìo». [Inf. IV 42].

Mi pare che questa sia la più potente descrizione della condizione dell’uomo post-moderno in Occidente, col quale la Chiesa deve confrontarsi.


1. «SANZA SPEME… IN DISIO»


Inizio dalla riflessione su questa condizione. Speranza e desiderio sono le due grandi, le più grandi, forze dello spirito umano. Sono i due motori della libertà. 

Agostino chiama l’uomo «un filo d’erba assetato» (1), e parla del cuore umano come di un «inquietum cor» (2). Non si tratta di osservazioni psicologiche. Sono affermazioni di carattere ontologico. Esse parlano della stoffa [la sete, l’inquietudine] di cui è intessuta la persona umana, la trama della sua vicenda drammatica, che non può essere riempita che dall’Infinito. Trattasi appunto dello statuto ontologico dell’uomo.

L’«inquietum cor» è il sintomo permanente della chiamata ad un Bene Sommo. È l’orma che la mano creatrice di Dio ha impresso nella persona umana. La persona umana è un vuoto illimitato.

Tommaso ha parlato di un «naturale desiderium videndi Deum» (3). Ciò che importa sottolineare in questa famosa affermazione tomista è l’aggettivo «naturale», il quale in questo contesto si oppone ad «elicitum». Cioè: la persona umana desidera vedere Dio non se, non perché ha deciso di vederlo: il desiderio di cui parla Tommaso è inscritto nella natura della persona umana. Non esiste persona umana che non abbia questo desiderio, dal momento in cui il suo spirito si sveglia.

Non è ora il caso neppure di accennare a tutta la problematica filosofica e teologica che quell’aggettivo ha suscitato. Mi limito a riflettere su una conseguenza di quanto ho detto finora. Siamo ad un punto centrale della mia riflessione. Per chiarezza prima lo enuncio, poi lo spiego.

Se la persona umana è fatta del desiderio di vedere Dio; se la persona umana perde la speranza che esso possa realizzarsi; se la persona umana sradica dal suo desiderio anche l’invocazione che il Mistero si manifesti: la persona umana diventa nell’universo dell’essere qualcosa di assurdo, ”una passione inutile”, come è stato detto. Mi spiego con una metafora.

Presso tutte le letterature la vita dell’uomo è paragonata ad un cammino, ad un viaggio: il cammino della vita. Ma ci sono due figure possibili di viandante: il pellegrino - il vagabondo. Con una differenza fondamentale. Il pellegrino ha una meta precisa, ed anche se durante il suo pellegrinaggio si ferma o perfino esce di strada, attirato da una cosa che lo interessa, non perde mai di vista la meta. Il vagabondo non ha nessuna meta. Si muove secondo il gusto del momento. Potremmo dire: il pellegrino ha un desiderio che unifica la sua esistenza ed impedisce di disperdersi; il vagabondo ha molti desideri che frammentano il suo vivere.

La metafora suddetta mi sembra la migliore chiave interpretativa della condizione dell’uomo post-moderno in Occidente, col quale la Chiesa deve confrontarsi. Ritorno dunque alla tesi sopra enunciata.

Parto dal presupposto che è impossibile che la persona umana possa estinguere, spegnere completamente il desiderio naturale di vedere Dio. Questa impossibilità mi sembra la conseguenza logicamente necessaria del dogma cattolico secondo il quale l’immagine di Dio nell’uomo non può essere completamente cancellata.

S. Paolo descrive la condizione dei pagani nel modo seguente: «senza speranza e senza Dio in questo mondo» [Ef.2,12]. L’apostolo era ben consapevole che le città erano piene di templi. Il tempio di Diana proprio ad Efeso era noto a tutti. Nonostante questa diffusa religiosità, erano «senza Dio», si noti bene, «in questo mondo». Non nei cieli: ne erano pieni. Ciò di cui sentivano un bisogno immenso era di una Presenza. Soffrivano per una mancanza: la presenza di Dio dentro alla loro vicenda umana.

Un mondo senza Dio in questo senso era un mondo senza speranza, poiché la vita dell’uomo restava consegnata alla Fortuna o a un Destino senza nome e senza volto. Ma nello stesso tempo il desiderio di un felicità piena non si era spento [nemo sua sorte contentus, scriveva Orazio] (4). Vivevano nel desiderio, ma privi della speranza che esso potesse compiersi.

Penso che questa condizione – senza speranza e senza Dio nel mondo – è accaduta di  nuovo, e in una forma peggiore, oggi: l’assenza di Dio genera un mondo senza speranza. Ma con un’aggravante: nell’uomo occidentale post-moderno sono rimasti alcuni residui della proposta cristiana, i quali però sono del tutto incapaci di portare il peso del desiderio umano; incapaci di rispondere alle grandi domande dell’uomo. Questi residui nel loro insieme son diventati come un ago senza cruna, incapace di tessere la trama dell’esistenza.

Che cosa ha causato questa condizione spirituale in cui versa l’uomo post-moderno? Una flessione, una curvatura del desiderio. Come se la corda dell’arco della vita si fosse allentato, divenendo incapace di lanciare la freccia del desiderio al di là dell’orizzonte finito. Chi ha lasciato la casa del Padre si accontenta di mangiare lo stesso cibo degli animali: il cibo del piacere. È accaduto una sorta di collasso spirituale. Sia nell’intelligenza sia nella volontà; e quindi nella libertà. Una libertà ammalata.

Questa condizione dell’uomo post-moderno può essere vissuta in due modi, fondamentalmente: in modo disperato; in modo gaio. In modo disperato: la vita umana è assurda perché è naturalmente abitata da un desiderio che non può avere compimento [si pensi all’opera di Kafka; al nostro Leopardi]. In modo gaio: poiché la vita umana è abitata da un desiderio che non può trovare compimento, «spatio brevi spem longam reseces», direbbe Orazio (5). Vivi nel e di provvisorio; censura un uso della ragione che voglia andare oltre l’orizzonte mondano; non esiste una distinzione indistruttibile fra bene e male, fra giusto ed ingiusto, ma il tempo è la misura di tutto; non esiste alcun respiro di eternità dentro lo scorrere dei nostri giorni. È il “nichilismo gaio” [A. Del Noce] (6).

Vorrei ora sottoporre alla vostra attenzione due segni o sintomi della condizione spirituale in cui versa l’uomo post-moderno, col quale la Chiesa deve confrontarsi. Sono, a mio giudizio, sintomi inequivocabili.

Il primo: l’inverno demografico. E’ uscito da poco un libro di David Goldman, When civilizations die. Egli dice: «L’Europa è indifferente al futuro. Questa indifferenza si esprime chiaramente nella denatalità. La donna media spagnola, italiana o tedesca avrà soltanto 1,4 bambini nella sua vita, e il tasso di fecondità di questa popolazione in età lavorativa diminuirà ancora. La prima nazione a soffrire il declino demografico è stata la Francia, la prima nazione a costruire una società senza Dio, la famosa laicité. È stata una pura coincidenza?» (7).

Non si dona la vita se si è privi di speranza, perché non si ha più futuro. Due conferme impressionanti. La prima: l’uomo post-moderno cerca di vivere solo nel presente distruggendo il passato, ciò che sta alle sue spalle, sia come passato della natura sia come passato della storia. E distruggendo il futuro, nella misura in cui esso sconfina nel nostro presente, dal quale il futuro deve essere preparato (8). La seconda conferma che per me è sempre più incomprensibile è l’odio che l’Europa Occidentale ha di se stessa. Questo incredibile odio si manifesta in una sorta di vergogna delle proprie origini cristiane; in una ostinata incomprensione della sfida dell’Islam; in una persistente incapacità di elaborare una ragionevole politica dell’immigrazione. 

Il secondo sintomo della condizione spirituale che stiamo descrivendo è la concezione di coscienza morale che si è diffusa. Secondo la grande Tradizione della Chiesa, la quale ha avuto l’ultima luminosa espressione nella dottrina di Newman e del Vaticano II (9) sulla coscienza. La coscienza è il luogo dove avviene l’originaria rivelazione di Dio, il luogo dove Dio rivolge la prima parola all’uomo. Questa concezione è andata perduta, identificando la coscienza colla propria opinione. Quando oggi si dice: ”in coscienza dico che…”, equivale a dire: ”la mia opinione è…”. La voce della coscienza è il respiro dell’eternità nel tempo. L’uomo post-moderno non è più in grado di percepire questo respiro.

Non posso ora parlare degli effetti che questa corruzione del concetto e dell’esperienza della coscienza morale ha prodotto sulla società, sulla organizzazione politica della società. Socrate aveva già avvertito che  corrompendo la coscienza, l’uomo perde la vera grande immunizzazione contro la tirannia.

Ho finito il primo punto della mia riflessione. Ho cercato di rispondere alla domanda: chi è l’uomo al quale la Chiesa deve annunciare il Vangelo in Europa Occidentale? È un uomo pieno di desideri e vuoto di speranza.


2. LE INSIDIE DEL CONFRONTO

Prima di riflettere su come la Chiesa possa proporre il Vangelo all’uomo post-moderno, vorrei attirare la vostra attenzione su alcune insidie di cui l’annuncio  deve tener conto.

La prima insidia è di ritenere separabile e di fatto separare la Dottrina della fede dalla missione pastorale della Chiesa. Trattasi di una insidia molto grave.

L’alternativa ad una Chiesa senza dottrina non è una chiesa pastorale, ma una Chiesa dell’arbitrio e schiava dello spirito del tempo: praxis sine theoria coecus in via, dicevano i medioevali. Questa insidia è grave, e se non vinta causa gravi danni alla Chiesa. Per almeno due ragioni. La prima è che, essendo la Sacra Doctrina niente altro che la divina Rivelazione del progetto divino sull’uomo, se la missione della Chiesa non si radica in essa, che cosa  la Chiesa dice all’uomo? La seconda ragione è che quando la Chiesa non si guarda da questa insidia, rischia di respirare il dogma centrale del relativismo: in ordine al culto che dobbiamo a Dio e alla cura che dobbiamo all’uomo, è indifferente ciò che penso di Dio e dell’uomo. La quaestio de veritate diventa una questione secondaria.

La seconda insidia è dimenticare che la chiave interpretativa della realtà tutta ed in particolare della storia umana non è dentro la storia stessa. È la fede. S. Massimo il Confessore ritiene che il vero discepolo di Gesù pensa ogni cosa per mezzo di Gesù Cristo e Gesù Cristo per mezzo di ogni cosa (10). Faccio un esempio molto attuale. La nobilitazione dell’omosessualità, alla quale assistiamo in Occidente, non va interpretata e giudicata prendendo come criterio il mainstream delle nostre società; oppure il valore morale del rispetto che si deve ad ogni persona, il che è  metabasis eis allo geno, direbbero i logici. Il criterio è la  Sacra Doctrina circa la sessualità, il matrimonio, il dimorfismo sessuale. La lettura dei segni dei tempi è un atto teologale e teologico.

La terza insidia è il primato della prassi [insidia di origine marxista]. Intendo il primato fondativo. Il fondamento della salvezza dell’uomo è la fede dell’uomo, non il suo agire. Ciò che deve preoccupare la Chiesa non è in primis la co-operazione col mondo in grandi processi operativi, per raggiungere obiettivi comuni. L’insonne preoccupazione della Chiesa è che il mondo creda in Colui che il Padre ha mandato per salvare il mondo. Il primato della prassi conduce a quella che un grande pensatore del secolo scorso chiamava la dislocazione delle Divine Persone: la seconda Persona non è il Verbo ma lo Spirito Santo (11).

La quarta insidia, molto legata alla precedente è la riduzione dalla proposta cristiana ad esortazione morale È l’insidia pelagiana, che Agostino chiamava l’orrendo veleno del cristianesimo (12). Questa riduzione ha l’effetto di rendere la proposta cristiana molto noiosa, e ripetitiva. È solo Dio che nel suo agire è sempre imprevedibile. E infatti al centro del cristianesimo non sta l’agire dell’uomo, ma l’Azione di Dio.

La quinta insidia è il silenzio circa il giudizio di Dio, mediante una predicazione della misericordia divina fatta in modo tale che rischia di far scomparire dalla coscienza dell’uomo che ascolta la verità che Dio giudica l’uomo.

Nell’omelia di apertura dell’Anno Santo il S. Padre Francesco ci ha dato un insegnamento assai importante, al riguardo. Egli ha presentato una vera gerarchia delle verità. La misericordia di Dio è il primum, l’originario, ma essa per sua natura stessa implica un giudizio.

Ciò che il medico vuole in primis non è diagnosticare la malattia, ma guarirla. Tuttavia il protocollo terapeutico implica un giudizio, un discernimento diagnostico.

 L’intenzione del Padre è non la morte del peccatore, come meriterebbe, ma che si converta e viva. La giustificazione quindi implica un giudizio sul peccatore. Se dalla proposta cristiana esiliamo il tema del giudizio, essa rischia di essere intesa nel modo seguente: ”poiché Dio è misericordioso, mi accetta come sono”. La Croce è resa inutile; il cristianesimo si è liquefatto; la proposta cristiana non è più un ”caso serio”.


3. CHIESA E UOMO POST-MODERNO

Vorrei ora presentare alcuni orientamenti perché la proposta cristiana possa veramente incontrare l’uomo post-moderno.

Il primo orientamento lo potrei dire nel modo seguente: la proposta cristiana deve ridiventare una proposta più chiaramente kerigmatica-liturgica.

Nell’Enciclica Spe salvi Benedetto XVI commenta il testo di 1 Tess 4,13 nel modo seguente. «Anche qui compare come elemento distintivo dei cristiani il fatto che essi hanno un futuro: non è che essi sappiano nei particolari ciò che li attende, ma sanno nell’insieme che la loro vita non finisce nel vuoto. Solo quando il futuro è certo come realtà positiva, diventa vivibile anche il presente» (13).

L’annuncio kerigmatico non è solo informativo; non si limita alla narrazione di fatti passati. È trasformante. È una narrazione che conduce ad un cambiamento di tutta la vita. È l’incontro con una Persona, con una Presenza che trasforma la persona. Mi spiego con un esempio.

Quando due giovani sposi hanno il loro primo bambino, l’organizzazione della loro vita cambia: orari, abitudini; anche quando non pensano a lui, è per il figlio che lavorano. Si è stabilita nella loro vita un presenza.

È una pallida immagine di ciò che accade a chi e in chi incontra Cristo: una Presenza si impone. Non imparo solamente verità prima sconosciute su Dio; non mi vengono intimati nuovi comandamenti solamente; non faccio memoria solo di fatti passati. È la Presenza nuova di una persona vivente ed operate ora.

Come accade tutto questo? Mediante la predicazione, la quale nella fede conduce al Sacramento. Paolo dice ai Corinzi che lui li ha generati  mediante la predicazione del Vangelo, accolto con fede. La predicazione è la potenza che trasforma il mondo, poiché «a Dio è piaciuto di salvare i credenti mediante la stoltezza della predicazione» [1 Cor 1,11]. Leggo ancora nella Enciclica Lumen fidei di Papa Francesco: «ciò che si comunica nella Chiesa, ciò che si trasmette nella sua Tradizione vivente, è la luce nuova che nasce dall’incontro col Dio vivente». Come sopra dicevo, è il dono di una presenza che cambia la vita. «Per trasmettere tale pienezza esiste un mezzo speciale… Questo mezzo sono i Sacramenti celebrati nella liturgia» (14). Sono convinto che una delle cause principali del grave indebolimento della fede nel popolo cristiano sia dovuto al modo con il quale è stata attuata la riforma della liturgia voluta non senza divina ispirazione dal Vaticano II.

Il secondo orientamento è un radicale rinnovamento dalla pastorale matrimoniale e famigliare. Per quale ragione si tratta di una esigenza tanto importante? 

La colonna portante di tutto l’edificio della creazione è il rapporto uomo-donna nel matrimonio [cfr. Gen,2]. La ricostruzione di questo rapporto è il presupposto fondamentale perché la persona umana riacquisti la capacità di sperare: lo sposarsi è un grande atto di speranza così come il dono della vita; libera l’uomo dalla tirannia del provvisorio. 

Non aggiungo altro, poiché siamo in attesa dell’Esortazione post-sinodale del Santo Padre su tutta questa materia.

Il terzo orientamento è un rinnovato impegno culturale. Sta accadendo in tante parti oggi nella Chiesa un fatto che non ritengo retorico qualificare tragico: la delegittimazione della cultura. Non era mai accaduto nella Chiesa, se non da parte di pochi [Tertulliano: può esservi forse qualcosa di comune fra Gerusalemme ed Atene?] (15). Posizione in cui la Chiesa non si è mai riconosciuta.

È una grave illusione delegittimare la cultura. L’alternativa ad una Chiesa incolta non è una Chiesa pastoralmente più vivace; ma è semplicemente una Chiesa più ignorante, e quindi meno capace di rispondere alle grandi domande dell’uomo.  San Gregorio di Nazianzo ha scritto pagine di fuoco su questo (16).

La cultura è la modalità colla quale l’uomo si colloca nel mondo. Una fede che non genera cultura, è una fede evasiva, che rinuncia alla fatica del vivere. Cioè: una fede in-significante.

Uno dei più grandi spiriti del secolo scorso, il Santo Padre Benedetto XVI, ci ha offerto la magna charta del rapporto fede-cultura nel discorso tenuto nel Collegio dei Bernardini a Parigi (17).


CONCLUSIONE

Il tempo a disposizione non mi ha permesso di approfondire molte questioni. Sono stato costretto ad un linguaggio forse troppo assertorio ed icastico: videant meliores et sapientiores.

Comunque finisco parafrasando le parole con cui Agostino conclude il  De Trinitate, coprendo me, che sono una cornacchia, colle penne del pavone: ciò che ho detto di vero sia attribuito al Verbo di Dio; ciò che ho detto di falso o vano, mi sia perdonato dal Verbo di Dio e dai miei fratelli nella fede (18).



Note:

(1)  Confessioni XI, 2,3.

(2)  Confessioni I, 1.

(3)  Cfr. 1, q.12, a 1.

(4)  Satyrae I, 1.

(5)  Carmina II, 11. 

(6)  “Del Noce era solito definire nichilismo gaio un pensiero che censura l’esistenza del male ed il senso tragico dell’esistenza, rifiutando il concetto di colpa” [G.Riconda, NICHILISMO. COME LIBERARSI DALL’ILLUSIONE DELLE IDEE SCONFITTE]. Ripreso da www.sussidiario.net/2oo8-11-3.

(7)  Desunto da IL FOGLIO, 3 febbraio 2016, pag. 1.

(8)  Cfr. R. Brague-E.Grimi, CONTRO IL CRISTIANISMO E L’UMANISMO, ed. Cantagalli, Siena 2015.

(9)  Cfr. Cost. Past. Gaudium et spes 14. Per Newman cfr per es. Fifteen Sermons praeched before, Un. of Oxford II, 7-11.

(10) Cfr. per es. CAPITOLI TEOLOGICI ED ECONOMICI I, 66; PG 90, 1108 A-B .

(11) Cfr. R. Amerio, La questione del filioque, ovvero la distorsione della Mono-Triade. Su questo si veda E. Redaelli, In principio era il Verbo, non l’Amore; www.espressonline.it.

(12) Cfr. Opus imperfectum contra Julianum II,146.190.192.

(13) N° 2.

(14) N°40.

(15) DE PRAESCRIPTIONE HAERETICORUM VII 9; CCh 1, pag. 193.

(16) Cfr. per es. Sermone II,3,8.4,10.

(17) 12 settembre 2008.

(18) Cfr. DE TRINITATE 15,28,51.