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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


Quinta catechesi dei Giovani
25 gennaio 1997

TU SEI IL CRISTO, IL FIGLIO DEL DIO VIVENTE
(1Gv 1,1-4)


La riflessione che dobbiamo fare questa sera è veramente unica, nella sua importanza. Veramente, questa sera scopriremo la risposta definitiva che dobbiamo dare alla domanda che Gesù ci va ponendo durante tutte le catechesi di quest’anno: “voi, chi dite che io sia?”. Proviamo a ripercorrere brevemente tutto il cammino percorso finora.
 Che cosa successe agli apostoli, e che cosa succede a chi è dato di vivere la loro stessa esperienza, cioè a chi crede nel Vangelo della loro testimonianza? L’incontro con Cristo crocefisso e risorto risolve definitivamente l’enigma della nostra esistenza. Che cosa significa, in che cosa consiste questa soluzione? Nella scomparsa dalla vita di ogni difficoltà, di ogni pesantezza del vivere? Nell’indicazione di vie per  evadere verso “paradisi artificiali” fuori dalla carne e dal sangue della nostra vita quotidiana? No certamente. Anzi, quando si leggono la vita dei più fedeli discepoli del Signore, sembra proprio il contrario. Ed allora in che cosa consiste? Lo richiamiamo brevemente; lo abbiamo spiegato in tutte le catechesi precedenti.
 Risolve l’enigma della vita perché ti svela da dove tu arrivi dentro all’esistenza e verso dove sei diretto: non dal caso verso un nulla eterno, ma da un Amore che ti ha scelto e voluto, predestinandoti ad una Vita eterna.
 Risolve l’enigma della vita, perché ti “slega” la libertà da tutto ciò che le impedisce di esercitarsi come scelta del bene, del giusto, del bello, del grande. E così ti fa continuamente il dono di costruire un’esistenza piena di significato, nonostante tutti “i nonostante”.
 Insomma: incontrando Gesù crocifisso risorto, tu senti che Dio stesso è intervenuto e ha cambiato la tua stessa vita che, fino ad allora, scorreva verso la morte. Questo avvenimento è la salvezza della tua persona.
 Ed ora compiamo quel passo avanti decisivo di cui vi parlavo all’inizio.

1. Cominciamo con ricordare quale fu la vicenda storica di quei dodici uomini che per primi vissero la straordinaria esperienza di “vedere” il Signore risorto. La loro storia di svolse in tre momenti. Prima hanno vissuto con lui in una profonda amicizia, per circa tre anni (più o meno); poi è successo quella incredibile tragedia che fu la sua morte in Croce; infine hanno vissuto lo stupore di un incontro incredibile, inatteso: il Crocefisso è risorto in una vita nuova. Questa è stata la successione cronologica della loro vicenda. Quando essa fu interamente vissuta nei suoi tre tempi - la compagnia con Lui, il suo abbandono nella morte, la sua risurrezione - cominciò ad essere capita sempre più chiaramente. L’ultimo momento cominciò ad illuminare gli altri due. Le parole dette da Gesù cominciarono ad essere capite più chiaramente; i fatti da Lui compiuti e vissuti cominciarono a svelare significati profondissimi. Ma in questa “riscoperta”, fatta nella luce del loro incontro col Risorto, gira infine attorno alla domanda centrale: “ma chi è veramente questo Gesù di Nazareth col quale noi abbiamo vissuto, che abbiamo visto morire, e che è Risorto?” questa domanda si piantò nel cuore dell’umanità e non la lasciò più.
 Vediamo come quegli uomini risposero. Poi ci chiederemo se questa risposta  è credibile, se è cioè ragionevole ritenerla vera.
 Essi giunsero a dare una risposta sconvolgente. Gesù di Nazareth, proprio quell’uomo nato da una donna di nome Maria, è Dio stesso, anzi più precisamente il figlio di Dio.
 E’ Dio stesso. Fate bene attenzione subito. Essi, quando compresero questo, non cominciarono a pensare: “allora noi stavamo insieme all’apparenza di un uomo; credevamo che fosse in carne ed ossa come noi, ma in realtà così non era”. No: essi sapevano bene che Gesù era un uomo come loro. Lo avevano udito, visto, toccato; la sua morte non era una “mascherata”. Ma l’uomo Gesù è Dio. E’ cioè qualcuno di assolutamente singolare; non è solo “il più ...” di una classe di persone: il più grande dei profeti, dei maestri e così via. E’ fuori serie: è unico. Perché Egli è Dio. Vero uomo-Dio: in una parola, è Dio fattosi uomo. Anzi per indicare l’umanità proprio nella sua dimensione di fragilità, di debolezza, usarono spesso la parola “carne”. E così alla domanda: “ma chi è veramente Gesù di Nazareth?” risposero: è Dio incarnato (cioè umanato). Ovviamente, questo non significa che Dio, incarnandosi, cessa di essere Dio: se così fosse, Gesù non sarebbe Dio, ma lo sarebbe stato.
 A questo punto, viene da chiederci, inevitabilmente: come sulla base di che cosa poterono dire che Gesù di Nazareth è Dio incarnato, è Dio fattosi uomo? Mai nessuno aveva detto di un altro uomo che era Dio. E per di più, dentro una fede religiosa, quella ebraica, che sentiva in maniera fortissima la trascendenza dell’Essere divino.
 Fermiamoci a descrivere attentamente un’esperienza umana che tutti possiamo fare. E’ molto diverso conoscere una persona e conoscere una cosa. Quando tu conosci qualcosa, non hai bisogno che l’oggetto della tua conoscenza, consenta a che tu lo conosca: è lì, davanti a te e tu, servendoti di tutti gli strumenti necessari, puoi conoscerne l’intima struttura. Ben diversa è la cosa, quando tu vuoi conoscere una persona. Questa conoscenza è possibile solo se essa non si chiude in sé: non rifiuta di essere conosciuta. Essa apre se stesso all’altro: nelle parole, nei gesti che compie, nelle attitudini che ha nelle varie situazioni. E da parte dell’altro deve esserci attenzione, affetto, in una parola amore: è l’amore che ti fa conoscere profondamente l’altro. Per questo, è necessario, se tu vuoi conoscere qualcuno, che tu viva con lui, lungamente.
 Gli apostoli vissero un’esperienza del genere con Gesù. Essi furono con Lui: lo ascoltarono, non solo quando parlava alle folle, ma anche in conversazioni riservate a loto. Videro come agiva, come si comportava nelle varie situazioni. In una parola: vissero una profonda esperienza di comunione con Lui.
 Nella luce della Risurrezione, a causa del fatto cioè che essi (gli apostoli) lo videro risorto, essi capirono fino in fondo le parole ed i gesti che Gesù aveva compiuto, quando viveva con loro. Quali parole e quali gesti soprattutto?
 - In primo luogo, soprattutto il modo con cui Egli parlava  di Dio. Egli lo chiama in un modo talmente nuovo e sconvolgente, che gli apostoli ci hanno conservato il termine esattamente usato: “Abba - Padre”. “La parola Abba appartiene al linguaggio della famiglia e testimonia quella particolare comunione di persone, che avviene tra il padre ed il figlio da lui generato, tra il figlio che ama il padre ed è da lui amato. Quando Gesù per parlare di Dio si serviva di questa parola, doveva meravigliare e persino scandalizzare i suoi ascoltatori. Un israelita non l’avrebbe usata neanche nella preghiera. Solo chi si riteneva figlio di Dio in senso proprio poteva parlare così di Lui e a Lui come Padre. Abba, ossia Padre mio, Babbo, Papà”. (Giovanni Paolo II, Catechesi sul Credo, Vol. II, LEV 1992, pag. 87-88).
 - Ma Gesù ha computo anche “miracoli, prodigi e segni” e gli apostoli poterono constatare che Egli, nel fare questi miracoli-segni, operava nel suo nome convinto della sua potenza divina, e nello stesso tempo dell’unione più intima col Padre. Diamo solo un’occhiata ad alcuni di questi segni-miracoli, come sono narrati dai Vangeli. Quando, per esempio, rispondendo alle suppliche di un lebbroso che gli dice: «se vuoi, puoi guarirmi!», Egli pronuncia una parola di comando, che in una tale situazione, si addice solo a Dio: «Lo voglio, guarisci” (cfr. Mc 1,40-42). Similmente nel caso di un paralitico: «ti ordino... alzati, prendi il tuo lettuccio e va’ a casa tua» (ibid. 2,1-12). In tutti questi episodi, gli apostoli capirono che affiorava nelle parole di Gesù, la coscienza di una volontà e di una potenza a cui Egli fa appello e che si esprime nel modo più naturale: la volontà e la potenza di dare all’uomo salute , guarigione e perfino risurrezione e vita.
 Quel modo di parlare, quel modo di compiere segni-prodigi-miracoli rivelarono agli apostoli, in forza della risurrezione, che quel Gesù che essi avevano visto, udito e col quale avevano convissuto, era Dio fattosi uomo, anzi figlio del Dio che Israele adorava, della stessa potenza divina.

2. Proviamo ora a rileggere il testo biblico che abbiamo letto all’inizio di questa catechesi (1Gv 1,1-4): gli apostoli comunicarono anche a noi l’esperienza “incredibile” che essi vissero. Avevano incontrato Dio fatto uomo, venuto precisamente (come abbiamo spiegato nelle catechesi precedenti) per risolvere l’enigma della nostra esistenza. E’ ragionevole ritenere vero questo annuncio? Proviamo ora a rispondere a questa domanda. Stiamo iniziando una riflessione molto grande! Vi prego di prestare molta attenzione.
 Prima di tutto, chi è la persona veramente ragionevole? Quando ti comporti da persona veramente ragionevole? Quando non escludi in linea di principio nessuna possibilità che non sia manifestamente assurda. Quando usi la tua ragione come una “finestra aperta sul reale” e non come la “misura del reale”, che stabilisce in anticipo che cosa è possibile e che cosa è impossibile, senza bisogno di verifica. Ora, nel mondo in cui viviamo oggi, di fronte all’annuncio fattoci dagli apostoli (che Gesù, quel singolo che mangiava, beveva, rideva e piangeva è Dio), c’è un’attitudine di irragionevolezza. Non ho detto di incredulità: c’è un rifiuto non di credere, ma di ragionare. Come si rivela questa irragionevolezza? Nell’ostinata negazione che sia possibile questo avvenimento del Dio fatto uomo. Ostinata, cioè non ragionata, non verificata. Per cui è meglio ricondurre quell’avvenimento dentro i limiti della nostra supposta misura. Ed allora Gesù diventa tutto: il grande maestro, il grande esempio, il grande rivoluzionario ...ma non Dio fatto uomo. Ed avete il cristianesimo ridotto ad una dottrina.
 Ma che cosa alla fine “scandalizza” tanto nell’annuncio apostolico? E’ lo scandalo della presenza di Dio nella nostra carne, che la divinità abiti corporalmente in Cristo. Che proprio quel Gesù, che mangiava e beveva, rideva e piangeva, lavorava e si stancava, sia Dio stesso. E’ questa carnalità che può scandalizzare.
 Allora domandiamoci: ma è ragionevole scartare già in linea di principio che questo annuncio sia vero? Non è ragionevole, semplicemente perché non è segno di ragionevolezza evitare di rispondere alla più grande, alla più seria domanda che dimora nel cuore dell’uomo. Quale domanda? Questa: è possibile vincere la minaccia radicale al senso della vita costituita dalla morte? È la domanda circa la salvezza. Ora l’uomo ha costruito tutto ciò che ha fatto per risolvere questa domanda, perché non dovrebbe ammettere la possibilità che sia Dio stesso a venirgli in aiuto?
 Ho insistito tanto su questo punto, perché oggi quest’attitudine di irragionevole rifiuto pregiudiziale ha assunto una forma molto subdola, dalla quale è difficile liberarsi: la forma dell’indifferente disinteresse. L’irragionevolezza qui ha raggiunto il suo fondo: non si può essere più irragionevoli! Perché? Perché rifiutare, senza neanche verificarne la consistenza, la proposta di migliorare la tua esistenza, è semplicemente ... da fessi (!).
 Ho terminato. Nella catechesi prossima analizzeremo precisamente la ragionevolezza dell’annuncio cristiano che Dio si è fatto uomo.

Conclusione
 
 Vorrei che questa sera andando via da questa catechesi, riviveste in un qualche modo nel vostro cuore lo stupore, la meraviglia che si sentono trasparire dalle parole dell’apostolo: puoi toccare Dio stesso, puoi ascoltarlo colle tue orecchie. Dio si è fatto carne ed è venuto ad abitare fra noi.