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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


ASSEMBLEA AZIONE CATTOLICA
Seminario, 10 maggio 1998

Atti come quello che oggi vivete, sono di importanza fondamentale nella vita della vostra associazione: sono momenti costitutivi, cioè fondativi ed orientativi di un nuovo cammino. Era, credo, mio grave dovere di Vescovo dirvi una parola, stante la particolare natura della missione ecclesiale del laico nella Chiesa, nella nostra Chiesa.
Vorrei distribuire la mia riflessione in due momenti fondamentali. Nel primo cercherò di ricordare la struttura della «vocazione e missione del laico nella chiesa»; nel secondo cercherò di dirvi che cosa, in conseguenza, è chiesto a voi laici nella Chiesa e dalla Chiesa  di Ferrara-Comacchio, oggi.

1. Vocazione e missione del laico. Vorrei cominciare col richiamare una verità fondamentale nella Chiesa, una verità direi di ontologia ecclesiale, riguardante l’essere stesso della Chiesa. Essa è la seguente: nella Chiesa «tutto è di tutti» o, il che è lo stesso, non esiste bene che non sia partecipato da tutti. In questa luce, per attendere subito a ciò che ci interessa più immediatamente questa mattina, non è corretto parlare di una missione del laico come separata dalla missione del sacerdote, poiché la missione della Chiesa è di tutti, senza esclusione di sorta.
La modalità di partecipazione è diversa, per cui «tutto è di tutti», ma secondo modalità specifiche di partecipazione. Questa specificità è “seconda” nei confronti della unità, nel senso che quella si radica in questa. La vocazione del laico consiste in una specifica modalità di partecipazione all’unica missione della Chiesa.
La domanda dunque sulla vocazione-missione del laico si articola in due interrogativi: quale è la missione della Chiesa? Quale è la modalità propriamente laicale di partecipazione a questa missione e realizzarla?
1,1. Mi piace cominciare a rispondere alla prima domanda, richiamando le due affermazioni centrali della prima enciclica di Giovanni Paolo II: l’uomo è la via della Chiesa; Cristo è la via della Chiesa. Inviata in missione, la Chiesa deve percorrere questa strada.
“L’uomo è la via della Chiesa” (Giovanni Paolo II). In che senso? nel senso che la Chiesa sente profondamente e vivamente nel suo cuore il desiderio di porsi vicino all’uomo nel percorrere le vie della sua esistenza terrena. Molteplici sono queste vie lungo le quali cammina l’uomo: in nessuna di esse la Chiesa vuole lasciare l’uomo solo, nelle sue gioie e nelle sue speranze, nelle sue tristezze e nelle sue angosce.
“Cristo è la via della Chiesa” (Giovanni Paolo II). Perché la Chiesa vuole fare “compagnia” all’uomo, anzi vuole farsi compagnia dell’uomo? Perché è Cristo che ha affidato l’uomo, ogni uomo e tutto l’umano, alla Chiesa; perché è Cristo che l’ha introdotta in tutte le vie percorse dall’uomo. La missione (l’essere inviata da Cristo all’uomo) è l’essere stesso della Chiesa. Essa è il luogo e il modo del protrarsi nel mondo della presenza di Cristo. “Alla Chiesa, infatti, è stato affidato il Dono di Dio, come il soffio alla creatura plasmata, affinché tutte le membra, partecipandone, siano vivificate; e in lei è stata deposta la comunione con Cristo, cioè lo Spirito Santo, arra di incorruttibilità, conferma della nostra fede e scala della nostra salita a Dio” scrisse S. Ireneo (Adv. Haereses 3,24,1; trad. E. Bellini. Ed. Jaca Book. Milano 1981, pag. 295). Tutto l’essere della Chiesa è relativo a Cristo (Cristo è la sua via) e all’uomo (l’uomo è la sua via).
Nell’incontro con Cristo, nella partecipazione alla sua Redenzione, la persona umana trova pienamente se stessa, si realizza interamente. Intendo dire: l’uomo concreto, reale, in carne ed ossa come è ciascuno di noi, non l’uomo astratto, pensato dalle varie ideologie di ieri e di oggi. E’ l’uomo pensato e voluto dal Padre in Cristo ed in vista di Cristo, e quindi destinato a ricevere il dono dello Spirito Santo che lo vivifica in eterno: è questo l’uomo concreto e vero. La missione della Chiesa è questo uomo, perché ognuno dei miliardi di uomini che esistono oggi, possa incontrare Cristo, “al fine di guadagnare Cristo e di essere trovato in Lui”, perché possa conoscere Cristo, la potenza della sua risurrezione (cfr. Fil 3,9-10).
1,2. Come il fedele laico, (“christifidelis laicus”) partecipa di questa missione, gli appartiene in forma propria e specifica? La nota distintiva che caratterizza lo stato laicale nella Chiesa è la sua indole secolare. Che cosa connota questa secolarità? L’esigenza di “ri-capitolare” in Cristo ogni realtà della creazione, ogni esperienza umana, ogni momento costitutivo della vicenda umana. In altre parole, ai laici “tocca … testimoniare come la fede cristiana costituisca l’unica risposta pienamente valida, più o meno coscientemente da tutti percepita e invocata, dei problemi e delle speranza che la vita pone ad ogni uomo ed ad ogni società” (Es. Ap. Christifidelis laici 34,4; EV 11, 1749).
Ho parlato di “esigenza”. In realtà, la partecipazione alla missione della Chiesa propria dei laici, non è in primo luogo un dovere morale: è un dono che si identifica col dono della nostra giustificazione in Cristo. E’ a causa della nostra inserzione in Cristo mediante il battesimo, la cresima e l’eucarestia, che ciascun fedele è reso partecipe della missione della Chiesa  che è la stessa missione di Cristo. E’ un modo di essere che chiede di essere realizzato nell’esercizio della propria libertà.
Da ciò deriva immediatamente una conseguenza di enorme importanza. “E’ del tutto necessario che ciascuno fedele abbia sempre viva coscienza di essere un «membro della Chiesa», al quale è affidato un compito originale insostituibile ed indelegabile” (Es. Ap. Christifidelis … cit.; 1718). Non è necessario essere membro di una aggregazione laicale per divenire partecipe della missione della Chiesa: questa partecipazione appartiene ad ogni singolo fedele. Anzi di fatto, ogni aggregazione laicale o si origina da questa consapevolezza del singolo o è destinata a ridursi a pura organizzazione. La missione infatti laicale deve realizzarsi in forma capillare: penetrare in tutti i luoghi ed ambienti in cui si svolge la vita umana; in forma costante: realizzare un incontro della vita di ogni uomo con Cristo; in forma incisiva: solo nella condivisione delle stesse esperienze, si può testimoniare il Vangelo di Cristo.
Da ciò deriva anche un’altra conseguenza, di decisiva importanza: l’esigenza assoluta della formazione di una coscienza laicale vera. Per coscienza laicale vera, intendo la capacità di vedere tutta  la realtà umana dall’unico punto di vista vero, Gesù Cristo. Ciò che caratterizza la verità di questa coscienza è la totalità della visione: nessun frammento umano resta escluso dal campo visivo di questa coscienza. E l’unicità del principio interpretativo ed architettonico: ogni frammento umano è visto, capito, interpretato in Cristo. E’ questa la vittoria che vince l’implacabile sfida lanciataci ogni giorno dal nichilismo contemporaneo.
Ciò che ho detto non deve certo farci dimenticare che “la comunione ecclesiale, già presente e operante nell’azione della singola persona, trova una sua specifica espressione nell’operare associato dei fedeli laici, ossia nell’azione solidale da essi svolta nel partecipare responsabilmente alla vita e missione della Chiesa” (ibid. 29; 1720). E’ questo uno degli aspetti più consolanti oggi della vitalità delle comunità cristiane: la grande varietà di nuovi movimenti e/o aggregazioni laicali. Questo fatto deve essere visto come un grande dono fatto alla Chiesa di oggi e quando questi movimenti o aggregazioni sono state riconosciute come autentiche, devono essere da tutti ritenute espressioni legittime della partecipazione laicale alla missione di Cristo (cfr. C.I.C. can. 215). Ed è grave dovere del Vescovo riconoscere e promuoverle e quando necessario difenderle, in una grande libertà per ogni fedele di scegliere quella forma associativa che sente più rispondente alle sue esigenze. Penso che la scelta fatta dalla nostra Chiesa al riguardo debba ritenersi irreversibile: essa dovrà attuarsi in un contesto di stima reciproca fra tutte le forme di apostolato della Chiesa, memori della parola dell’Apostolo, “ciascuno consideri l’altro superiore a se stesso”.

2. Obiettivi dell’apostolato laicale. Visto quale è la partecipazione propria dei laici nella Chiesa, alla missione di Cristo, vorrei ora dirvi quali obiettivi reputo essere oggi prioritari nella nostra Chiesa. Dentro all’impegno per questi obiettivi, ciascuna associazione laicale si muoverà secondo la propria, originale configurazione.
2,1. Il primo obiettivo che si pone oggi alla sua missione, è di «ricoprire e far riscoprire nella nostra storia la dignità inviolabile di ogni persona umana, dal momento del suo concepimento al momento della sua morte naturale». Vorrei richiamare la vostra attenzione almeno su due conseguenze immediate di questo riconoscimento: il diritto inviolabile del concepito alla vita, e la cura alla persona ammalata.
L’aborto è una violazione così grave, la più grave in un certo senso, della dignità della persona, che non deve lasciarci in pace.
La cura alla persona ammalata, il problema della sanità, è l’altro grande versante  del riconoscimento della dignità della persona. Sono convinto che si stanno già ponendo le premesse culturali per l’introduzione dell’eutanasia, poiché si è già posta la persona umana ammalata come una voce fra le tante dei bilanci sanitari.
2,2. Un altro obiettivo da proporci è l’affermazione chiara, teorica e pratica, della dignità del matrimonio e della famiglia. Non voglio qui ripetere quanto ho già detto nella Lettera inviata a tutte le famiglie nei mesi scorsi. La prossima istituzione di un vero e proprio cammino catecumenale verso il matrimonio, come forma parallela agli attuali corsi di preparazione al matrimonio, e la volontà di costituire un consultorio familiare sono piccoli segni di un impegno che la nostra Chiesa dovrà assumersi sempre più generosamente.
2,3. Infine vorrei richiamare la vostra attenzione sul problema giovanile. Esiste in diocesi un punto di riferimento obbligato al riguardo: il Servizio diocesano per la pastorale giovanile con un suo Responsabile coadiuvato da una Consulta diocesana.
Non è il luogo ed il momento neppure per iniziare una seria riflessione sull’evangelizzazione dei giovani. Lo abbiamo già fatto altre volte ed è in progetto una conferenza diocesana di tutti coloro che si trovano impegnati in questa evangelizzazione. Mi limito a due osservazioni.
La prima. L’evangelizzazione dei giovani è il crocevia obbligato attraverso cui transitano due preoccupazioni fondamentali della nostra Chiesa: quella delle vocazioni di speciale consacrazione e quella della ricostruzione della vita matrimoniale.
La seconda. La soluzione del problema giovanile è connesso a quello della scuola, dentro al quale intravedo due priorità: la difesa della scuola non statale, sulla quale la nostra Chiesa sta facendo enormi sforzi, per difendere un diritto fondamentale della persona; la vigilanza critica su ciò che sta avvenendo dentro alla scuola statale, poiché non deve lasciarci indifferenti ciò che in essa sta succedendo né permettere che sia al servizio di un potere sempre più pasticcione ed insipiente.

Conclusione

Verrei meno al mio dovere di Pastore se non vi mettessi in guardia dalle due fondamentali insidie ad una vera, profonda, convinta partecipazione laicale alla missione della Chiesa.
La prima consiste nel ritenere che ci siano altri “punti di vista” per capire l’intera verità dell’umano, all’infuori di Gesù Cristo, o che comunque questo non sia omnicomprensivo. Si spezza così nella coscienza del laico quel riferimento alla fede di ogni realtà umana, che è la vera sorgente della cultura cristiana.
La seconda insidia è la insidia spiritualista, che ci fa ritenere che la verità dell’esistere sia fuori della nostra quotidiana fatica: nascere, lavorare e morire. Che “la carne” non possa essere luogo di salvezza.

Quando abbiamo iniziato la Grande Missione, ho detto che essa nasceva dal desiderio che “il Soprannaturale divenisse carnale”. Il cristianesimo è questo: il Verbo si fece carne. E così non c’è nulla di tanto carnale in cui non possa abitare la Grazia; non c’è nulla di così piccolo su cui non gravi il peso dell’Eterno. La grandezza sta nella valutazione del significato infinito che ogni momento assume dal suo rapporto con l’istante in cui il Verbo fu concepito nel ventre di una donna: omnis creatura bona. Dirlo è la vostra missione di laici.