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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


LA  PERSONA  UMANA:  crisi di identità?
Accademia delle Scienze
Ferrara 5 marzo 1999


Socrate. Di’ su, allora: con quale arte potremo prenderci cura di noi stessi?
Alcibiade. Non lo so.
Socrate. Ora, fino qui, almeno, siamo d’accordo, che non è quella con la quale potremo rendere migliore qualsiasi oggetto che ci appartenga, ma quella che renda tali noi stessi.
Alcibiade. Verissimo
Socrate. Ora, avremmo mai conosciuto qual è l’arte che migliora la qualità delle calzature, se non conoscessimo la scarpa?
Alcibiade. Impossibile.
Socrate. E neppure, perciò, qual è l’arte che migliora la fattura degli anelli se non conoscessimo l’anello.
Alcibiade. Vero.
Socrate. Facciamo un altro posso. Potremmo forse conoscere qual è l’arte che migliora l’uomo stesso se non sapessimo chi siamo noi stessi?
Alcibiade. Impossibile.
Socrate. E può mai darsi che sia una bazzecola conoscere se stessi e che fosse uno sciocco chi iscrisse quelle parole nel tempio di Pito o è invece una cosa difficile e non da tutti?
Alcibiade. Talvolta, Socrate, mi è sembrato cosa da tutti, talvolta invece compito estremamente difficile.
Socrate. Beh! Alcibiade, può essere facile o no, ma per noi il problema si pone così: se conosceremo noi stessi, conosceremo forse la cura che dobbiamo prenderci di noi, se no, non la conosceremo mai.
Alcibiade. E’ così.
[Alcibiade Maggiore 128 C – 129 B]
 

 Ho voluto cominciare da questa lunga citazione desunta dall’Alcibiade Maggiore, uno dei dialoghi giovanili di Platone in cui più fedelmente è esposto il pensiero di Socrate, perché ci introduce profondamente nella riflessione odierna. Non si può «avere cura dell’uomo» se non si sa chi è l’uomo, dal momento che non puoi conoscere quale è il bene dell’uomo se non ne conosci l’identità.
 Molti secoli dopo, I. Kant, riteneva che quattro fossero le domande fondamentali per ogni uomo: “1. Che cosa posso sapere? 2. Che cosa debbo fare? 3. Che cosa mi è lecito sperare?” Per poi alla fine aggiungere: “4. Che cosa è l’uomo?” (1). Ed in realtà le prime tre domande e relative risposte sono in funzione della quarta, e come attratte da essa.
 Da questo semplice avvio alla nostra riflessione siamo condotti subito a pensare che interrogarsi sull’identità dell’uomo non è un interrogativo come gli altri, poiché è un interrogativo che pone in questione se stesso. E l’incertezza nella risposta è situazione spirituale insopportabile per chi vi si trova, dal momento che – come già insegnava Socrate – l’uomo che ignora se stesso, ignora la cura che deve a se stesso.
 Per dare allora un certo ordine alla mia riflessione, procederò nel modo seguente. In un primo punto, richiamerò brevemente la risposta che alla domanda «che cosa è l’uomo?» è stata data dalla fede cristiana attraverso una rigorosa riflessione razionale, che ha fatto propri alcuni fondamentali guadagni teoretici del pensiero greco. In un secondo punto cercherò di mostrare come questa risposta è stata gradualmente contestata e messa in crisi, giungendo a quella «crisi di identità» in cui oggi ci troviamo. [Infine nel terzo punto cercherò di indicare alcune vie di uscita da questa crisi di identità].

1.  L’uomo come «persona»

Senza addentrarci nel percorso storico che ha portato a questo risultato, possiamo affermare che alla domanda «che cosa è l’uomo?», la risposta, da ritenersi sostanzialmente conclusa con Severino Boezio [ca 475 - 526], è la seguente: l’uomo è una persona (2). “E’ grazie a Boezio che il termine persona si arricchisce per la prima volta di una definizione speculativa formale, rigorosa” (A.Milano).
Il termine «persona» appartiene ormai talmente al nostro linguaggio quotidiano, da esserne stato come deflazionata: non dice pressoché più nulla. In realtà esso connota la più profonda definizione di uomo. Esso è entrato nella consapevolezza dell’uomo solo col cristianesimo, e, come scrisse Hegel, questa è stata la grande novità apportata dalla predicazione evangelica(3). Che cosa dunque si intende dire quando si definisce l’uomo come persona?
“Definendo l’uomo come  persona si intende designare il singolo uomo nella sua interezza, concretezza ed unità psicofisica di soggetto metafisico (sostanza) capace di pensiero e libertà e per questo capace di relazionarsi come tale nei confronti di Dio, degli altri uomini e del resto degli enti che compongono l’universo. Per queste sue proprietà la persona umana si caratterizza come unica ed irriducibile nei confronti di tutte le altre sostanze che compongono l’universo fisico e come tale soggetto di inalienabili diritti e doveri nei confronti della società e dello stato” (4)

Mi limito a puntualizzare i momenti teoreticamente essenziali di questa definizione descrittiva.
(A) Il punto fondamentale è l’affermazione della «sostanzialità» dell’uomo. Che cosa significa? Che ogni uomo, nella sua concreta ed intera singolarità e nella sua unità psicofisica, non è qualcosa di inerente a qualcos’altro, una realtà accidentale che si radica in altro come per es. la società o la materia. Ogni uomo, nella sua concreta singolarità, non è una qualità di qualcos’altro (della società, dello spirito del mondo), o un’apparenza di qualcosa d’altro (della materia per es.). Ogni singolo uomo è in se stesso, è in proprio diritto: sui juris, dicevano i romani, non alieni juris.
Ne deriva che nessun uomo può essere pensato come «parte di un tutto»: l’essere persona, cioè sostanza, respinge da sé ogni considerazione dell’uomo come parte di un tutto completo (5).
(B) Ma la sostanzialità propria della persona è di grado essenzialmente più alto di quella di un individuo-animale o vegetale. Quando diciamo che “la persona non può mai essere solo un accidente o una qualità inerente ad un altro essere”, lo diciamo in un senso essenzialmente più alto di tutti gli altri esseri. A causa del fatto che è «capace di pensiero e di libertà». In che senso, il pensiero e la libertà costituiscono ogni singolo uomo «sostanza» in senso pieno: in sé e per sé? Mi limito ad una breve considerazione sulla libertà: peraltro, essa non sarebbe possibile senza pensiero.
In testi filosoficamente assai audaci, Tommaso d’Aquino dice che l’uomo, in ragione della sua libertà, è «causa sui», causa di se stesso. Non nel senso, ovviamente, che la persona umana si crea da sé, ma nel senso che essa è capace di causare consapevolmente  i propri atti, mediante i quali forma, configura se stessa. Ognuno, in ragione della sua libertà, è padre-madre di se stesso. Del resto già Aristotele nell’Etica eudemia diceva che l’uomo è il signore sull’essere e non essere dei propri atti [Cfr. B, 6, 1223a]. La cosa colpì talmente il pensiero cristiano, che pose precisamente in questa capacità della persona la più alta somiglianza di questa con Dio stesso.
(C)     L’aver affermato con tanta forza l’«inseità» della persona; l’aver affermato che la persona raggiunge la sua perfezione ontologica nell’esercizio della sua libertà, che la fa causa di se stessa [causa sui], può condurci a ritenere che ogni persona sia un mondo a se stante, una “monade” chiusa in sé. La realtà è però completamente diversa. Proprio perché ogni singolo uomo è un soggetto, una sostanza nel senso più forte del termine, e non «nonostante sia una sostanza…», ogni singolo uomo è strutturalmente capace di relazionarsi con Dio, con gli altri uomini, con il resto degli enti che compongono l’universo: ogni persona è ordinata alla comunione con le altre. Cioè: è costitutivamente capace di amare. E’ questo uno dei temi più cari all’antropologia di K. Woitila: per capire chi è l’uomo è necessario capire la sua vocazione all’amore.
Questa capacità di uscire da se stessa, di trascendere se stessa, l’uomo la deriva precisamente dalla sua capacità di pensare e dalla sua libertà. Non possiamo ora fermarci ulteriormente (6).
La definizione di uomo come persona significa dunque essenzialmente questo: (A) soggettività metafisica (è sostanza); (B) capacità di pensare e di volere liberamente (è sostanza spirituale); (C) strutturale orientamento alla comunione con le altre persone (è sostanza spirituale correlata con ……).
Da questa definizione, il pensiero occidentale suddetto ha dedotto alcuni corollari di tale importanza che sopra di essi è stata costruita la nostra stessa civiltà.
La persona umana è dotata di dignità: ogni uomo è dotato di dignità e perciò non ha prezzo. Dignità e persona sono due concetti così connessi che non sono mancati pensatori medioevali che hanno definito la persona in chiave di dignità (cfr. per es. S. Tommaso d’A.,1,q.29, a.3; 2.2, q.32, a.5). Che cosa significa dignità? Il termine connota un particolare valore, una singolare preziosità dell’essere in questione, in forza della quale vale in sé e per sé.
La persona umana è nell’universo visibile l’unica realtà di fronte alla quale è ragionevole dire: «come è bene [non solo: come è utile, come mi piace] che tu ci sia!». Insomma: ogni persona è unica ed irriducibile a niente altro. E’ cioè insostituibile.
Il secondo corollario è che ogni persona merita di essere considerata, voluta e trattata secondo la sua propria dignità. E’ cioè soggetto di diritti inviolabili. Nel senso che la loro violazione costituisce la negazione pratica di ciò che di più prezioso esiste nel mondo: la falsificazione più radicale dell’essere (7).

2. L’uomo: crisi di identità

In questo secondo punto della mia riflessione vorrei mostrarvi come i tre significati fondamentali della definizione di uomo come persona siano stati gradualmente negati. Il risultato è la seguente condizione umana: un uomo che non sa più chi è veramente.
(A) L’uomo entra, a mio giudizio, in crisi di identità dal momento in cui viene progressivamente negata la sua sostanzialità. La storia di questa negazione non può qui essere narrata neppure per sommi capi, dal suo inizio chiaro con Cartesio, fino ai giorni nostri.
Al nostro scopo sarà sufficiente dire quale è stato l’esito finale di questo cammino. E’ stato la negazione che esista un humanum dotato di una consistenza meta-storica: la parola «uomo» non denota se non ciò che convenzionalemente si decide che denoti.
Il segno più evidente di questo esito finale è che anche le fondamentali esperienze entro le quali la persona si definisce, come paternità-maternità-figliazione, sono ritenute “convenzioni” nei loro contenuti, come la discussione di questi giorni sta dimostrando.
(B) La seconda dimensione della crisi di identità in cui è entrato l’uomo è costituita dalla progressiva negazione della sua spiritualità: della sua capacità di compiere operazioni psichiche di tipo spirituale, quali il pensare e lo scegliere liberamente. Tocchiamo qui il secondo nodo della crisi di identità in cui versa oggi la persona umana: la negazione della sua spiritualità. Poiché questa negazione viene oggi divulgata come verità scientifica, mi fermo un po’ più lungamente su questo punto.
In una pagina di eccezionale rilevanza antropologica, Tommaso distingue chiaramente fra operazioni psichiche che hanno in determinati parti del cervello e del sistema nervoso centrale il loro referente solamente e non il loro organo o strumento, ed operazioni psichiche che invece hanno in quelle parti il loro referente ed il loro organo o strumento (cfr. in De Anima I,2,  ). Posta questa distinzione, obiettare contro l’esistenza di operazioni psichiche superiori il fatto che, durante il loro svolgimento, parti del cervello o del SNC mostrano particolari attività, rilevabili dall’EEG o dalla Tac o dalla PET, non ha consistenza teoretica. Nessun “spiritualista” serio nega che anche l’operazione psichica superiore abbia come referente un’operazione organica.
E’ importante notare che quando parliamo di «attività psichica superiore» intendiamo parlare di quell’attività mediante la quale la persona non solo manipola simboli logici secondo regole precise, ma è capace di costruire nuovi simboli logici  L’atto libero fa essere qualcosa di nuovo che non trova alcuna ragione necessitante in ciò che lo precede (8).
(C) Negata all’uomo la sua sostanzialità-soggettività spirituale, che ne restava dell’uomo stesso? Restava un individuo costituito da un «fascio di desideri», al cui servizio è posta la propria razionalità. Alla domanda «chi è l’uomo?», è possibile oggi rispondere così: non una persona, ma un individuo. L’individualismo è la «cifra» fondamentale con cui l’uomo oggi designa se stesso. Che cosa significa definire l’uomo come individuo?
Significa designarne la costituzionale, strutturale irrelazione di sé agli altri. Negata la spiritualità, resta solo il «desiderio» come unica possibilità di rapportarsi alla realtà delle cose e delle persone (9). Ora, per definizione, il desiderio ordina il tutto al soggetto che desidera: è necessariamente centripeto. Pertanto, l’unica ragionevolezza possibile è quella strumentale al soddisfacimento dei propri desideri, e l’unica comunicazione possibile  è quella contrattualmente stabilita con l’altro (i). Il segno più chiaro di questa situazione antropologica è la visione attuale della sessualità umana e la nobilitazione dell’omosessualità cui assistiamo.
Messa in crisi la definizione di uomo come persona, nei suoi tre significati fondamentali [sostanza, sostanza spirituale, essenziale correlazione], l’uomo ha veramente perduto il «se stesso», pur avendo guadagnato il mondo. Allo smisurato estendersi dell’avere è corrisposto la scomparsa dell’essere: ha tutto, ma ha perduto se stesso.
A questo punto, ha ancora senso e fondamento affermare che ogni uomo merita un rispetto incondizionato ed assoluto? Ha ancora senso e fondamento parlare di unicità, insostituibilità di ogni persona come tale, una volta che negata la sua soggettività spirituale, si è costretti a negarne la sua personale immortalità? Se l’uomo non è persona, sostanza spirituale e soggetto insostituibile, ha senso e fondamento parlare di diritti umani inviolabili sempre e comunque?
La nostra riflessione ci ha esattamente riportato alla domanda di Socrate: “Potremmo forse conoscere quale è l’arte che migliora l’uomo stesso se non sapessimo chi siamo noi stessi?”

3. Vie d’uscita dalla crisi d’identità (10)

[omissis]
 

Conclusione
 

 La riscoperta della persona è la grande sfida che oggi ci provoca. Non si tratta solamente di una riscoperta nel pensare, ma nella coscienza morale dei singoli e, di conseguenza, nel centro degli ordinamenti giuridici e della organizzazione sociale: “se conosceremo noi stessi, conosceremo forse la cura che dobbiamo prenderci di noi, se no, non  la conosceremo mai”.
 Uno dei martiri del regime comunista di Praga, Jan Patocka, ha sostenuto che la scoperta socratica del «se stesso» è stata la scoperta che ha consentito all’uomo di opporsi alla tirannide (11). Se l’uomo, anche nella nostra città, non riscopre il suo essere-persona, secondo l’intero significato di esso, non potrà sfuggire alla schiavitù. Non sto pensando alle forme, diciamo classiche, di schiavitù; non sto pensando alle forme già ben note e purtroppo già sperimentate di dittatura. Sto pensando alla schiavitù  cui è esposto ogni uomo che abbia estinto in sé la consapevolezza di essere un soggetto eterno e che ha estenuato in sé l’aspirazione “ad incarnare l’eterno nel tempo  e nel proprio essere”: ben oltre all’amara rassegnazione ad essere solo consumatore di prodotti.

*   *   *

(1) Cfr. I.Kant, Kritik der reinen Vermuft, 805, Kehrbach 818. La quarta domanda in realtà è un’aggiunta della Logik pubblicata nel 1800, con la risposta relativa.
(2) Ho messo come punto di arrivo, che riconosco essere senz’altro assai convenzionale, Severino Boezio solo in riferimento alla sua nota definizione di persona, rationalis naturae individua substantia (in De duabus naturis, c.3; PL 64, 1343; cfr. anche S.Tommaso d’A. 1, q.29, a.1 3, q.2, aa. 2-3), che è il punto costante di riferimento per la riflessione sulla persona.
Per tutto il processo storico si può vedere A.Milano, Persona in teologia, ed. Dehoniane, Napoli 1984, e molto più breve il mio scritto, La persona umana: aspetti teologici, in A. Mazzoni (ed.), A sua immagine e somiglianza, Città Nuova ed., Roma 1997, pag. 76-90.
(3) Cfr. Enciclopedia delle scienze filosofiche, § 482. In realtà la posizione hegeliana precisa e categorica solo in apparenza, ha in se stessa germi di riflessione che mettono in crisi in realtà ciò che con una certa retorica viene da lui detto. Su tutta la questione si può vedere C.Fabro, Riflessioni sulla libertà, Maggioli ed., Rimini 1983, pag. 16-18.
(4) G.Basti, Filosofia dell’uomo, ESD, Bologna 1995, pag. 334.
(5) In una pagina veramente stupenda, S.Tommaso spiega come la nozione di persona sia contraria alla nozione di parte: in III Set., V,2,1 ad 2., contro ogni riduzionismo naturalista, sociologista e psicologista.
(6) E’ la struttura intenzionale rettamente intesa del pensare e volere (libero) umano che qui è in questione. Negata questa struttura, la dimensione relazionale della persona è definitivamente compromessa, come si vedrà in seguito.
(7) Si possono leggere le pagine molto profonde di A:Rosmini, Antropologia in servizio della scienza morale, ed. Città Nuova, vol. 24,  Roma 1981, pag. 471-473.
(8) Si veda per un approfondimento ulteriore G.Basti – A.L.Perrone, Le radici forti del pensiero debole. Dalla metafisica, alla matematica, al calcolo, ed. Il Poligrafo, Padova – Roma 1995.
(9) E’ da notare accuratamente che qui «desiderio» è preso non nell’accezione classica dell’adpetitus sia naturalis sia sensibilis sia rationalis. Né l’antropologia post-moderna sarebbe in grado di accogliere una tale accezione. Si potrebbe dire che in essa permane il puro «sensibilis» senza avere alle spalle il «naturalis» in cui radicarsi, né il «rationalis» dal quale essere guidato ed informato. Cfr. V.Possenti, Terza navigazione, ed. Armando, Roma 1999, pag. 285-286.
(10) La «cura pastorale» non mi ha permesso di svolgere dignitosamente questo terzo punto. Sopra di esso però ritornerò lungamente nel documento col quale indirò l’Anno Santo nella nostra Arcidiocesi.
(11) Cfr. G.Reale, Corpo, anima e salute. Il concetto di uomo da Omero a Platone. R.Cortina Ed., 1999, pag. 193-194.